L’1 luglio, il primo giorno di free agency, Stephen Curry, dopo aver vinto il suo secondo titolo, ha prolungato la sua permanenza ai Golden State Warriors per altri 5 anni firmando il contratto più remunerativo della storia NBA.
Nonostante il rapporto di amore tra la franchigia, la città e il giocatore, la contrattazione tra due parti non è stata esente da divergenze.
Sembra strano da poter credere, ma inizialmente, ancora prima di sedersi intorno ad un tavolo, il presidente della franchigia Joe Lacob pare non fosse neanche sicuro di voler offrire il massimo salariale all’ex giocatore di Davidson salvo poi essere convinto dal GM Bob Myers e dalle affermazioni sarcastiche di Steve Kerr.
Una volta pattuita la cifra però il front office si è trovata di fronte alle pretese del giocatore che voleva una player option nel quinto anno di contratto e l’inserimento di una no-trade clause che gli avrebbe permesso di avere l’ultima parola in caso di una trade che lo vedesse coinvolto.
I Golden State Warriors memori probabilmente del recente passato e dei problemi avuti dai New York Knicks, prigionieri per una stagione della no-trade clause di Carmelo Anthony, non hanno accettato questa richiesta di Stephen Curry, negando stranamente anche quella della player option al quinto anno che invece è quasi un abitudine nei contratti di 5 anni. L’unica clausola presente nel nuovo contratto firmato da Curry è una trade kicker del 15% in caso di cessione.