Golden State Warriors

Inside the NBA: Steve Kerr (pt.2) #6

Inside the NBA esce per la prima volta in back-to-back e vi offre la seconda parte della chiacchierata tra Bill Simmons e Steve Kerr [qui il link alla puntata precedente].

  • Si riparte  dalle fondamenta per creare una cultura vincente all’interno dello spogliatoio: “Tutto comincia dalle persone. Se hai buona gente, plasmare questa cultura diventa un compito più semplice. […] I nostri  ragazzi sono fantastici. Sono uomini squadra, vogliono giocare assieme, competere, fare tutti bene”.
  • Agonista per eccellenza del roster degli Warriors è Draymond Green. Dopo averne sottolineato una volta di più l’importanza, Kerr racconta un’interessante evoluzione nel rapporto con il suo #23 nelle ultime due stagioni: “Il primo anno ci urlavamo contro a vicenda. Io [lo facevo] per calmarlo, ma poi ho capito che aveva bisogno di urlare, bisogno di essere arrabbiato per giocare bene e quindi ho fatto un passo indietro. Adesso […] mi sento più che altro un fratello maggiore ed è più che mai una collaborazione. Cerco di tenerlo concentrato a guardare avanti nella giusta direzione, concedendogli  occasionalmente qualche sfogo. Ne ha bisogno”.
  • Momento trash, Bill Simmons:  “Draymond potrebbe vincere una stagione di «Survivor” se nessuno dei partecipanti sapesse di chi si tratta?” Kerr è categorico: “Non seguo il programma, ma so che gli altri sopravvissuti possono votare per mandare fuori una persona. Ecco, credo che lui durerebbe poco, forse un paio di giorni”.
  • Secondo Kerr lo spogliatoio  ospiti del Wells Fargo Center di Philadelphia è il peggiore a livello NBA: “Ci sono quegli enormi pilastri, due nel mezzo. Se cerchi di alzarti per parlare alla squadra non puoi vedere nessuno, ne vedi metà, L’altra metà è nella parte posteriore, dietro questi pilastro. Tu stai sbirciando oltre lo spigolo per fare un discorso motivazionale e pensi —Dove sei? Tu, vieni  per di qua. Non credo sia strategico, è semplicemente un’ architettura rivedibile”. “È il tipo di risposte di cui abbiamo bisogno. Riempi questo podcast”, commenta soddisfatto Bill Simmons nel formulare la domanda.
  • Salto indietro nel tempo alla stagione 2001-02, giocata a Portland. Gli aneddoti migliori di quell’annata hanno per protagonista Zach Randolph, all’epoca rookie: “Sono il suo più grande fan su questa Terra” ammette Kerr. “Ha un cuore d’oro. Quando l’abbiamo preso era un assoluto “cucciolo” [“puppy” ndr], aveva fatto un anno a Michigan State e gli inservienti sui nostri voli erano soliti chiamarlo «il bambino». Si sedeva in quello scomparto con me e Chris Dudley, entrambi eravamo sul finire delle nostre carriere. Lui aveva appena cominciato e non aveva alcuna idea di [cosa significasse] giocare nella lega. Aveva gli occhi sgranati e si chiedeva cosa stesse succedendo”. Aggiunge che dopo un mese di stagione, verso fine novembre, appariva  esausto e chiese quando fosse previsto il ritorno a casa per Natale  […] “Era così ingenuo, e adesso guardi a lui e a quanto è stato un pilastro nella comunità di Memphis, a quanto ha fatto bene. È  una delle grandi storie di successo che io abbia conosciuto”.
  • Domanda Jordan. Ci si interroga sull’impatto che i social media avrebbero potuto avere sulla carriera di MJ e sull’aura di mito ed esaltazione che ancor oggi circonda il suo nome. Kerr approfondisce il tema: “C’è ancora qualcuno osannato in quest’epoca moderna? Ne parliamo con il coaching staff tutto il tempo, questo è il momento più strano in cui vivere. […] Ciò che sembrava questa grande invenzione che avrebbe liberato il mondo ora improvvisamente è come se ci  avesse catapultato  in una situazione ribaltata, in cui abbiamo propaganda, disinformazione, diffamazione  e critiche a vicenda. E sembra non esserci nemmeno una buona notizia durante il giorno. Michael sarebbe stato massacrato in quest’epoca moderna”.
  • Cita a esempio il report apparso sul New York Times tra gara 1 gara 2 delle Eastern Conference Finals del 1993 [Bulls-Knicks 0-2], nel quale si raccontava una scappatella di Jordan all’Atlantic City Casinó, sottolinenandone la poca professionalità : “Stephen A. Smith di ESPN – afferma Kerr – avrebbe urlato [allo scandalo]”. Per dovere di cronaca i Bulls porteranno a casa la serie vincendo le successive 4 partite. #ConsiglioInside “The Jordan Rules” bestseller a firma di Sam Smith.
