Primo Piano

Rookie Ladder – Episodio 2

Con Novembre terminano le smancerie, il tempo per le chiacchiere svanisce. Anche se sei un giocatore al primo anno, qualcosa devi mettere in mostra per non fare la fine di Buddy Hield ai Kings: è un attimo passare da Nuovo Curry a Jimmer Fredette-ish. Che questa classe rookie sia tra le migliori degli ultimi anni era già chiaro dallo scorso episodio, ma come ha giocato Dennis Smith Jr. mentre Derrick Rose annuncia di pensare al ritiro? John Collins sta prendendo in mano gli Hawks? La Kuzma-fever? Bogdan Bogdanovic è stato spostato in avanti di qualche posizione dopo aver vinto la partita alla Oracle Arena? (Spoiler: sì.)

Alberto Mapelli (6-10, 16-20, 26-30) e Michele Pelacci (1-5, 11-15, 21-25) tentano di rispondere a questa e ad altre domande.

1 – Ben Simmons ( = )

In un mese in cui le varie franchigie NBA hanno capito che i Sixers sono un problema già in questa stagione e ne hanno preso contromisure serie, lui aumenta i giri del motore. Nove doppie-doppie negli ultimi 30 giorni, con una tripla-doppia, pur tirando malino; deve ancora segnare una tripla e c’è già chi comincia a pensare all’hack-a-Ben. Se il tiro dall’arco (0 su 7 in stagione) è solo il biglietto d’accesso per Unicorn-Landia, il 50% e spicci dalla lunetta spaventa un po’. Non basta, ovviamente, a spostarlo dal gradino più alto del podio, ma è un qualcosa su cui lo shooting staff dei Sixers dovrebbe concentrarsi anziché permettere a Fultz di tirare con l’altra mano.

Si accennava, in precedenza, alla recente partita contro Washington. Coach Brooks ha ordinato ai suoi di mandarlo in lunetta 29 volte (15 conversioni), lui ha avuto la solidità mentale di registrare career-high in punti e rimbalzi.

(Inciso veloce: veder(lo) tirare 24 liberi in un quarto – record All-time NBA – non è divertente, NBA. Problema: ha funzionato. Washington per poco non rimontava).

Una stat-line incredibile, e lo è ancora di più se si pensa che l’ultimo rookie ad aver messo su numeri del genere fu Shaquille O’Neal nel 1993. Solo che Simmons porta su palla. Se Philly naviga al 5° posto ad Est, buona parte del merito è sua. La chimica sviluppata col ragazzone col #21 è già tra le migliori della Lega.

Ricorderete tutti di Andre Iguodala: MVP alle Finals 2015 per una difesa straordinaria su LeBron James. Mutatis mutandis, Ben gli fa quello che vuole a Iggy. Definirlo è dura: se si dice che giochi nella posizione che riesci a marcare, lui marca (con successo, ennesima rarità per un rookie) tutte e cinque le posizioni. Simmons è ora uno dei migliori trenta giocatori NBA: il limite è, francamente, solo il cielo.

2 – Jayson Tatum ( = )

Fa specie tirare fuori la mega-guida di The Ringer al Draft 2017 e trovare Jayson Tatum proiettato alla #9 da due analisti su tre. Boston, a quanto pare, ha avuto coraggio nel sceglierlo alla #3 (Ainge: “Lo avremmo scelto anche con la #1“). Se il ragazzo ha avuto la fortuna di essere stato scelto nel miglior sistema della Lega, quello che rende più della somma delle proprie parti, il prodotto di Duke è stato fenomenale nel ritagliarsi un ruolo fondamentale dopo l’infortunio di Gordon Hayward.

Sono solo 5 i rookies con 30+ minuti a partita, lui è quello con la miglior TS% nonostante uno USG% inferiore a quello di altri rookies come Ntilikina o Kennard. Tradotto: è un efficientissimo realizzatore nonostante non sia il perno dell’attacco di Boston. Ad oggi tira col 47% da tre, cifre che andranno normalizzandosi, ma occorre sempre ricordare la data di nascita: 3 Marzo 1998. Eppure gioca già con la saggezza del veterano. Misterioso.

