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Memphis Grizzlies, un inizio a due facce

Poco più di un mese e quindici partite di regular season NBA sono insufficienti per emettere sentenze definitive. In questo periodo, infatti, fin troppe squadre sono, aiutandoci con il sempre utile Dante (Alighieri, non Cunningham), “tra color che son sospesi”. Come i Memphis Grizzlies, alla ricerca di una loro identità tra passato e futuro.

Non solo per il record aleggiante attorno al 50 per cento (7-8), ma anche e soprattutto per essere da un lato fortemente ancorati a quello che ormai è quasi uno stile di vita nella città del Tennessee, il grit-and-grind, dall’altro spinti da improrogabili esigenze – il tempo che scorre, il mantenimento di competitività in una Western Conference particolarmente aggressiva – a un necessario rinnovamento verso una concezione più aggiornata del gioco.

Coach David Fizdale è stato assunto proprio per questo e, al suo secondo anno a Memphis, è sempre più il punto di riferimento, la guida dalle notevoli capacità relazionali e dall’incrollabile etica lavorativa chiamata a condurre la franchigia attraverso una transizione culturale non semplice, in campo e fuori, senza perdere di vista gli equilibri in uno status quo in cui i pronostici non danno Memphis oltre il solito sesto-settimo posto a ovest e in cui per almeno un altro paio d’anni, con Conley e Marc Gasol nel loro prime e una situazione salariale poco flessibile (ci sarebbe anche Parsons e il suo contrattone), è difficile parlare di ricostruzione.

David Fizdale (Credit to Nelson Chenault-USA TODAY Sports)

L’avvio dei Grizzlies si è tradotto in un ottobre scoppiettante da 5 vittorie e 2 sconfitte, nonostante un calendario che propinava Golden State alla seconda partita (Warriors battuti 111-101 con 34 punti di Gasol) e due volte Houston, stoppati in entrambi i casi, con 24 dell’ex Parsons nella seconda occasione e una difesa che ha impedito alla fuoriserie di Mike D’Antoni di superare i 90 punti. Poi, Halloween non deve aver fatto troppo bene agli orsi, che in novembre hanno vinto solo 2 volte (a L.A. contro i Clippers e di un solo punto a Portland), perdendo 6 partite che li hanno ricollocati in una zona di classifica prevedibilmente magmatica.

Come se Zach Randolph e Tony Allen non se ne fossero mai andati (a proposito, saranno ritirate le loro maglie numero 50 e 9), le statistiche, tradizionali e avanzate, dipingono un ritratto di Memphis tuttora caratterizzato dal familiare grit-and-grind, quel basket quasi anacronistico, dal ritmo controllato, tutto difesa, rimbalzi, muscoli, sofferenza, resilienza, che in ogni caso ha consentito ai Grizzlies di comparire per sette anni consecutivi al ballo dei playoff. In questa stagione i Grizzlies continuano ad andare piano, con un PACE di 97,59 possessi (il ventottesimo di tutta la NBA) e una difesa che, se non fosse per qualche passaggio a vuoto di troppo, come avvenuto contro Indiana e Houston che hanno un po’ “sporcato” le statistiche, sarebbe tra le migliori della lega ma che comunque si attesta in undicesima posizione con un Defensive Rating di 103,4, più o meno sulla falsariga delle ultime stagioni.

Tuttavia si notano delle differenze rispetto al passato. Se i Grizzlies segnano 100,7 punti di media (25esimi) con un non trascendentale 103,7 punti segnati su 100 possessi (17esimi), inferiore rispetto al dato finale della passata regular season (107,7) ma migliore del 98,1 di fine novembre 2016, il dato che però risalta maggiormente è quello dei tiri da tre tentati, cresciuti a 28,7 a partita (17°) rispetto ai 26,5 della stagione 2016-17 e ancor più nettamente rispetto ai 18,5 della 2015-16, l’ultima dell’era Joerger.

Qui si inserisce la nuova filosofia che, pian piano, Fizdale sta portando avanti, cercando di instillare un basket quanto più possibile “corri e tira” senza mancare di rispetto al grit-and-grind, così radicato nella Grizzlies culture dal non poter scardinare completamente. Tra l’altro, la percentuale realizzativa da tre punti finora è roba da bassifondi (33,0%, la 29 esima in NBA), a riprova di quanto il nuovo sistema di gioco stenti a svilupparsi del tutto e di quanto manchi un tiratore puro, “spaziante” e veloce, che potrebbe rispondere al nome di Ben McLemore, appena rientrato da una frattura al metatarso del piede destro.

La profondità e la versatilità del roster può essere d’aiuto a trovare le giuste quadrature. Com’era nei piani, l’ossatura di Memphis è e rimane incardinata sull’asse Conley-Gasol. Il play da Ohio State sta disputando la sua seconda stagione del maxi contratto firmato nell’estate 2016 e viaggia a 17,1 punti e 4,1 assist, lontano dalle sue migliori stagioni e dal top della condizione, ma resta il faro indiscusso del gioco con l’Usage% più alto di sempre (27,1). Oltre a un rendimento ancora altalenante, su Conley pesa l’incognita infortuni, con un problema al tallone d’Achille da tener d’occhio e che lo sta tenendo fuori da alcune partite, con tutte le conseguenze immaginabili sulla squadra. Marc Gasol è finora il miglior elemento di questa edizione dei Grizzlies, con una media di 20,1 punti e 9,3 rimbalzi e un crescente ricorso al tiro da tre a conclusione dei pick and pop con Conley, sempre più rapidi e automatici. E il centro ha avuto due importanti picchi di 34 punti contro Golden State e di 35 punti e 13 rimbalzi contro Indiana.

