Una delle tappe più significative del percorso accidentato dei Thunder in questa regular season è a San Antonio, il 17 Novembre. Contro gli Spurs che contano ai box sia Tony Paker che Kawhi Leonard una vittoria sarebbe fondamentale, tanto per la classifica che per la consapevolezza di poter battere una squadra con record superiore; e l’inizio della partita sembra dire che OKC se la può giocare con gli Spurs e addirittura dominarli, visto che proprio con gli ingredienti principali – recuperi e transizione – riesce a scappare addirittura sul +23 a metà secondo quarto.
Per San Antonio sembra notte fonda, ma l’attacco di OKC ancora una volta comincia a rallentare proprio sul più bello, permette agli avversari di rosicchiare sempre più punti fino a far prendere ad Aldridge e compagni la consapevolezza di poter vincere la partita. Cosa che puntualmente succede.
Da metà del secondo quarto in poi, quando i Thunder erano avanti di 23, il parziale è di 89-63 per gli Spurs.
63 punti segnati in circa 30 minuti, non proprio il massimo per un attacco potenzialmente secondo veramente a pochi.
Quando la difesa non riesce a recuperare nei primi secondi dell’azione, oltre a subire canestro, poi costringe l’attacco a fronteggiare gli avversari già schierati, facendo venire fuori tutti i limiti di OKC in entrambe le metà campo
Perchè se è vero che la difesa effettivamente sulla carta funziona, l’attacco è il vero problema dei nuovi Thunder; quando due giocatori importanti come George e Anthony arrivano in una squadra che conta già Westbrook, un po’ di difficoltà iniziali sono più che dovute – basta ricordarsi delle primissime settimane di LeBron e Bosh nella Miami di Wade nel 2010.
La sensazione, però, è che Billy Donovan non sia ancora riuscito a capire come rendere veramente equilibrato l’attacco di OKC, in modo da far diventare la presenza di tre stelle un vero bonus, invece del malus che ha oggettivamente rappresentato fino a questo momento.
Se infatti da quanto risulta dai punti a partita la convivenza starebbe andando bene, basta scavare poco più a fondo per capire che il rebus delle sconfitte non sia vicino alla soluzione.
Come si evince dalle statistiche raccolte da Basketball Reference, infatti, OKC è addirittura 25esima per efficienza offensiva e segna solo 106.3 punti su 100 possessi, lontanissimo dagli oltre 112 di Cavs, Raptors, Rockets e Warriors.
La situazione migliora se si va a prendere in considerazione l’offensive rating, nel quale OKC risulta comunque 18esima alla pari con gli Charlotte Hornets, ben lontana dai top team di questo inizio stagione.
Quando la squadra non riesce ad attaccare in transizione il pace crolla vertiginosamente, facendo sì che OKC si trovi con quattro giocatori pericolosi guardati però a vista da cinque difensori avversari, vista la possibilità per questi ultimi di ignorare totalmente Andre Robertson quando si tratta di difendere.
Quando la palla è portata nella metà campo avversaria da Westbrook – cioè il 90% delle volte – George e Anthony vanno a fungere da scarichi per aprire l’area al loro playmaker o a Steven Adams, ma risultando i due quasi sempre coperti non vanno più a rappresentare un’opzione di scarico troppo sicura se il copione è sempre lo stesso; andando a prendere in considerazione la sottotrama di questo tipo di attacco a ritmo basso, oltre a Westbrook che ha la palla, Adams che è sotto canestro e Robertson che viene realisticamente ignorato dalla difesa, si può considerare George in grado di lavorare lontano dalla palla staccandosi dal proprio marcatore e prendendo in mano le redini della regia da Westbrook; questo tipo di situazione, però, risolve il problema dello scarico per PG non disponibile ma ne va ad aprire direttamente un altro: se George prende la palla da Westbrook e imposta l’attacco, quale può essere la vera utilità di Westbrook stesso in un sistema del genere? Se Anthony e George, più pericolosi di lui nella conclusione dalla distanza, non riescono ad essere incisivi come scarichi in un attacco a pace basso, come può esserlo il prodotto di UCLA?
La situazione si complica ulteriormente se a staccarsi dal marcatore e gestire la costruzione dell’attacco diventa Anthony, che, nonostante tutti i discorsi fatti ad inizio stagione su come sia arrivato a OKC come umile servitore della causa, quando è chiamato a gestire la palla tende ancora a perdersi negli isolamenti che a New York si ricordano fin troppo bene, e che non solo hanno un’alta probabilità di concludersi con un tiro difficile sbagliato, ma rendono anche praticamente inutile la presenza di altre due superstar sul parquet.
Il problema allora è che Westbrook, George e Anthony non possono coesistere e vincere allo stesso tempo? O magari la soluzione è far uscire Anthony dalla panchina perchè George funziona meglio con il solo Westbrook, e la squadra vince quando l’ex Indiana va oltre i 30 punti (cioè due volte in questa stagione)? Oppure Billy Donovan non riuscirà mai a trovare il bandolo della matassa perchè non è all’altezza di allenare una squadra con aspirazioni da titolo in NBA?
Alla fine di tutte queste considerazioni, forse, senza sottovalutare l’entità del problema, sarebbe anche bene ricordarsi che siamo alla prima settimana di Dicembre, e che la stagione è iniziata da nemmeno due mesi.
Oklahoma City ha cominciato il 2017-18 con tante pressioni e un’attenzione da parte del pubblico quasi smisurata, viste le mosse estive che erano più che esplicitamente dirette a raggiungere/emulare il livello dei Golden State Warriors.
E sempre senza l’intento di minimizzare troppo il problema, bisognerebbe però anche fare attenzione a quello che è successo alla Chesapeake Energy Arena lo scorso 23 Novembre: Golden State Warriors 91 – 108 Oklahoma City Thunder, padroni di casa in controllo dall’inizio alla fine, concetto di difesa e transizione applicato alla perfezione e campioni NBA in carica allo sbando più totale, tanto tecnicamente quando mentalmente.
I nuovi Thunder al meglio/Westbrook version
I Thunder hanno dimostrato di essere in grado di iniziare le partite con un ritmo devastante, andando a sgretolare le sicurezze degli avversari e scappando subito via con vantaggi importanti. Come detto più volte negli ultimi giorni da Paul George, l’ultimo passo è mantenere la tenuta mentale e riuscire a giocare davvero le partite fino in fondo. It’s a process, come direbbero a Philadelphia.
In fin dei conti, la stagione è ancora lunghissima, OKC sta attraversando molte più difficoltà del previsto e le altre davanti vanno fortissimo, ma forse per dare un giudizio definitivo su una squadra così potenzialmente devastante, e che anche contro avversari di primissimo livello ha dimostrato di poter fare più che bene nella giornata giusta (e per tutta questa serie di ragioni potrà realisticamente andare molto avanti ai playoff), bisognerebbe aspettare quantomeno la pausa per l’All Star Game.
Ps
Magari con Melo sesto uomo dalla panchina, ma non saremo certo noi a dirglielo.