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Inside the NBA: Steve Kerr (pt. 1) #5

Quinta puntata di Inside the NBA, la rubrica nella quale vi portiamo dentro il mondo NBA per come viene raccontato da chi lo vive giorno dopo giorno. Se la rubrica vi piace potreste recuperarvi il terzo episodio con Bob Myers, oppure, se Golden State vi ha stancato, il primissimo con Gary Harris. Una rubrica che si può leggere dalla fine all’inizio, saltando pezzi, molto libera e gioviale. Tornando a noi. Bill Simmons, CEO di The Ringer introduce Steve Kerr parlando di quanto tempo è passato dall’ultima, di quanto è bello riaverti qua buddy, di quanto siamo invecchiati assieme. (Simmons in versione minestrina d’ospedale è decisamente il peggior Simmons.)

  • Il primo argomento – i due parlano davvero come noi parleremmo con un amico davanti ad una birra – riguarda la stagione dopo l’anello: ovvero la tipica partenza sorniona, col motore mai al 100%, dei campioni in carica. “Sapevo sarebbe andata così” rivela Kerr. “Ci sono passato a Chicago [da giocatore] nel 1998. Cominciammo la stagione male, 8-7, con Pippen acciaccato e con problemi contrattuali. Il rilassamento dei ragazzi mi sta bene, penso faccia parte del naturale corso delle cose”.
  • Quando il #pride che c’è in Bill ricorda al suo interlocutore che Boston ha vinto contro GS, Kerr, che già aveva speso parole di elogio per i C’s, scoppia a ridere: “In certe partite semplicemente sbagli tiri con spazio, quando giochi contro difese fenomenali come quella di Boston anche tiri aperti diventano difficili. Danny [Ainge] ha capito, esattamente come ha fatto Bob Myers col nostro roster, che ormai in questa Lega si vince con almeno 7 giocatori capaci di cambiare [sul pick-and-roll], di difendere più posizioni e sul perimetro senza andare fisicamente sotto con nessuno”.

Un bacio per ogni anello vinto coi Bulls.

  • E continua: “Conoscevo Jaylen Brown ben prima che Ainge lo scelse. Giocava con mio figlio a UC Berkeley. Ricordo di averlo addirittura accompagnato in macchina ad un paio di partite di Golden State. Andai a vedere un sacco di partite del Jaylen ragazzino, si notava che era speciale, moderno. Allora come ora, il suo bagaglio offensivo era in costruzione, ma balzava all’occhio il fisico, il potenziale difensivo e l’intelligenza”.
  • Simmons rivela che pochi secondi dopo l’ufficialità della chiamata di Jayson Tatum alla #3 nell’ultimo Draft, Kerr gli ha mandato un messaggio: “So cosa sta facendo Ainge. Vuole gente in grado di cambiare”.
  • Si parla di Draymond Green: Simmons lo paragona a Ben Wallace per mentalità ultra-competitiva che, non appena scompare per mille motivi, rende Dray un giocatore decisamente normale. “È sempre difficile con Dray. Cammina sempre sul confine tra un comportamento al limite e compostezza. A volte va oltre, il che mi piace! Non abbiamo tanti ragazzi che vanno sopra le righe (ci è utile, lascia intendere Kerr, ndr). La stessa cosa accadeva con Rodman a Chicago. Gioca e difende molto duro sera dopo sera”.
  • Domanda pungente di Simmons, che chiede se la Lega ha più talento ora o negli Anni Novanta: “Le due generazioni sono molto differenti. Ciò che stranisce è allora c’erano tantissimi centri dominanti, ora no. Ora è diverso: un po’ perché le regole sono cambiate, la mentalità è cambiata, è più triple e palleggi tra le gambe. Ma penso realmente che la generazione attuale sia talentuosa come le altre del passato. L’altra sera ho visto giocare Duke University, mio Dio! È stato quasi scioccante. Non posso fare nomi, ma quando giocavo io al college il panorama era totalmente diverso: le nuove leve fanno paura. In generale, il sistema di gioco moderno è talentuoso ma meno sofisticato: si gioca meno al college oggi, i fondamentali hanno meno tempo di essere insegnati”.
  • Simmons gli fa notare che, poche sere prima della conversazione, Drummond ha dominato sotto le plance contro Boston in una sorta revival storico dei centri Anni Novanta. Poi gli parla di quando Draymond ha provato a fermare Embiid in post. “Detroit – afferma Kerr – sta cambiando il modo in cui usano Drummond: molto interessante. Ora gioca molto post alto, molti consegnati in palleggio, sta passando benissimo. Stan Van Gundy  ha fatto un grande lavoro, Drummond sta tirando benissimo i liberi, con una meccanica che mi ricorda quella di Oscar Robertson. La cosa più difficile da capire per il fan medio NBA è che ora è impossibile pensare di dare la palla in post ad un giocatore e chiedergli di produrre dal nulla”.