3 – Kyle Kuzma ( ↑ 2 )

Lungi dagli autori la voglia di creare hype sull’aria fritta come accade spesso in casa Lakers, novembre è stato il breakout-month di Kyle Kuzma. Le sue cifre sono spaventosamente aumentate: 18,2 punti di media, 6,7 rimbalzi, 39% dall’arco, 78% ai liberi. Rispetto ad ottobre, gioca circa 7 minuti in più a partita, complice anche l’infortunio a Larry Nance Jr. Dopo tre anni sotto coach Larry Krystkowiak all’Università dello Utah, il nativo di Flint, Michigan, si è rivelato un giocatore intelligente e pronto. Se un esagerato hype da Summer League aveva suggerito prudenza, ora è ufficiale: difficilmente si rivelerà un bust.

Attacca con decisione dal palleggio. La virata (anche a centro-area) chiusa al ferro, con un gancio o un tocco soffice è già un marchio di fabbrica. #KUUUZ

KK0 è abile nel finire al ferro, ottimo da bloccante sul pick-and-roll, non ha paura di aprirsi oltre l’arco, non ha nemmeno paura di portare palla per un contropiede (Lakers 2° PACE della Lega): competentissimi fondamentali ne fanno il più NBA-ready del lotto, ma pur non essendo giovane quanto gli altri ha ben più potenziale di quando non entrò nella Lega Frank Kaminsky, per dirne uno che fu pescato in alto con l’idea che portasse un solido contributo fin da subito. Giocando prevalentemente da 4, infatti, Kuzma è longilineo e, guadagnata massa, riuscirà ad essere ancora più completo su due lati del campo.

4 – Dennis Smith Jr. ( ↑ 4 )

I Dallas Mavericks 2017-2018 sono una squadra – sentite scuse a coach Carlisle – irrilevante. C’è, in generale, davvero pochino da vedere. Tradurre pochino con Dennis Smith Jr.: il prodotto di NC State è uno dei pochissimi Mavs che rivedremo a The Big D anche tra due anni, sebbene debba ancora fugare diversi dubbi. Il principale: quale sarebbe il suo ruolo in una squadra da titolo? Primo violino? Grandi decisioni aspettano i Mavs questa off-season.

Il PM di 191cm, il miglior atleta del Draft 2017, ha portato al piano di sopra un primo passo bruciante: guardate quando vantaggio riesce a prendersi se coinvolti nel pick-and-roll ci sono Tony Parker e Pau Gasol. Sta imparando ad attaccare contro lunghi da tutt’altra fisicità rispetto al college, ma il range di tiro è da ampliare il prima possibile. Sarà fondamentale per un play di quelle dimensioni tirare meglio di un 29% dall’arco (e raggiungere il  70% in lunetta, magari). Come Kuzma, sembra un po’ impaurito dal contatto fisico. Il che è normale per un rookie, ma non devono più succedere cinque partite filate nelle quali non va in lunetta neanche una volta. Carlisle si è accorto che Dallas gira meglio con lui fuori: nelle ultime 6 ha giocato meno e i Mavs ne hanno vinte 3.

A sua discolpa, si potrebbe affermare che un PACE più alto del 25° NBA lo aiuterebbe: il 16% dei suoi tiri arriva negli ultimi 4 secondi d’azione, spesso dopo che l’attacco non ha prodotto alcun vantaggio. Più di un terzo delle sue conclusioni, inoltre, arriva dopo 7+ palleggi: guida i rookies in USG%, sinonimo di inefficienza. Nonostante questi dubbi, il futuro è roseo per un ragazzo che ha compiuto vent’anni da pochissimo. Lui che tenta di schiacciare su chiunque è una delle cose più bella della stagione.

5 – John Collins ( ↑ 1 )

Una rivelazione niente male. Se a Dallas c’è poca roba, ad Atlanta c’è ancora meno; ma se non altro gli Hawks il tanking lo avevano annunciato. Una prima pietra sulla quale ricostruire è certamente quella di John Collins, rimbalzista di primo livello (primo tra i rookies in Rebound Rate, primissimo in quella dei rimbalzi d’attacco). Tra le ali forti con almeno 20 minuti a partita in NBA, inoltre, è per True Shooting%: conclusioni ad alta percentuale (tipo le 5 schiacciate nell’area degli Spurs per il career-high da 21 punti) per un ventenne che deve ancora sviluppare una dimensione perimetrale per cui in Georgia pregano giorno e notte.

“VIETATO dimenticarsi il taglia-fuori contro questo”, c’è scritto su ogni scout report NBA. Non esegue DeAndre Jordan.