Complici gli infortuni che hanno tenuto fuori Ben McLemore, Wayne Selden e JaMychal Green (rientrato alla quattordicesima contro Indiana al posto di Jarell Martin in posizione di “4”), le storie più interessanti di questo avvio di stagione sono arrivate dagli altri componenti della panchina, primo su tutti Tyreke Evans.

L’ex Kings e Pelicans, firmato in estate per un solo anno a buon mercato (3,3 milioni di dollari), contribuisce con 17,7 punti in 27,8 minuti di utilizzo in uscita dalla panchina, un dato personale inferiore solo ai 20,5 punti della stagione 2009-10 in cui fu Rookie Of the Year e di un niente ai 17,8 di quella da sophomore. Un impatto potenzialmente da sesto uomo dell’anno. Evans, dopo i guai fisici che ne hanno minato le ultime stagioni, sta sfruttando a meraviglia l’opportunità arrivata da Memphis e ha sfoggiato un invidiabile miglioramento al tiro da tre, suo limite a inizio carriera, una più accurata selezione dei tiri e la sua già nota capacità di attaccare il ferro e spingere in transizione, unificando la notevole stazza alle raffinate doti di ball handler. È riuscito a non scendere sotto i 20 punti realizzati per sei partite consecutive, con un high di 32 punti con 4/6 da tre e 13/20 dal campo nella partita con Orlando, e a fare una striscia così c’era riuscito solo Sarunas Marciulionis nel lontano 1992. Il suo indice PIE (Player Impact Estimate) di 17,8 è nettamente superiore a tutte le sue precedenti stagioni.

L’altra storia riguarda il rookie Dillon Brooks, sorprendente scelta numero 45 degli Houston Rockets all’ultimo Draft, subito girata a Memphis in cambio di una seconda chiamata futura. Il canadese da Oregon, uno dei tre Ducks scelti quest’anno al secondo giro insieme a Jordan Bell (Golden State) e Tyler Dorsey (Atlanta) nonché giocatore dell’anno della PAC 12 e per tre volte decisivo con canestri allo scadere in NCAA, dopo nove partite è stato promosso in quintetto nello spot di guardia, al posto di un poco incisivo Andrew Harrison. Il suo buon rendimento – 9,4 punti per 4,4 rimbalzi in 29,3 minuti di utilizzo medio, un buon 45,4% dal campo, anche se tira poco e male da tre – metterà in difficoltà coach Fizdale nella scelta del quintetto. Starting five dove finora sicuro del posto sembra sempre James Ennis III in ala piccola, particolarmente a suo agio nel segnare in transizione, mentre il rientro di JaMychal Green assicura solidità in difesa e rimbalzi in una squadra che dopo la partenza di Randolph è giocoforza peggiorata sotto i tabelloni, oltre al buon tiro dalla distanza e alla versatilità in attacco.

Le pecche a rimbalzo (i Grizzlies sono attualmente tra le peggiori della NBA in questo fondamentale) sono compensate dall’ottima attenzione nella gestione dei possessi, con una bassa media di palle perse, 13,7, la seconda in positivo di tutta la lega dietro solo agli Charlotte Hornets – anche se in assenza di Conley questo dato potrebbe peggiorare – e dai progressi nella precisione al tiro, con una Efficiency Field Goal salita al 50,6% e una True Shot Percentage innalzatasi al 55,1%, la quindicesima in assoluto, grazie agli apporti di chi entra dalla panchina e ai progressi nel gioco in transizione.

Ora ciò che manca è un maggiore impatto nel tiro da tre e McLemore e Green possono essere d’aiuto, in attesa di un Chandler Parsons continuo e presente, partito per la prima volta in quintetto il 18 novembre nella sconfitta interna con Houston. Dopo aver giocato appena 34 inconsistenti partite nella scorsa stagione a causa del suo terzo intervento al ginocchio, l’ex Houston e Dallas sta tenendo una media di 7,9 punti in 19,6 minuti, ha avuto un picco importante a fine ottobre con i suoi 24 punti nella vittoria sui Rockets ma viste le cifre del contratto – 94 milioni di dollari in 4 anni – da lui è ben altro il rendimento che si aspettano non solo la franchigia ma anche i tifosi, che non hanno esitato a contestarlo nell’opener dopo alcuni tiri liberi sbagliati. Della serie “cominciamo bene”.

In conclusione, visti i risultati e la situazione di diversi giocatori, è alquanto difficile prevedere l’esito di questa stagione per i Memphis Grizzlies. Il roster ha una profondità e versatilità con cui prolungare la sua striscia aperta di qualificazioni ai playoff, presumibilmente intorno alla sesta-settima-ottava posizione, anche se il rischio infortuni e l’accresciuta competitività della Western Conference potrebbero tirare brutti scherzi alla truppa di coach Fizdale. I Grizzlies restano una squadra solida ma costretta alla ricerca di una nuova strada da percorrere, quella di un gioco più rapido e aperto, abbandonando gradualmente la vecchia via. Se Gasol è una certezza assoluta, tutto dipenderà dalla continuità, dal rendimento e dalla stessa effettiva presenza in campo di Mike Conley, perché per amalgamare i nuovi servirà ancora tempo.

Si può star certi, però, che nei momenti cruciali il grit-and-grind sarà qualcosa di prezioso a cui ricorrere e, in caso di approdo alla post season, nessuno sarà mai troppo lieto di incontrare i Grizzlies. Take that for data.

Francesco Mecucci

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NbaReligion Team

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