La copertina di questo pezzo è una polaroid del fotografo NBA Matteo Marchi, bravo e bello.
New York, Madison Square Garden. In campo ci sono i New York Knicks e i New Orleans Pelicans, impegnate in una di quelle NBA Sundays così poco belle da finire all’overtime alla ricerca di un qualche riscatto estetico. Siamo sul 118-117 per NOLA, mancano circa 70 secondi sul cronometro del supplementare e soli 8 secondi in un asfittico attacco dei Pelicans: Jrue Holiday, accoppiato con un buon difensore come Courtney Lee, sembra avvertire un minimo un senso di urgenza ma non riesce a costruirsi un vantaggio, quindi è costretto a mettere passivamente la palla nelle mani di Anthony Davis in post medio. Il lungo è marcato da uno stoppatore d’assoluta élite come Porzingis, che può vantare anche una posizione di leggero anticipo che costringe Holiday ad alzare la parabola del passaggio, con il risultato di dissipare qualche altro decimo di secondo e far perdere la posizione al proprio compagno, costretto ora ad attaccare su un quarto ristretto di campo a pochi secondi dal termine.
La ricezione è complessa e il lungo lettone reagisce bene anche alla partenza sul fondo, il 23 dei Pelicans può solo arrestarsi a due tempi dopo essersi messo per qualche istante con le spalle all’avversario. Riesce a creare un minimo di separazione tra sé ed il lungo Knicks ma sembra anche scegliere il lato sbagliato per completare il movimento di tiro: finisce con i due piedi paralleli alla linea di fondo e dispone di un angolo ristrettissimo per evitare il tabellone e le braccia protese di Porzingis. Ovviamente la palla che finisce in fondo al canestro: è la fuga buona. Vince New Orleans 118-123, per Davis sono 48 punti e 17 rimbalzi.
Le immagini parlano da sole.
Due giorni dopo, i Pelicans hanno proseguito la loro tourneè in trasferta al Boston Garden e la partita è finita nuovamente all’overtime. Sul 109-108 per i padroni di casa, il monociglio ha convertito una schiacciata al volo che ha sancito il sorpasso. Boston non è più riuscita a mettere la testa avanti e per New Orleans è arrivata un’altra vittoria. Per AD, invece, un’altra serata da 45 punti e 16 rimbalzi.
Nella gara immediatamente successiva, invece, The Brow ha realizzato appena 8 punti e 7 rimbalzi, toccando il proprio minimo in carriera quando il suo minutaggio ha raggiunto i 20 minuti. In ogni caso Anthony Davis è reduce da due trasferte consecutive nelle ultime tre in cui ha sfondato i muri dei 45 punti e dei 15 rimbalzi, un’impresa che nessuno aveva compiuto negli ultimi 30 anni. Per capirci, l’ultimo a riuscirci era stato un mostro sacro come Charles Barkley nel 1988. Contro quelle specifiche avversarie, New York e Boston, l’unico a riuscire in due prestazioni consecutive di questo calibro è stato Wilt Chamberlain, oltre cinquant’anni fa.
Non è nemmeno la prima volta in cui Davis riesce ad inanellare simili cifre per due gare di fila: gli era già successo nelle prime due gare della scorsa stagione, entrambe perse. Gli unici altri giocatori capaci di infilare numeri questa portata in back-to-back sono stati Elgin Baylor, Bob McAdoo, Walt Bellamy e Moses Malone. A sommarsi a queste cifre, già spaventose, arriva poi un dato ancora più interessante: in questa stagione Davis viaggia a 26.7 punti di media e 10.5 rimbalzi con il 55.7% dal campo. Nessuno dai tempi dello Shaquille O’Neal della stagione 2002-03 ha mai chiuso la stagione con 27+10 ed il 56% dal campo e Davis, prima della difficile gara di Atlanta, era ampiamente in media. Già, ma Shaq non tirava con quella leggiadria da ogni zona del campo, non aveva la licenza di spingere immediatamente la palla nella metà campo avversaria dopo il rimbalzo e, una volta nella propria metà campo, non ha mai dovuto lavorare sugli spostamenti orizzontali con l’efficacia di Davis.
Anthony Davis è tranquillamente in grado di mettere dei tiri pesanti, non ha problemi a scrivere il proprio nome di fianco a quello degli All-Time Greats ed è, numeri alla mano, autore di una delle più grandi stagioni individuali per un big man della storia recente della NBA. E allora, perché ci sembra così lontano il giorno in cui il monociglio si prenderà la NBA?
Non ce ne vogliano le leggende sopra citate, ma nessuno di loro possedeva un patrimonio genetico difensivo di questa caratura, sommato a quel talento all-around nella metà campo offensiva.