É interessante l’uso che ne fa coach Budenholzer. Il quintetto titolare è Schröder-Bazemore-Babbitt-Prince-Dedmon: Collins ha giocato dal primo minuto solo nelle ultime tre partite grazie ad un fastidio alla schiena di Babbitt. É un quintetto dallo spacing povero, in un contesto tutto da rivedere ora che sono tornati sia Miles Plumlee che Ersan Ilyasova. Bud sta facendo assaggiare il bastone e la carota al prodotto di Wake Forest, anche se ATL dovrebbe insorgere quando un trentenne turco in scadenza a giugno gioca più di uno dei pochissimi giocatori che vuoi sviluppare.

6 – Lauri Markkanen ( ↓ 1 )

Scende nella nostra Rookie Ladder perché sono leggermente calati i suoi numeri (14.3 punti + 8.2 rimbalzi), andando per le prime due volte in carriera sotto la doppia cifra nella categoria punti e abbassando le sue percentuali dall’arco (31.7% a novembre contro il 41.7% di ottobre, per un 34.3% complessivo). In compenso ha ritoccato pochi giorni fa il suo career-high alla voci punti (26, contro Phoenix il 19 novembre) e rimbalzi (14, contro i Lakers il 21 novembre). Rimane uno dei prospetti più validi di questa classe di rookie, perfettamente inserito nella pallacanestro moderna che vive di lunghi in grado di aprire il campo. Lunga vita a Lauri Markkanen.

7 – Lonzo Ball ( ↓ 4 )

Dura la vita da rookie, soprattutto se sei figlio di LaVar e tutti non aspettano altro che un tuo passo falso per impallinarti senza pensarci due volte. Tutto si può dire di Lonzo tranne che non sia un prospetto interessantissimo, con evidenti difetti (Magic sostiene di non voler cambiare la sua meccanica di tiro, ecco, noi un pensierino in più ce lo faremmo) ma con margini di crescita enormi. Cala drasticamente in classifica perché le due triple doppie contro Bucks e Nuggets sono tanta roba ma gran parte del mese è stato un supplizio, venendo anche panchinato in alcuni finali di partita vista l’inaffidabilità al tiro (31.5% dal campo, 25.7% da 3). Bisogna lavorare.

8 – Donovan Mitchell ( ↑ 11 )

No, la Summer League non è stato un amore passeggero. In Ottobre ci siamo presi una piccola pausa di riflessione ma a Novembre siamo tornati ad amarci follemente. Più di 17 punti di media, i razzi al posto delle gambe e una continuità di rendimento che lo stanno portando in alto nelle nostra Rookie Ladder. Career high di 28 punti contro Portland, cinque volte sopra i 20 punti, solo tre sotto i 10 e inserimento quasi assicurato nel quintetto base. Manca una solidità maggiore al tiro pesante (36.2%) ma sta iniziando a prendere fiducia, con un acuto da 6/10 contro Milwuakee. Occhio, l’ascesa vertiginosa non è nemmeno quotata.

I lunghi dei Raptors non ci hanno capito molto in quella partita.

9 – De’Aaron Fox  ( ↓ 2 )

Gioca, anche abbastanza. Spesso dalla panchina, ogni tanto in quintetto. Segna di meno (8.6 di media in Novembre), tira leggermente peggio, prende meno rimbalzi (2.4), perde più palloni (2.4). Scusante: a Sacramento, nonostante un mercato abbastanza sensato, è sempre un gran casino. La rotazione non è ben definita e questo sicuramente non aiuta i giovani a inserirsi. Le qualità ci sono, i difetti pure: il tiro è decisamente da costruire e sta iniziando a tirare maluccio pure i liberi (65%); in compenso sa tenere sotto controllo il corpo in penetrazione e non ha paura dei contatti. I Kings dovrebbero prendere una decisione definitiva su chi deve comporre il back-court titolare e dare continuità alla scelta. Ma sono i Kings…

10 – OG Anunoby ( ↑ 7 )

Anunoby ha fatto un salto deciso in avanti nelle ultime due settimane, ovvero da quando a causa dei problemi fisici di Powell è stato inserito stabilmente in quintetto. Se ci fermassimo ai numeri più semplici (6.7 punti, 2 rimbalzi, 1 assist di media) lo considereremmo un giocatore appena sufficiente ma in realtà è un prospetto di 3&D davvero interessante. Da quando è stato spostato nello starting five ha semplicemente iniziato a dare nell’occhio la sua capacità di stare in campo difensivamente contro qualunque avversario (103.9 di DefensiveRating da starter) e, allo stesso tempo, essere anche un fattore offensivo (60.5% dal campo, 74.2% di True Shooting e 114 punti su 100 possessi) in una squadra che può già vantare due bocche di fuoco di primo livello. Un soldato semplice con ambizioni (legittime) di carriera.

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Michele Pelacci

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