  • Simmons rievoca l’esclamazione colorita [f*****g ubelievable] con cui Kerr salutò “The Shot” vs Jazz nel ‘98: “Fenomenale momento di TV”.
  • Top 5 tiratori ogni epoca  Steph Curry, Klay Thompson —questi mi vengono subito in mente— Ray Allen, Reggie Miller, che, devo dire, non aveva un tiro pulito, classico come Klay Thompson: era più simile a Steph, era più una questione di ritmo tutto suo, ma aveva un range ridicolo”. Dulcis in fundo, Larry Bird. “Questa era per te” scherza Kerr. “Il difficile di queste domande è fare una classifica.
  • Menzione speciale nella classifica di cui sopra per Eddie Johnson: “Ho giocato con lui a Phoenix nel mio anno da rookie e aveva uno dei rilasci più puliti che io abbia mai visto. Aveva una pazzesca mentalità da tiratore. Non gli interessava nulla, lui avrebbe tirato. Penso abbia fatto 20.000 punti. [19.202 ,fonte Basketball Reference ndr] Nessuno si ricorda di lui ma è stato uno dei grandi realizzatori della sua epoca”.
  • Si passa a un argomento di stretta attualità come la one- and-done rule per i prospetti giovani. Steve Kerr ricorda di averne discusso qui qualche anno fa [Attenzione, il link fornito potrebbe urtare la vostra sensibilità se non avete ancora metabolizzato, a distanza di qualche anno, la chiusura di Grantland ndr].
  • “[All’epoca] credo di aver discusso a favore del two-and-done” prosegue Kerr. “Ora ho cambiato idea: credo che i giocatori dovrebbero avere la possibilità di uscire dalla high school e andare nella G League, che adesso è molto più sviluppata rispetto al passato. Penso che i giocatori debbano [poter scegliere eventualmente di] bypassare il college, andare direttamente tra i professionisti. Se è un giocatore tipo LeBron, Kobe [deve poter arrivare e giocare], altrimenti andare in G league. Dev’esserci un equilibrio. Andrebbe eliminata la one and done, è l’unico modo per far sì che possa funzionare. […]  LeBron forse era pronto per andare nella NBA nel 1999, nell’anno da Freshman alla high- school”.
  • Piccolo passo indietro al triennio 2007-2010  dietro la scrivania in quel di Phoenix, nel ruolo di GM, con riferimento alla discussa operazione O’Neal: Col senno di poi, guardando indietro, è stata una mossa sbagliata—ammette Kerr. “Non sono qui per difendere la mia reputazione.  Ce l’abbiamo messa tutta, l’abbiamo cercata, ma è stata fatta per la ragione sbagliata. […] Io ero un GM giovane. È quel tipo di mossa che cerchi ma che compromette, per così dire, la salute a lungo termine della franchigia.
  • I primi tre numeri che guarda nel boxscore sono la percentuale dal campo degli avversari, il numero di assist e palle perse della sua squadra: “Se difendiamo e ci prendiamo cura della palla, vinciamo, lo dico ai miei ragazzi. Questi tre numeri,
    sostanzialmente, raccontano la partita”.
  • In trasferta, indica Miami come città dove preferisce fare un pranzo o cena post- partita. Il ristorante? Miami, Prime One Twelve, “tutti lo conoscono”. “Ti farò una segnalazione fuori dal seminato: Valter’s [Osteria] a Salt Lake City, luogo fenomenale”.
  • Da buon ex Spurs non è esente dagli inviti a cena di coach Popovich: “Le cene di Pop sono incredibili, è il migliore da questo punto di vista”.
  • Angolo X&Os — si parla di disegni di situazioni da rimesse laterali [SLOB è l’acronimo inglese ndr]: “Non ne ho mai fatto uno da solo. Rubo tutto” confessa l’allenatore degli Warriors. “La maggior parte dei coach fa così. Rubi qualcosa e poi lo aggiusti per il tuo roster, i tuoi uomini. Brad Stevens è grandioso, disegna grandi giochi. Uno dei ragazzo più sottovalutati a mio avviso è [invece] Dave Joerger”.
  • L’allenatore dei biancoverdi  rinomina le situazioni di gioco «Spoelstra», «Popovich» e via dicendo. “Le ricorda così” aggiunge Kerr a metà tra il divertito e l’ammirato.
  • Quando era impegnato nelle vesti di commentatore per TNT, Kerr teneva sott’occhio i giochi chiamati dagli allenatori: da Fred Hoiberg ha preso la celebre chiamata “Cyclone”. Lo stesso schema, in casa Bulls, è chiamato “Cougar” Il motivo è presto svelato: “ [Hoiberg] L’aveva preso dai Cougars di BYU”. [Brigham Young University ndr].
