Quando quest’estate scrivevo dei Los Angeles Clippers mi ero immaginato due scenari plausibili: rebuilding o Point Forward. La cessione di Chris Paul ha ridimensionato le ambizioni dei losangelini nel breve periodo ma il Front Office ha optato per rimanere competitivi e scommettere tutto sul talento e l’etica del lavoro dell’uomo che li ha rimessi sulla mappa, sempre che sulla mappa ci siano mai realmente stati prima del suo arrivo.
Blake Griffin è stato il catalizzatore di un interesse sempre crescente per la franchigia meno famosa della California e quando anche Chris Paul ha deciso di abbracciare la causa, lo Staples Center si è popolato di tifosi diversi da quelli con la maglia giallo-viola. CP3 è però ormai solo un ricordo, così come lo sono o lo dovrebbero essere le ambizioni da titolo. Il condizionale deriva dall’impressionante miglioramento che Griffin ha dimostrato durante tutta la sua carriera. Esploso come un prodigio atletico capace di macinare highlights, il prodotto di Oklahoma si è evoluto con la lega e adesso, oltre a essere la prima opzione offensiva della squadra, è diventato anche l’architetto del gioco dei Clippers, la principale soluzione oltre l’arco e l’uomo verso il quale i compagni si girano quando la partita è sul filo. Doc Rivers probabilmente l’aveva immaginata diversa ma allo stato attuale delle cose ogni discorso sui Clippers ruota attorno alla figura statuaria di Blake Griffin.
Point Forward
Per i sei anni in cui Paul ha mantenuto il domicilio a Los Angeles, i Clippers sono stati la sua squadra. Griffin e DeAndre Jordan sono stati la perfetta estensione alla fulgida immaginazione del ragazzo di Winston-Salem tanto da racchiudere questa connection nello slogan Lob City. Nonostante la quantità enorme di talento a disposizione coach Rivers non è mai riuscito a spingere i suoi oltre le semifinali di conference e adesso che Paul si è accasato in quel di Houston le chiavi della squadra hanno un solo destinatario. Senza l’illuminante ma allo stesso tempo fagocitante presenza del #3, Griffin può esplorare la sua vera natura che è quella di un playmaker finito in un corpo sovradimensionato.
In un quintetto con Beverly e Rivers in campo non è inusuale vedere Griffin portare la palla nell’altra metà campo: l’idea di Doc Rivers è quella di aprire il più possibile il campo, un po’ per la qualità dei singoli tiratori che comunque è nella media, ma soprattutto per la capacità dei suoi giocatori di attaccare i closeout portando a casa fischi arbitrali e conseguenti tiri liberi. Attualmente i Clippers sono sopra la media sia per tiri liberi che per triple tentate, a dimostrazione che la volontà è quella di prendere tiri a più alta percentuale possibile. Griffin converte i suoi 8 liberi a partita (soltanto in cinque vanno più spesso in lunetta) con un migliorabile 74,6%; migliorabile perché per chi non se ne fosse accorto il ragazzo si è messo anche a tirare con costanza da oltre l’arco. I suoi numeri dicono che sta tirando con il 42,5% da 3 su cinque conclusioni a partita. Sono percentuali sbalorditive per un giocatore che durante le prime cinque stagioni nella lega dai 3 metri in poi non era che un problema per la sua squadra e adesso invece produce lo stesso volume di conclusioni pesanti di tiratori come Beal, Korver o Porzingis.
Alcune sono anche pesanti
Questa inaspettata pericolosità lontano dal ferro si sposa perfettamente con la volontà di coinvolgerlo il più possibile nei possessi offensivi. È il leader di squadra per usage% ma questo era un dato abbastanza pronosticabile; meno lo sono invece i 4,4 assist a partita che lo rendono al momento il miglior passatore dei Clippers. A livello di letture parliamo di un giocatore molto sviluppato al quale fin da piccolo gli è stata insegnata una pallacanestro che non prevedeva il suo coinvolgimento da un punto di vista cerebrale. Con l’evoluzione della lega e sette anni in più di basket professionistico alle spalle, Griffin si è convinto a lavorare sulle qualità tipiche di una combo guard non solo per ampliare il suo range di tiro ma soprattutto per promuovere un IQ cestistico rimasto latente troppo a lungo.
Jonathan Tarks, in questo esplicito pezzo sulla collocazione tattica di Griffin, suppone che non serva uno Stockton a questo Malone perché Blake è già un incrocio tra i due meravigliosi ex giocatori dei Jazz e quindi va lasciato libero di scatenare il suo talento palla in mano. Anche se per ora i segnali invitano alla cautela (non è così scontato che togliendo Paul all’improvviso Griffin si trasformi in un Lebron James bianco) gli assist prodotti lo collocano alle spalle dei soli Cousins (che o si normalizza o quest’anno bisogna inchinarsi) e Jokic tra i lunghi NBA. È chiaramente la direzione in cui sta andando la lega; giocatori in grado di prendere il rimbalzo offensivo e guidare la transizione con la possibilità di chiudere al ferro in prima persona o generare vantaggio per i compagni.
Sul chiudere al ferro direi che siamo parecchio avanti, sul generare vantaggio ci stiamo lavorando, anche perché passare in un anno da mostruoso atleta con compiti precisi a mastodontico ball handler capace anche di spaziare il campo direi che ce ne passa. Avere un controllo di quel corpo è sicuramente la cosa più difficile per Griffin e proprio per questo giocatori come Lebron e come Giannis risultano, a noi esseri umani, degli esponenti di una razza diversa. Se Griffin riuscirà a trovare un suo equilibrio sarà interessante capire come fermarlo perché attualmente, escludendo i due mostri di cui sopra, non riesco a pensare a un 4 o un 5 con una velocità di piedi necessaria per giocarci contro.
