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Ricordarsi di DeMar DeRozan

Adattarsi ai tempi

Tuttavia, più che alla quantità di tiri presi, è forse la tipologia degli stessi che rende manifesto il grande cambiamento nello stile di gioco di DeRozan – e più in generale di tutta Toronto – messo in mostra in questa prima parte di stagione; un cambiamento che ha finalmente fatto allineare la squadra canadese e il suo go-to-guy con la nuova NBA, fatta di ritmi alti ma soprattutto di costanti spaziature e ricerca esasperata del tiro da fuori, un fondamentale che al numero #10 – innamorato dei suoi fadeaway bryanteschi dal gomito – non era mai andato a genio. Ma se è vero – e lo è – che l’NBA è uno dei contesti maggiormente rappresentativi della veridicità della teoria evoluzionista darwiniana per la quale o ti adatti o soccombi, ecco che dovere impellente di DeRozan era quello di modificare radicalmente il proprio game style, rivoluzionando per prima la propria selezione di tiri. Detto fatto.

Confrontando le Scoring splits dello scorso anno con quelle della stagione corrente si vede immediatamente come il rapporto delle percentuali di tiri da dentro e da fuori sul totale delle finalizzazioni della guardia di Toronto sia mutato radicalmente, passando da un rapporto 92-8 (naturalmente 92% dentro l’area, 8% da fuori) ad un rapporto 82,1-17,9%, con i tentativi da fuori che sono saliti da 1.8 a 3.2, realizzati con un discreto 36,8% (di nuovo tutti massimi in carriera). Sia chiaro: non siamo in presenza di un nuovo Klay Thompson. La maggior parte dei tiri di DeRozan continua ad arrivare dal mid-range (sono già 252 le conclusioni tentate), e la grandissima maggioranza continua ad essere non assistita (77,2%) e costruita dal palleggio. Tuttavia, è altrettanto innegabile che ci troviamo in presenza di un giocatore che ha mutato – e sta mutando – il proprio modo di stare in campo, traendo peraltro grande giovamento dal mutamento stesso anche nelle giocate a lui più care.

Perché, molto banalmente, è chiaro che se il tuo marcatore sa che solo l’8% delle tue conclusioni avviene da fuori avrà ben cura a mantenere un passo in più di distanza quando ti trovi fuori dall’arco, o sarà meno in affanno in un eventuale closeout su uno scarico, o ancora non avrà problemi a passare sotto il blocco. Se invece lo stesso sa che può aspettarsi anche un tiro da tre perché ha di fronte uno shooter affidabile, non potrà permettersi un closeout lento, né uno spazio di separazione troppo grande nell’1vs1, né tanto meno di essere pigro sui blocchi, è questo renderà più facile batterlo dal palleggio o sul primo passo, per poi magari arrestarsi e segnare un tanto amato jump shot con un po’ più di spazio (la percentuale di realizzazione dal mid-range era al 41% lo scorso anno, mentre attualmente è al 47,6%) o puntare direttamente il ferro.

Due considerazioni. 1. DeRozan che si piazza buono buono nell’angolo sul pick-and-roll NON è affatto una cosa usuale. 2. Siamo a inizio partita: guardate dopo lo scarico di Lowry dove si ferma il closeout di Snell (sì, ok il wingspan del difensore dei Bucks, però c’è comunque un metro abbondante tra i due)

Altra partita, situazione analoga alla precedente, ma siamo negli ultimi 3 minuti con DeRozan che ha già più di 30 punti e 4 triple a referto. Da notare la differenza nel closeout di Dunn, rispetto a quello precedente

108 sono le triple tentate da DeRozan in tutta la scorsa stagione, e realizzate con il 26%; 109 sono quelle tentate fino a qualche partita fa, con una percentuale di realizzazione del 37%

Importante è notare, a questo punto, come tale mutamento abbia influito positivamente sull’efficienza offensiva complessiva di DeRozan, che proprio quest’anno sta facendo registrare Offensive Rating e Net Rating più alti della sua carriera (113,6 e 8,3, rispettivamente 3,4 e 5 punti in più rispetto alla scorsa stagione).

E allora cosa manca?