  • Tiger Woods l’ha contattato per fargli sentire la vicinanza dopo i problemi alla schiena: “Le due situazioni sono un po’ diverse, ma è stato carino da parte sua”.
  • Il più grande errore che un allenatore possa fare è quello di scegliere un incarico inadatto: “La maggior parte degli allenatori non ha il lavoro che vorrebbe”. […] “Basandomi sulla mia esperienza [posso dire] che devi scegliere l’incarico giusto perchè l’inizio della tua carriera condiziona il resto del percorso.
  • Brad Stevens gli ha chiesto un parere prima di accettare l’offerta di Boston: “Ha  il lavoro giusto. Non aveva talento [riconosciuto], ma ha firmato un contratto di sei anni e ha Danny Ainge come partner. Cita David Fizdale per il rovescio della medaglia ma aggiunge: “Sicuramente avrà una seconda chance”.
  • Fuori i secondi (dietro MJ). Kerr fa il nome di Bill Russell, ma chiede subito  di riformulare la questione prendendo in considerazione solo giocatori di cui abbia potuto apprezzare le gesta: “Ora sono in difficoltà di fronte a una mia domanda” scherza nervoso. “ Direi Hakeem, Shaq, si potrebbe perorare la causa di ognuno”.
  • La scelta cade su LBJ: “Penso che LeBron si stia distinguendo dagli altri. È sempre stato fenomenale, ma andare alle Finals per 7 anni di seguito è qualcosa di folle [“insane “ndr]. Non so se la gente capisca il peso emotivo che ciò comporta. Michael Jordan c’è andato per tre anni di seguito e poi ha mollato ed è andato a giocare a baseball per un paio d’anni: era fritto”.
  • Momento Jordan: “Forse il 1990- 91 [28 marzo 1990 per la precisione]. Fece il Career high segnandone 69 al Ritchfield Coliseum. […] Non ho mai visto nulla di simile. Era di gran lunga sopra chiunque altro in cio che stava facendo, così dominante, quasi da far sembrare unfair ciò che stava succedendo in campo.
  • “La prima volta che lo marcai, ad ogni modo, fu come su un cambio” —prosegue Kerr— “fece la sua finta con la testa, prima da una parte, poi dall’altra e poi tornò  al “percorso” originale. Fui così ingannato dalla prima finta che ero ancora lì e di fatto ero ancora di fronte a lui. Ero troppo lento per andare a coprire sulla seconda finta. Fu come se si fosse fatto la finta da solo. Stetti di fronte a lui sfidandolo, sbagliò il tiro, ci fu un time-out”. Kerr ricorda i complimenti ricevuti: “Non ebbi il coraggio di dire che il tutto era stato fortuito”.
  • Se venisse rivelato che un giocatore NBA è  in realtà un alieno, si tratterebbe senza dubbio di Giannis Antetokounmpo: “Non può essere umano”.
  • Anello da allenatore vs anello da giocatore: “È diverso, ugualmente sodisfacente. Per certi versi il titolo da coach del ‘15 fu il momento più incredibile della mia carriera, non migliore, ma diverso, scioccante. Al primo anno. […] Quando giochi sei per  così dire  responsabile di te stesso Come  coach hai meno controllo, ma più responsabilità”.
  • Se fosse il prossimo POTUS, tra ex o attuali giocatori, allenatori o proprietari, sceglierebbe come Segretario di Stato Shaun  Livingston.
  • Non sopporta le interviste obbligatorie agli allenatori nelle pause tra un quarto e l’altro: “Sono tutte banalità e non penso che i telespettatori ne traggano molto”.
  • “The Block” rewinded: “Se sei un tifoso, assimili subito la cosa come una delle più incredibili cui tu abbia assistito, ma se sei un allenatore e stai allenando contro una cosa del genere sei [impotente]. […] Non sentivamo di avere due punti automatici. Chi permise la giocata fu J.R. [Smith] perche andò per  la palla rubata e fece tentennare Andre [Iguodala]: quell’esitazione diede a LeBron il tempo sufficiente per recuperare”.
  • Kerr non dorme sugli allori del passato: “Non guardo troppo indietro, ma riconosco la fortuna di aver giocato in grandi squadre e queste esperienze significano un mondo per me ma non ci penso ora”.
  • Non presta troppa attenzione al parametro statistico PER, mentre è molto meticoloso nell’analisi del plus minus: “Steph Curry fa andare il nostro motore e questa statistica lo mostra. Ci potrebbero essere partite dove tira 5-18, 17 pt, 9 assist a tabellino e ti accorgi che il plus minus è +32”.

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Pubblicato da
Nicolò Basso

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