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La NBA a Londra

Tirare le somme dopo una tre giorni londinese così colma di basket NBA non è semplice. Bisogna tenere conto di tanti fattori, spesso emotivi, ma è doveroso iniziare col dire che il London Global Game 2018 è stato un successo. Un successo soprattutto per la qualità delle squadre in campo (decisamente meglio rispetto agli anni passati) e per l’organizzazione fuori: da questo punto di vista la National Basketball Association ha davvero pochi rivali in tutto il mondo. L’unico piccolo rammarico può riguardare l’andamento della partita, con i 76ers dominanti nel primo tempo e i Celtics spaziali nel secondo, ma non si può avere tutto dalla vita. Anzi, ci si può anche ‘accontentare‘ di poter ammirare da così vicino giocatori come Irving, Embiid, Simmons e compagnia.

Kyrie Irving, jumpshot in slow-motion.

L’organizzazione dicevamo. Sì, perché per tutta la stampa la partita non comincia il giovedì alle 20 (London Time), ma due giorni prima, il martedì. E per un appassionato di NBA quei due giorni rappresentano il paradiso: possibilità di assistere a bordocampo a scorci di allenamento delle squadre, con i campioni a pochi passi da intervistare subito dopo.

Boston Celtics a rapporto da coach Brad Stevens

 

Jayson Tatum

Kyrie Irving

 

È impressionante il numero di persone coinvolte da tutta l’organizzazione NBA: tra i coach, gli specialisti del tiro, i preparatori atletici, i fisioterapisti, gli incaricati a passare la palla o a raccoglierla. Ogni allenamento delle squadre è accompagnato da un numero così alto di addetti ai lavori da far spavento. Ma questo non riesce comunque a distogliere l’attenzione da loro, i veri protagnisti: i giocatori. Appunti vari sui Celtics: la ‘freddezza‘ sportiva di Tatum in ogni movimento, la capacità di Irving di stare in aria e cambiare quattro volte tipo di layup, l’etica del lavoro di Horford, l’imprecisione al tiro di Smart… Tutte cose note, viste e riviste, ma avere la possibilità di ammirarle da bordo campo è un’emozione che auguro a tutti gli appassionati NBA di poter provare almeno una volta nella vita.

Ben Simmons

Joel Embiid

Terminato l’allenamento dei Celtics arrivano loro: i Philadelphia 76ers. Ma soprattutto arriva lui: Joel Embiid. In TV sembra grosso, è vero, ma dal vivo, fidatevi, è indescrivibile. Una montagna che si muove per la palestra in grado di catalizzare l’attenzione di tutti, dai giornalisti agli altri giocatori, dai passanti ai bambini: non notare un superuomo del genere è praticamente impossibile. Ed è per questo che poi quando lo si vede muoversi da guardia sul parquet ci si stupisce: a rigor di logica dovrebbe essere impossibile. Ma non solo The Process, ovviamente. Il controllo su tutto ciò che lo circonda di Simmons, la bellezza ammorbante della meccanica di tiro di Redick, la normalità di McConnell. È impressionante vedere dal vivo questi superuomini al lavoro. La capacità di coordinare una stazza sovraumana ad una leggiadria nei movimenti fuori dal comune lascia a bocca aperta.

Ma i due giorni di allenamento non sono che l’antipasto: la portata principale è la partita.

Una lacrimuccia qui è scesa.

Partiamo dall’O2 Arena. Un colosso mastodontico incastonato nell’est di Londra in grado di contenere quasi 20mila spettatori, e capace di  far strabuzzare gli occhi a chiunque, una volta pieno. Ma anche vuoto ha il suo perché.

O2 Arena, London

 

Philadelphia è partita a mille, trascinata da un Redick praticamente infallibile al tiro e da un Ben Simmons dominante in attacco, mentre chi ha faticato parecchio contro l’ottima difesa dei Celtics è stato Embiid: anche quando accoppiato con Theis, apparentemente il meno rognoso rispetto agli ottimi Horford e Baynes, il lungo camerunese non è riuscito a sfondare come è solito fare. Peccato Joel, sarà per la prossima. Dopo aver realizzato ben 11 delle prime 17 conclusioni dal campo e aver toccato il +22, Phila però ha iniziato a sciogliersi come neve al sole, mentre Boston, come spesso le è capitato di fare in questa stagione, ha saputo reagire, riportandosi a contatto. E nel secondo tempo non si è più voltata indietro, premendo sull’acceleratore e facendo ‘mangiare la polvere’ a dei 76ers lontani parenti da quelli visi nei primi 15 minuti di partita.

Poter ammirare dal vivo le gesta di giocatori come quelli impegnati a Londra, comunque, è privilegio per pochi, e sono certo che i 20mila spettatori del London Global Game 2018 difficilmente dimenticheranno le movenze di Irving, la pulizia dei movimenti di Embiid, l’apparente onnipotenza di Simmons.

C’è un’emozione, però, che forse più di altre mi porterò nel cuore da questa fantastica esperienza londinese. Una sensazione provata a circa mezz’ora dalla palla a due, con entrambe le squadre in campo per il riscaldamento e l’adrenalina a mille: da un lato la voglia che iniziasse la partita per vedere finalmente in azione, per davvero, quei superuomini. Dall’altra il desiderio che quell’attesa potesse essere interminabile, potesse non finire mai. Per continuare a poter vivere dentro un sogno.

Un sogno che poi, nella conferenza stampa post-partita, ha messo la ciliegina sulla torta.

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Pubblicato da
Andrea Falcetti

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