  • Simmons torna sul crocevia della carriera di Kerr, quell’estate in cui sembrava destinato a finire sulla panchina dei Knicks sotto il mentore Phil Jackson. “Onestamente, forse, ora sarei tornato in TV. Ogni coach sa che si dipende sempre dal proprio talento. I Knicks mi offrirono il lavoro molto prima che a GS si liberasse il posto. Stavo cercando di capire quale fosse la situazione giusta, i Knicks non mi convincevano del tutto ma cavolo, New York, Phil, il ruolo di capo-allenatore… Due/tre settimane dopo, chiamò GS. Io sono californiano, mia figlia andava a University of California, loro avevano tutto quel talento…
  • “Se i Cavs ’92 giocassero ora, tu e Mark Price sareste gli Splash Brothers?” chiede un ascoltatore. Kerr ride a crepapelle. “Non puoi essere uno Splash Brother se puoi tirare solo smarcato, su uno scarico un tiro che qualcun altro deve creare per te”. “Gli Splash Uncles“, ride Simmons.
  • “Posso aggiungere una cosa? Non so sei hai sentito questa citazione di Nick Young, che tra l’altro è uno splendido ragazzo. Qualcuno gli chiede se ora è uno Splash Brothers anche lui. E lui ha risposto: ‘Sì, sono quello che è appena uscito di galera’. Nick ha sempre il sorriso stampato in faccia, JaVale è un personaggio ma sempre positivo, siamo fortunati ad avere così tante personalità diverse”.
  • E il miglior compagno con cui Kerr abbia mai giocato? Esce il nome di Tim Duncan, ma: “Forse Sean Elliott“.
  • Domanda-Jordan, a parte l’alterco tra i due finito nel famoso cazzotto: “Ogni giorno era competitivo, ogni giorno parlava sporco. Chissà quanti giocatori se ne sono andati perché non ne reggevano i modi. Mai visto nulla del genere, da un punto di vista dell’approccio, da nessuno con cui ho mai giocato o che abbia allenato. L’allenamento significava così tanto per lui. Michael andrebbe a nozze con Draymond per quanto gioca duro”.
  • “Ai Bulls, era nostra abitudine avere una speciale sessione di tiro in allenamento chiamata Jack Haley, nostro ex compagno di squadra, 15esimo uomo, morto l’anno scorso – riposi in pace. Fu lui a volere questo shootaround. In principio eravamo lui, io, Jud Buechler. Ben presto Michael volle partecipare e ci ritrovammo in otto persone, a tirare per soldi. Tiravamo da dieci, quindici metri, posizioni strane insomma. Quando il tiro di Mike entrava, sembrava avesse vinto Gara 7 delle Finals”.
  • Si torna sul Flu-Game. “Tanti alberghi nel centro di Salt Lake City erano occupati, quindi ci toccò alloggiare in un resort a Park City, distante 45′ di pullman. Michael sta male: forse è l’altitudine. Al mattino era prevista una sessione di tiro in una palestra di un liceo a Park City , MJ stava malissimo”. Non cita la presunta intossicazione: Simmons gli fa i complimenti.