Dovrebbe essere la vostra domanda. Posta l’abilità di scorer da top-10 della lega, posta la capacità di segnare – da quest’anno – da pressoché ogni posizione e in qualsiasi modo, posta l’abilità di crearsi da solo i propri punti (da ricordare anche che parliamo di uno dei migliori giocatori a guadagnarsi i liberi, 8 per game anche quest’anno) e posto infine il fatto che parliamo di un go-to-guy di una squadra di primo livello, cosa manca a DeRozan per essere considerato alla stregua dei mostri sacri? Tre cose in particolare, che mettiamo in ordine per semplicità.

1. Imparare a giocare (ancora) di più senza la palla in mano. DeRozan è forse un top-5 in NBA per quanto riguarda la costruzione individuale dei propri tiri. Il suo footwork è una delle cose più belle da vedere ogni notte, e grazie alle sue lunghe braccia, all’elevazione ed al wingspan che si ritrova, dal gomito risulta quasi immarcabile in single coverageTuttavia è necessario un ulteriore sforzo da parte del numero #10 per rendere il proprio gioco offensivo ancora meno prevedibile e monodimensionale, e per garantire maggiore pericolosità a se stesso e soprattutto all’intera squadra. Diciamo “ulteriore sforzo” perché comunque dei passi avanti sono stati fatti rispetto alla scorsa stagione: la percentuale delle conclusioni in spot-up è salito dal 6,9% al 7,7%, quella delle conclusioni dopo un taglio dal 0,8% al 2,3%, mentre si è mantenuta uguale al 7,2% quella dei tiri off the screen, concluse però in maniera migliore. Rimane però ancora alto il numero di palleggi, visto che il 36% delle conclusioni continua ad arrivare solo dopo 3-6 palleggi, e il 24% dopo più di 7.

2. Iniziare anche a difendere. Intendiamoci: non è che DeRozan sia l’unico All-Star che tende a focalizzarsi solo una metà campo tralasciando completamente l’altra, ma con i mezzi fisici e atletici straordinari che si ritrova dovrebbe/ma soprattutto potrebbe fare molto di più.

No.

Posizione del corpo sbagliata, ginocchia non piegate, bruciato sul primo passo, due punti facili

In questo caso le statistiche sono abbastanza impietose. Il Defensive box plus/minus dice -1.54, meglio del 2.04 dello scorso anno, ma comunque un dato parecchio negativo visto che parliamo dell’88esima guardia su 105. Ma il dato che meglio rende l’idea è quello che calcola l’efficienza difensiva di squadra su 100 possessi con lui in campo e con lui fuori: Toronto, infatti, con DeRozan on the court ha un Defensive Rating di 105.3, mentre con lui fuori questo scende fino a 97.6, con un Offensive Rating che però, a sua volta, scende da 113.6 a 104. Che poi detto in soldoni significa che giocare con DeRozan in difesa è un bel peso, ma giocare senza DeRozan in attacco lo è ancora di più.

3. Smettere di scomparire quando arrivano i playoff. Lo fa sistematicamenteda sempre. Crollano i numeri, crollano le percentuali, crolla lui e con lui tutta Toronto. La ragione è difficilmente riscontrabile se non andando per teorie varie, la più valida delle quali sembra quella per la quale, una volta arrivati ad aprile, le squadre tendono ad alzare i ritmi, le difese a stringere le maglie, e un gioco – fino all’anno scorso – molto leggibile come quello dei ragazzi di coach Casey (e di DeRozan stesso) diventa più facilmente marcabile – di nuovo, per conferma rimandiamo all’ultima serie contro i Cavs. A riguardo, però, attendiamo speranzosi smentite sul campo da parte dei diretti interessati al termine di questa regular season.

E’ vero, questi sono dei passi indispensabili che DeRozan deve ancora compiere. Eppure no, non può bastare. Non può essere sufficiente riscontrare queste “lacune” – comunque molto rilevanti – per continuare a non vedere che adesso abbiamo di fronte agli occhi un giocatore nel pieno della sua maturazione cestistica, un All-Star fatto e finito che al momento sta giocando allo stesso livello di quei 4-5 che a giorni alterni sono MVP della stagione sulla bocca di tutti. DeRozan da anni merita più credito di quanto non gliene si dia in realtà e ne merita ancora di più questa stagione. Parliamo di Harden, di LeBron, di Westbrook e di Irving, ma parliamo anche di DeMar DeRozan. E quando lo facciamo riconosciamogli, finalmente, tutto ciò che gli spetta.

Statistiche aggiornate al 08-01-2018

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Pubblicato da
Alessandro Zullo

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