A soli 24 anni Davis è già stato inserito due volte nel miglior quintetto NBA, ha già fatto segnare il record di punti per un All-Star Game, è già stato protagonista di una stagione in cui è stato in grado di portare i suoi ai Playoffs praticamente da solo e ha già dimostrato di poter condividere il campo con una star di pari livello riportando la propria squadra ad essere competitiva per la post-season. Questi risultati lo rendono, ormai, nell’immaginario collettivo, uno dei primi 7-8 giocatori del mondo e fanno apparire i suoi record di questa stagione come dei traguardi dovuti, che possiamo quasi dare per scontati.
Il prossimo passo sembrerebbe inevitabilmente quello del raggiungimento del premio di MVP, pronosticato per lui sin dal suo arrivo nella lega, e quello ancora successivo lo vede padrone più o meno incontrastato della lega. Questi step successivi, però, non sembrano tanto immediati quanto il talento di Davis farebbe pensare.
Inserendo “Davis future MVP” in qualsiasi motore di ricerca verrete subissati da questi video dai toni a metà tra le profezie vetero-testamentali e i trailer da disaster movie.
Dopo un’estate passata ad interrogarci su come sarebbe stata la convivenza tra lui e Cousins ed un avvio di stagione in cui abbiamo apprezzato la capacità di adattamento del duo, sorge spontaneo il passaggio che ci conduce a cercare una risposta a questa domanda. Le ragioni, in realtà, sono molteplici e sono sotto gli occhi di tutti. Giusto per ricordarne un paio: la possibilità che i Golden State Warriors tiranneggino sulla NBA per ancora un lustro sono saldamente in piedi ed è altrettanto viva la possibilità che i New Orleans nello stesso lasso temporale non riescano a mettere al servizio del numero 23 una squadra competitiva.
Non è, infatti, un mistero che il primo obiettivo della prossima free agency dei Pelicans sia quello di rinnovare DeMarcus Cousins, che sicuramente firmerà un contratto molto diverso da quello “a prezzo di saldo” di cui è attualmente titolare (18.063.850 $). Sia in caso di rinnovo che in caso di addio di Boogie, però, la situazione non sembra assolutamente favorevole ad una svolta verso la contendership a breve giro di posta. Se il numero 0 decidesse di firmare altrove potrebbe materializzarsi un disastro, per la franchigia della Lousiana: quella in corso potrebbe tramutarsi una singola, costosissima, stagione da Playoff, pagata anche con l’impossibilità di selezionare nella pregevolissima lottery del 2018, con l’impossibilità di tornare immediatamente in post-season nel competitivo West e con l’incapacità di rifirmare un free agent di livello che sostituisca Cousins. E Davis potrebbe addirittura chiedere una cessione che avrebbe i contorni dell’Apocalisse Nucleare per New Orleans.
La non eccellente situazione salariale a New Orleans. (Dati Basketball Reference)
Ma, anche laddove Cousins rinnovasse con NOLA, sapremmo con certezza che un’ossatura composta da Davis, Boogie e Holiday (sotto contratto fino al 2022) non può condurre più lontano del primo turno di Playoff e che, al contempo, non favorisce la formazione di un adeguato cast di supporto. Complici i pessimi contratti di Solomon Hill e Omer Asik (quest’ultimo con early termination option in favore del giocatore) fino al 2020, New Orleans è già in questa stagione la settima squadra più costosa della lega con oltre 122 milioni di payroll. Nella prossima stagione, invece, New Orleans dovrà fornire oltre 94 milioni garantiti ai giocatori già sotto contratto ai quali si sommerebbe, ovviamente, il faraonico ingaggio del rinnovante Cousins. Una situazione salariale molto difficile che rischia di tramutarsi in un dedalo sanguinoso per la franchigia della Louisiana. Tutto ciò, ovviamente, è un grande intralcio per l’ascesa definitiva di Anthony Davis che, da parte sua, ha sempre detto di voler restare nella città in cui è nato il jazz.
Il complesso degli elementi fin qui elencati spinge inesorabilmente a rilegare Davis in quel limbo a cui gli addetti ai lavori avevano circoscritto il Garnett fino al suo passaggio ai Celtics: fino al 2008 Garnett non aveva mai passato il primo turno di Playoff, ad eccezione della stagione 2003-04, quella culminata con l’MVP e l’eliminazione alle finali di Conference per mano dei Lakers. Insomma, Davis potrebbe essere prossimo a diventare quel giocatore di cui si dice “fortissimo ma con lui non si passa nemmeno un turno di Playoff”, una versione minore e più degradante del “fortissimo ma con lui non si vince” che era stato il leitmotiv delle carriere di LeBron James e Kevin Durant fino alle rispettive decisions.