  • Ultima-domanda-Jordan: neanche MJ avrebbe vinto 6 anelli senza il Triangolo. “Era difficile da eseguire allora, fortunatamente c’erano Tex Winter e uno staff eccezionale. Ecco la mia storia preferita su Michael e il Triangolo. Io ancora non ero un Bull, MJ vinse il primo anello nel ’91 contro i Lakers. Lo stavano raddoppiando ogni volta. Così, nella partita che poi chiuderà la serie, durante un time-out, coach Kerr chiede a MJ chi è sempre smarcato. Nessun risposta. Michael chi è sempre smarcato? Silenzio. MJ allora!? Pax [John Paxson], la risposta di Mike. ‘Allora passagli quella fottuta palla’ sbotta Phil. Aveva una grande relazione con tutti. Jackson sfidava Michael perché era stimato da Michael. Il Triangolo non migliorò tanto MJ di per sè, ma il grado di interazione tra lui e chi gli stava attorno, quindi me, B.J. Armstrong… Quella è la chiave, e lo è ancora oggi: mantenere i giocatori coinvolti in attacco”.
  • Simmons e Kerr concordano su una cosa: Popovich alla Casa Bianca nel 2020. Viene accennato il tema sportivo-politico: “Penso che il ruolo di un atleta nel dibattito politico al giorno d’oggi debba essere scelto dall’atleta stesso. Nessuno è richiesto di dire nulla, ma tutti dovrebbero avvertire il diritto di dichiarare ciò che vogliono. È un principio del nostro Paese: libertà di parola. In diversi stanno sentendosi in dovere di parlare e far sentire la propria voce, i tempi che corrono, credo, ne hanno particolare bisogno. Le ripercussioni? A volte perdi voti, a volte ne guadagni, ma se credi davvero in ciò per cui ti impegni non dovresti essere preoccupato dalle conseguenze”.
  • “La Lega sta facendo un ottimo lavoro, Adam Silver è grandioso nel garantire ai vari giocatori di usare le proprie piattaforme per qualcosa di positivo. Nonostante siamo in un clima così politicamente diviso, nessuno sta sponsorizzando violenza”.
  • Una battuta su Rodman e la Nord Corea porta la conversazione sui cambiamenti che coach Kerr apporterebbe al regolamento: “Basta buzzer-beater. Servono limitazioni ai replay, i giocatori devono essere più liberi di giocare. Ricorda, Bill, che dopo il famoso tiro di Ray Allen per vincere Gara 6 nelle Finals 2013 nessuno chiamò time-out. Furono gli arbitri che andarono a controllare il video impauriti che potesse avere un piede sua linea del tiro da 2. Se gli Spurs avessero potuto giocare, probabilmente avrebbero preso un tiro molto migliore di quello che poi hanno sbagliato. Posso convivere con un errore di piede-sulla-linea se c’è in ballo il ritmo della partita”.

  • Quale grande giocatore, chiede Simmons, ti rende un grande allenatore? Uhm… Ci pensa un po’ Kerr, poi nomina Andre Iguodala, aggiungendo che potrebbe diventare a sua volta un ottimo allenatore.
  • Kerr non pensa che San Diego (che ha appena perso i Chargers della NFL) sia una città da NBA, nonostante viva lì dal 2004. Dispiaciuto per la partenza dei Chargers, ricorda di quando i Clippers erano lì negli Anni Settanta. E non andò benissimo.
  • Il più grande entourage che Kerr abbia mai visto attorno ad un giocatore? Quello di MJ, ma era prevalentemente staff della sicurezza.
  • Si riflette sul ruolo del centro nella NBA dei prossimi dieci anni. Kerr parla dei suoi lunghi a roster come di giocatori che fanno tante piccole cose specifiche, tra due lustri forse saranno tutti come Anthony Davis. “Il centro del futuro sarà versatile, coordinato, playmaker, protettore del ferro e passatore”.
  • Quei Bulls vs questi Warriors. “Contro quelle squadre degli Anni Novanta dovrei allenare i miei Warriors in maniera diversa. Contro MJ metterei Andre [Iguodala] per non far stancare troppo KD. Ma lo marcheremmo in tanti. Ogni volta che la gente chiede chi avrebbe vinto, rispondo sempre parlando delle regole: le regole sono molto diverse oggi. Come cavolo farebbe GS a marcare un quintetto con me, Jordan, Pippen, Kukoc e Longley? E loro a marcare un pick-and-roll tra Curry e Draymond? Quei Bulls erano tra i pionieri nel concetto di vorticosi cambi difensivi. Loro schiererebbero Harper-Jordan-Pippen-Kukoc-Rodman come quintetto base, abbasserebbero il pace, e santo Dio. C’era talmente tanta difesa illegale allora, ora si potrebbe difendere Michael a zona”.
  • Simmons fa notare a Kerr che, in un’immaginaria sfida tra i due squadroni, l’attuale allenatore di GS verrebbe portato in post da Shaun Livingston. “Allora feci sudare Stockton, la mia difesa non era così male. Lo odiavo, ora mi sta molto simpatico”.
  • Un ascoltatore torna mooolto indietro. 1987. C’è Kerr al bar con quattro compagni di squadra all’Università dell’Arizona: Sean Elliott, Tom Tolbert e Kenny Lofton. Chi si cucca la ragazza che tutti vogliono? “Un giorno al bar Kenny Lofton adocchiò una cameriera davvero carina. Provò a farsi dare il numero, non solo ci riuscì, ma ora sono sposati e hanno tre bambini. E pure Tolbert ha avuto le sue fortune”.

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Pubblicato da
Michele Pelacci

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