Point Center
Dovevamo, dunque, aspettarci che Boogie non si lasciasse sfuggire la possibilità di evolvere nel sogno di qualsiasi allenatore e general manager NBA del 2017: il playmaking five. La scelta della maglia numero 0 nel passaggio dai Kings ai Pelicans avrebbe dovuto rappresentare per noi un indizio evidente della sua voglia di creare una soluzione di continuità con il suo passato.
Forse abbiamo tutti sottovalutato la pericolosità di un Boogie arrabbiato e con il cuore spezzato.
Già a partire dalla fase finale della scorsa stagione, appena immersosi nel contesto di New Orleans, Boogie ha immediatamente dato un’accelerata alla propria dimensione perimetrale. Nelle prime diciassette gare in maglia Pelicans ha tirato 5.6 triple a partita, quasi una in più delle 4.9 tirate nelle precedenti 55 a Sacramento: si pensava che il suo aumento nella mole del tiro pesante fosse conditio sine qua non per una serena convivenza con Anthony Davis. Le 5 triple a partita (convertite con il 36.1%) tentate al termine della scorsa stagione erano, fino a quel momento, il suo massimo in carriera. La sua definitiva trasformazione è avvenuta durante la scorsa off-season: non è lecito sapere cosa sia scattato nella sua mente ma Boogie ha aperto la stagione 2017-18 con un approccio completamente diverso da quello al quale eravamo abituati.
Boogie ci sta regalando una stagione da carreer-high in punti (28), rimbalzi (13.7), assist (5.7) e – attenzione, su questo numero potrebbe influire la presenza del monociglio – efficienza difensiva (100 punti concessi con lui in campo su 100 possessi). Ma non sono solo le sbalorditive cifre grezze a mostrarci la nascita di un nuovo DMC.
In questo inizio di stagione, Cousins ha relegato la sua dimensione interna a comparto quasi marginale del proprio gioco, diventando de facto un giocatore esterno, alla faccia di chi dubitava della sua convivenza con Davis. Certo, DMC è comunque quinto nella lega per punti prodotti da situazioni di post up (4.5) ma prende solo 2.8 delle sue 20 conclusioni a gara in queste situazioni. Evidentemente il numero 0 dei Pelicans si sta concentrando su ben altre situazioni del proprio gioco. Anzi, mi correggo: Boogie si sta concentrando su ogni altra situazione del gioco dei Pelicans. Cousins, infatti, è spesso il vero e proprio playmaker dei suoi: gioca i pick-and-roll da palleggiatore, smista palloni dal suo ufficio in post alto, organizza vocalmente l’attacco e dopo aver strappato il rimbalzo ha licenza di partire in palleggio verso la metà campo opposta.
Un pratico esempio del pick-and-roll tra Cousins e Davis.
Con lo spaventoso numero di 97.1 tocchi a gara, Cousins è il secondo giocatore in questa particolare voce statistica dell’intera lega: per intenderci ne tocca 3.1 più di Harden, fonte inesauribile del frenetico gioco degli Houston Rockets, e di 1.6 più di Marc Gasol, ben più abituato a fungere da playmaker occulto dei Grizzlies. Solo Ben Simmons ne tocca più di lui (99.2): guarda caso un altro che ha un fulgido futuro da point-center. Tre nomi su quattro di quelli che ho appena citato sono dei Big Men: avete per caso capito dove sta andando a parare questa lega?
Holiday apre per Cousins come ognuno farebbe con il proprio playmaker. Boogie non si scompone, palleggia tra le gambe, e serve con naturalezza Davis.
Per rendere ancora più evidente la rivoluzione copernicana alla quale Cousins si è sottoposto: gioca il pick-and-roll da rollante con una frequenza del 10.5%, davvero molto bassa per un lungo d’élite della lega, ma allo stesso tempo nelle stesse situazioni funge da palleggiatore nel 5.5% dei casi, un dato praticamente identico a quello di Avery Bradley per fare un esempio (non proprio lo stesso tipo di giocatore). La sua definitiva trasformazione in giocatore prettamente esterno è confermata dalle circa 8 triple tentate a gara (7.6), convertite con un ragguardevole 35.1%, un dato incredibile in relazione all’aumento spropositato di volume di tiro. Anche il numero di assist totalizzati sta raggiungendo punte mai esplorate: i 5.7 assist a gara lo rendono ampiamente nella top 25 dei passatori NBA.
Dal post alto, Cousins trova il suo tipo di assist preferito: il suo set di opzioni da quella posizione è così ampio da costringere costantemente la difesa ad effettuare delle scelte.
Di certo, però, questo suo così smodato coinvolgimento offensivo non lo ha aiutato a migliorare la sua tendenza a perdere la palla: anche le 5.4 turnovers a gara sono il massimo in carriera. E’ anche vero che non gli si poteva chiedere la perfezione dopo così poco tempo. Ma diciamocelo, essere perfetto non è stato mai realmente un suo obiettivo. Malgrado un inizio di stagione piuttosto tranquillo anche dal punto di vista caratteriale non poteva essere del tutto scomparso il giocatore dalla lingua tagliente e dal carattere bizzoso che si è fatto odiare per anni da mezza lega. Nel suo celestiale avvio di stagione la dichiarazione che ha fatto più scalpore è stata quella in cui ammetteva di aver sbagliato nel non lasciare prima i Kings. E indovinate contro chi ha fornito la sua miglior prova in stagione…
Dai, era facile.
Ok, se un exploit del genere contro la sua ex squadra era preventivabile sin dal training camp, tutto il resto lo era decisamente meno. Sono trascorse meno di 20 partite di regular season ma Boogie è il candidato numero uno a ricoprire il ruolo di centro nell’All NBA First Team a fine anno, superando anche il suo compagno di squadra Anthony Davis. Se New Orleans dovesse centrare i playoff, una sua permanenza nella Louisiana – ancora tutto meno che certa – potrà farsi via via più probabile. Al momento, però, non possiamo spingerci così avanti con la fantasia: la stagione è lunga, i playoff sono lontani e la free-agency è imperscrutabile. Al momento Boogie ci ha concesso una sola certezza: la stella di DeMarcus Cousins è rinata e non è mai stata così luminosa.