Premessa: se un giocatore NBA arriva a una partita indossando un maglione natalizio di Rick & Morty, non può non essere il vostro giocatore preferito. Rifletteteci. (Se non sapete cosa sia Rick & Morty, la situazione è peggiore del previsto e potete subito smettere di leggere).
Aggiungiamo alla ricetta il fatto che suddetto giocatore NBA sia neozelandese, non esattamente un popolo noto per la pallacanestro, che sia entrato nella lega come cassiere di un minimarket un po’ troppo cresciutello e in quattro anni sia diventato titolare in una delle migliori squadre NBA, e abbia anche recitato ne ‘Il Trono di Spade‘:
C’è chi dice che in realtà si tratti di Jason Momoa, ma sono solo speculazioni, non credetegli. (Photo by Uproxx)
Ma come ha fatto un ragazzone neozelandese a diventare uno dei centri più funzionali e tough della lega?
Steven Adams viene draftato dagli Oklahoma City Thunder il 27 Giugno 2013 con la 12esima scelta assoluta, una bella investitura per uno che ha giocato a livello professionistico solo con i Wellington Saints (NZL), prima di trasferirsi negli USA e disputare la stagione 2012-13 alla University of Pittsburgh senza impressionare particolarmente.
Arrivato a OKC, si trova davanti Kendrick Perkins come titolare e Hasheem (The Dream) Thabeet come rivale per il ruolo di backup. Se battere la concorrenza del tanzaniano e diventare la seconda scelta di Scott Brooks nel ruolo non è impresa troppo ardua, la prima stagione NBA di Adams non può che riservargli una quantità limitata di minuti (15 a partita per l’esattezza), che il #12 sfrutta facendo registrare 3 punti e 4 rimbalzi a partita. La stagione si rivela ancora una volta di alto livello per i Thunder, che chiudono la regular season con 59-23 di record e nei playoff, dopo aver battuto Grizzlies prima e Clippers poi, si fermano soltanto in finale di conference arrendendosi per 4-2 agli Spurs poi campioni NBA.
Al secondo anno c’è il primo importante salto di qualità, le condizioni fisiche di Perkins cominciano a deteriorarsi e ad Adams vengono concessi 25 minuti a partita, buoni per far raddoppiare la sua produzione statistica in tutte le voci e mettere in chiaro che sì, il centro titolare del futuro sarà lui. L’annata si rivela però sfortunata per la squadra, che incappa in un brutto infortunio per Kevin Durant e, sulle spalle di Russell Westbrook, non riesce a qualificarsi ai playoff nonostante il record dica 45-37.
Il 2015-16 è l’anno della svolta.
Perkins leva le tende, dopo che qualche mese prima era stato dato il ben servito a Scott Brooks, e adesso sulla panchina di OKC siede Billy Donovan, che dimostra fin da subito di considerare Adams il centro titolare della squadra (nonostante l’arrivo di Enes Kanter).
Nel frattempo è cominciata la trasformazione da cassiere del minimarket a next Khal Drogo. (Photo by Thunderous Intentions)
I Thunder hanno voglia di tornare a caccia dell’anello che ancora manca, e nonostante questa sia l’annata del record dei record di Golden State, e la seconda della classe a Ovest sia considerata da tutti San Antonio, la squadra non si fa minimamente intimorire. Terminata la regular season con record 55-27, ai playoff si libera prima per 4-1 dei Dallas Mavericks, e poi per 4-2 proprio degli Spurs, arrivati come favoriti a detronizzare gli Warriors ma investiti da un atletismo mai di così alto livello da parte dei Thunder. In finale di Conference ci sono proprio Curry, Thompson e compagni, e il risultato è una serie che diventa immediatamente un istant classic della storia dei playoff.
Pronti via e subito una sorpresa, gli imbattibili Warriors del 73-9 concedono il fattore campo a OKC in gara 1, perdendo 108-102, e poco importa ai Thunder se nella seconda partita il risultato si ribalta e dice 118-91. Si torna alla Chesapeake Energy Arena sull’1-1, l’importante è questo.
Ed è proprio qui che accade l’incredibile.
I Thunder fanno tutto quello che serve per mandare in tilt Golden State, niente che nessuno durante l’anno fosse mai riuscito anche solo a pensare, e in due partite incredibili davanti al pubblico di casa rifilano agli avversari un parziale complessivo di -52, portandosi sul 3-1. In quei 96 minuti la squadra di Billy Donovan travolge i Warriors con l’unica arma in più che possiede, un atletismo ai limiti del livello olimpico, corpi sensibilmente più grossi e un’intensità difensiva che manda totalmente in panne il perfetto sistema offensivo di Steve Kerr, proprio nell’anno in cui la NBA si rivela definitivamente al mondo come small-ball league.
In questo tripudio di muscoli, Adams si staglia come principale baluardo difensivo insieme a Serge Ibaka, gioca 28 minuti a partita nelle 7 della serie, e fa registrare 10 punti, 9 rimbalzi, 1 assist e una stoppata di media, alternandosi insieme a Enes Kanter nell’attività di maltrattamento di Andrew Bogut (australiano, in un derby dell’Oceania stravinto dal nostro).
Secondo Basketball-Reference.com, quando Adams è in campo durante la serie OKC segna 122 punti su 100 possessi, l’Offensive Rating più alto non solo tra i giocatori dei Thunder, ma in assoluto di entrambe le squadre a pari merito con Andre Iguodala (e secondo solamente ai 128 punti su 100 possessi proprio di Bogut, che però gioca solo 18 minuti a partita). La presenza sul parquet di Adams rende i Thunder più solidi in difesa – nonostante il suo rating difensivo sia il quarto della squadra, dietro Durant, Westbrook e Ibaka – e automaticamente permette ai suoi compagni di generare attacchi più dinamici e incontrollabili per la super-organizzata difesa degli Warriors.
Poi oh, è neozelandese, il suo popolo gioca solo a rugby, e quindi deve piazzarci anche roba così.
Che poi dopo non aver chiuso la serie in gara 5 a Oakland i Thunder siano caduti anche tra le mura amiche, sotto un’impressionante serie di bombe sganciate da Klay Thompson, e abbiano inevitabilmente, anche se lottando, ceduto le Finals del 2016 ai Golden State Warriors, è un altro discorso. Come è un altro discorso il fatto il nostro amico neozelandese sia stato colpito ripetutamente nelle parti basse dai calci di Draymond Green, che colto in flagrante dalla prova tv non è mai stato squalificato, cavandosela con una multa “per non rovinare le WCF”, parole e musica di Stephen A. Smith.
Ferita ancora aperta, ma andiamo avanti.