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Phil Jackson a Roma tra cinema e nostalgia

Fa un certo effetto, nel viavai dell’Auditorium Parco della Musica addobbato in rosso per la Festa del Cinema di Roma, veder spuntare qua e là, tra giovani musicisti con strumenti in spalla e stravaganti cinefili, anche qualche zainetto dei Lakers, ragazzi con in mano una copia di Eleven Rings e cappellini con il logo della NBA.

Già, perché è il sabato di Phil Jackson nella capitale e, nonostante tutto, gli appassionati non si sono dimenticati di lui. Certo, se fossimo stati negli anni d’oro di Chicago e Los Angeles, avrebbe fatto molto più clamore. Probabilmente non sarebbe bastato un palasport intero, mentre oggi non è neppure la star della giornata (il ruolo spetta a Jake Gyllenhaal), il suo incontro viene destinato alla sala meno capiente del complesso di Renzo Piano, il Teatro Studio Giulio Borgna, pieno sì ma senza ressa alcuna.

Phil Jackson tra gloria e declino

Sic transit gloria mundi, dicevano i latini, la carriera perfetta non esiste, prima o poi tutti i vincenti finiscono per attraversare un periodo di declino. Il “decadentismo” di Phil Jackson ha avuto i colori blu e arancio dei New York Knicks, poco più di tre stagioni ingloriose finite lo scorso giugno dopo aver svogliatamente supervisionato l’ultimo Draft, e solo l’evoluzione di Frank Ntilikina ci dirà se il tempo sarà stato galantuomo o meno. Ma il teatro si riempie comunque in breve tempo, soprattutto di appassionati di basket più o meno giovani, e poi eccolo, il Maestro Zen, entrare con un’andatura parecchio traballante che tradisce i problemi fisici con cui deve fare i conti da svariati anni lo scheletro di questo 72enne di due metri e tre, con più anelli di campione NBA che dita delle mani e forse ormai con solo una pensione dorata nel suo destino.

L’incontro di Roma, grazie anche a un contesto differente dall’ambiente sportivo o giornalistico, ha avuto toni assolutamente rilassati. E nessuna concessione al presente e al futuro, anche perché non erano previste domande dal pubblico o approfondimenti. È stato un viaggio nostalgico negli anni ’90 e oltre, attraverso la voce di un Phil Jackson molto riflessivo, sereno e ieratico. Con una formula particolare studiata per l’occasione: il coach stesso ha selezionato alcune clip tratte da celebri film, di argomento sportivo e non, che lo hanno ispirato nel corso della sua straordinaria carriera.

Video che Jackson faceva vedere ai suoi giocatori durante le sedute di allenamento, o prima di una partita di playoff, per motivarli e soprattutto spingerli sempre più a guardare dentro loro stessi con la pratica della mindfulness (consapevolezza di sé). Tecniche con cui, insieme alla meditazione, alla filosofia orientale, alla cultura dei nativi americani, Phil Jackson ha caratterizzato in maniera indelebile il proprio percorso nel basket e nella vita, rivoluzionando il concetto di allenare una squadra. Basi a cui è rimasto sempre fedele, tanto da vedersi rigettato il suo progetto ai Knicks, dall’innesto fallito dell’attacco triangolo che voleva imporre a tutti i costi (con tutte le difficoltà che implicherebbe nel basket di oggi) fino al rapporto mai costruito con Carmelo Anthony.

I film del Maestro Zen

Jackson rimane un personaggio spirituale, colto e profondo, capace di alternarsi senza problemi tra le luci sfavillanti dei grandi palcoscenici NBA e delle metropoli statunitensi ai luoghi solitari come il suo Montana e, perché no, come questa raccolta platea della, per lui, lontana Roma. L’incontro si è aperto con la proiezione di uno spezzone di Chinatown del 1974 con Jack Nicholson, il super tifoso dei L.A. Lakers che qualche anno prima Phil, giocatore dei Knicks fermo ai box per infortunio e uomo dai mille interessi, aveva conosciuto in occasione di un provino cinematografico a cui si era presentato per ottenere una parte. “Andò che non mi presero -ricorda Jackson – e per fortuna, aggiungo, altrimenti avrei avuto una carriera un po’ diversa! Ho una grande ammirazione per Jack Nicholson e il suo grande amore per il basket ci lega moltissimo da tanti anni”.

Il secondo film scelto è Toro scatenato del 1980, che per Jackson rievoca “l’importanza del coraggio come dote dei grandi campioni dello sport, forse più del talento e della preparazione. Michael Jordan e Kobe Bryant sono stati esempi di come un atleta, con il suo coraggio, possa trascinare una squadra al successo. Un allenatore cerca sempre un talento che possa essere allenato e addestrato, ma è il coraggio, la determinazione a fare la differenza”.

Quindi Hoosiers, tradotto in Italia come Colpo vincente, la storia romanzata del piccolo liceo dell’Indiana che divenne campione contro ogni promostico, “un messaggio – commenta Jackson – che sono riuscito a far passare anche a campioni affermati, perché tutto risiede nella consapevolezza, nella capacità di guardare dentro noi stessi. Per me è sempre stato importante che i giocatori siano mentalmente presenti nel momento cruciale di una partita e tengano il giusto atteggiamento. Ascoltare la propria voce è ancor più fondamentale oggi, in un mondo in cui le nostre vite sono costantemente interrotte dallo smartphone”.

Coraggio, cuore e cervello

Seguono parti di Le ali della libertà, a testimoniare la grande varietà di cultura e interessi che caratterizzano il personaggio di Phil Jackson, e Colpo secco, film di hockey con Paul Newman allenatore “che mi riporta al periodo in cui allenavo in una lega minore, la CBA, con le sue infinite trasferte in pullman e il tantissimo tempo che si trascorreva insieme, staff e giocatori”. Uno spirito di coesione che Phil Jackson volle ricreare ai suoi Bulls che si apprestavano ad assaporare a vittoria dopo anni di sconfitte con i Detroit Pistons dei Bad Boys.

Fu in quegli anni – racconta – che iniziai a utilizzare video con i miei giocatori, soprattutto durante i playoff: sono diventato bravino a fare montaggi, chiedo scusa a Hollywood se ho preso in prestito qualche film. Inseguivamo un gioco pulito e corale e anche in seguito, quando gli avversari più tosti erano diventati i New York Knicks, mi sono ricordato di quel film”. Proiettava anche pezzi tratti da Il mago di Oz per inculcare alla squadra tre doti fondamentali: coraggio, cuore e cervello.

La clip conclusiva è tratta da Pulp Fiction e contiene la famosa battuta «Non è ancora il momento di farci i pompini a vicenda». “Mi riaggancio a The Last Dance, l’ultima stagione dei Bulls, nel 1997-98 – conclude Phil Jackson – Dopo la vittoria con Utah, a cena con tutta la squadra, il mio storico assistente Tex Winter se ne uscì dicendo: ora sì che possiamo farci i pomp##i a vicenda!”. Risate e applausi.

Era un festival di cinema e non di basket. Non si è parlato di attualità e non sapremo mai, per ora, cosa ci sarà nel futuro di Phil Jackson, se avrà una nuova opportunità nel basket oppure no. Resta il ricordo di un pomeriggio in cui molte persone hanno potuto ascoltare da vicino i racconti di uno dei più straordinari allenatori e pensatori di basket della storia, autore di libri come Basket & Zen, Più di un gioco e Eleven Rings. Non capita tutti i giorni, in Italia.

Francesco Mecucci

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NbaReligion Team

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