Manca l’amalgama?
Parafrasando le parole del compianto Angelo Massimino, se Doc Rivers scoprisse dove gioca questa misteriosa amalgama la comprerebbe e i Clippers forse sarebbero una squadra da titolo. Capire come far funzionare un roster sicuramente più profondo rispetto agli scorsi anni ma con molte più incognite è il compito più difficile per il coach ex Celtics. Guardando il bicchiere mezzo pieno, per ora le cose stanno andando meglio del previsto. I Clippers hanno il quarto Net Rating della lega merito di un sistema difensivo che abbina solidità sul pallone ed esplosività vicino al ferro. Prima dei 141 punti incassati dagli Warriors, la squadra subiva 92,8 punti ogni 100 possessi che è una statistica che non ha senso, figlia di un calendario morbido e di un impegno difensivo da parte di alcuni giocatori (Thornwell, Reed, Gallinari, e lo stesso Griffin) non preventivabile a bocce ferme.
In attacco le cose si fanno un po’ più complesse ed è lì che Griffin dovrà incidere maggiormente per far salire di giri anche i compagni. Abbiamo detto delle sue percentuali, ampiamente sopra la media e difficilmente destinate a durare ma oltre alla meccanica è proprio il discorso tattico a tenere banco. Griffin ha cambiato il suo modo di pensare la pallacanestro e questa tabella è abbastanza esaustiva (se si può essere esaustivi i primi di novembre).
Nell’era dello small ball BG32 ha cancellato tutti quei fastidiosi tiri dal midrange e adesso sosta molto più spesso al di là della linea da tre punti ma oltre ad attaccare i closeout tira, eccome se tira.
Ora c’è da capire come questo “nuovo” giocatore possa combaciare con un quintetto in cui Jordan e Beverly non sono tiratori mentre Gallinari e Rivers tendono a fermare troppo spesso la palla. Per ora l’interpretazione di Griffin è, a parere di chi scrive, la più opportuna; la usage percentage di 28,6 è in linea con le passate stagioni e il tipo di playmaking richiestogli in effetti non impone un controllo ossessivo del ritmo di gioco. La maggior parte delle cose che Griffin fa accadere sono generate da una situazione di post-up in cui è praticamente ingestibile.
Quando viene raddoppiato…
Quando viene lasciato in single coverage
Soltanto Embiid, Aldridge e Porzingis segnano più punti a partita di lui in post il che vuol dire che spesso viene raddoppiato e a quel punto c’è la bravura nel ribaltare il lato per creare superiorità. Il problema è che i Clippers sono una delle squadre meno produttive da situazione di catch & shoot e molti dei suoi assist non vengono convertiti. Allo stesso tempo, per quanto un pick and roll 4/5 tra lui e Jordan possa essere suggestivo per ora rimane una fantasia o poco più. Appena l’11,6% delle azioni di Griffin includono un pick and roll da ball handler e finora ha collezionato appena 2 punti a partita con questa giocata. Non lo aiuta il fatto che in squadra non ci siano questi grandi screener (ad eccezione ovviamente di DeAndre) e magari con un Gortat o un Adams le cose sarebbero un po’ diverse, ma per ora il ruolo di point guard “tradizionale” sembra essere fuori dalle corde di Griffin.
Nonostante ciò la stagione del quattro volte All-NBA sarà cruciale sia per lui che per le ambizioni della franchigia. Quando è sul parquet i Clippers hanno il terzo Net Rating della lega, quando è seduto il dato precipita al decimo posto. Questa dipendenza dal #32 deve essere sfruttata nel migliore dei modi da coach Rivers, il quale dovrà anzitutto pregare che rimanga sano (e che non si appiccichi con magazzinieri o simili) e poi costruirgli attorno delle situazioni che lo rendano un problema per le difese avversarie più di quanto già non lo è. Allo stesso tempo Griffin ha l’obbligo di continuare a lavorare sul suo ball handling, sulla possibilità di giocare dei drives and kick (per ora quasi del tutto assenti) potenzialmente mortiferi e più in generale su come premiare i movimenti dei compagni. L’ora di Blake Griffin è arrivata, questa volta per davvero.
Credits to bleacherreport.com
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Tutto molto ben argomentato, ma "non è così scontato che togliendo Paul all’improvviso Griffin si trasformi in un Lebron James bianco" non è corretto: tralasciando eventuali commenti sul fatto che nel 2017 parlando di una Lega come la nostra amata NBA sia ancora il caso o meno di sottolineare in qualche modo il colore della pelle di un giocatore, Blake è figlio di afroamericano.
Gran bell'articolo tecnico!
Forse quello su cui deve lavorare Blake, per essere ancora più devastante, è eliminare la sua attitudine a girarsi di spalle quando porta palla ed è ancora lontano dal canestro, o di abbassare troppo il palleggio per bloccare il suo difensore per poi ripartire o tirare in step back, perchè in questo modo limita la sua visione periferica ed ostacola la sua straordinaria evoluzione di point forward.
Le basse percentuali da tre di Gallinari e co. forse dipendono anche da questo, perchè i compagni non sanno bene dove posizionarsi e non ricevono al momento opportuno.