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La rivoluzione dei Cleveland Cavs

La copertina è una polaroid del fotografo NBA Matteo Marchibravo e bello.

Non c’erano alternative. O meglio forse c’erano ma la letteratura sull’analisi della politica estera suggerisce che una situazione di crisi viene percepita quando si presentano i seguenti indicatori: minaccia ai valori di una nazione, possibilità di un conflitto armato, tempistiche decisionali risicate. Per quanto riguarda l’attacco armato per ora Cleveland dovrebbe essere al sicuro (a luglio, quando il #23 prenderà una decisione, potrebbe non esserlo ancora per molto), se per minaccia ai valori possiamo intendere la seria eventualità che Cleveland possa essere anzitempo estromessa dalla lotta per il titolo direi che allora il campanello d’allarme può essere preso per buono. Il tempo d’altro canto era finito da un pezzo. Il pulsante rosso, quello che nella stanza dei bottoni viene evidenziato con l’etichetta “DON’T PUSH”, acquisiva sempre di più un fascino irresistibile.

Koby Altman, neo GM dei Cavs, nella sua non tanto confortevole poltrona deve aver rubato una scena di “Moneyball”, messo su un disco dei Foo Fighters, preso un respiro profondo e fatto partire una sarabanda che sembrava potesse non finire mai. Nel giro di poche ore ha ribaltato una squadra assemblata meticolosamente in tre anni consapevole che per un General Manager NBA tre cose sono sicure: le tasse, la morte, le critiche. LeBron James invece passa una volta sola.

 

Premere il pulsante rosso

La trade deadline ha avuto nei Cleveland Cavaliers i protagonisti indiscussi, capaci di rubare la scena questa volta non per l’ennesima giocata insensata di LeBron, né per le innumerevoli incomprensioni sorte in questa stagione all’interno dello spogliatoio. Bensì per l’aggressività di Altman, che ha raccolto i suoi appunti e si è lanciato in uno stalking selvaggio verso chiunque fosse stato interessato ad imbastire una trade con lui.

Il primo a partire è stato Isaiah Thomas, direzione Los Angeles. Pur di liberarsi dello spettro del funambolico talento ex Boston, Altman ha spedito in California un glue guy come Channing Frye (che pesava per $8 milioni a libro paga e non stava vivendo una grande stagione) e la prima scelta del 2018 (la loro, non quella dei Nets). Il social impazzisce, ignaro che siamo solo all’inizio. In stile Dea Calì il GM dei Cavs riesce ad imbastire (o almeno a perfezionare; probabilmente le bocce erano già in movimento) in una quarantina di minuti la trade che più di tutte disegna quello che a Cleveland sarà il diktat da ora in poi.

Vengono cortesemente accompagnati alla porta Shumpert, Crowder e Rose, coinvolti in una trade a tre che porta Rodney Hood e George Hill alla corte di coach Lue. La torta è in forno, gli ingredienti sono atipici ma ben bilanciati, cosa manca? La ciliegina che in questo caso è di primissima qualità: Dwyane Wade, l’amicone di LeBron, dopo aver fantasticato di rivivere a Cleveland i fasti di Miami, torna a Miami a vivere l’incubo di incontrare tutte le mattine Pat Riley che gli conta davanti ogni dollaro che ha risparmiato qualche mese fa per averlo comunque al minimo salariale. Ora che però abbiamo dei fatti piovono domande che richiedono risposte quanto prima. I Cavs hanno davvero migliorato la loro situazione tecnica? Con queste mosse Altman ha aumentato le chance di trattenere LeBron? Gilbert riuscirà a non finire i soldi prima della fine della carriera del Prescelto?

Del doman non c’è certezza

Lo diceva Lorenzo De’ Medici con riferimento alla fugacità della vita, ma è una frase che può essere facilmente applicata al contesto sportivo. Nella vita di un atleta la vittoria è un concetto che raramente si presenta con una certa continuità e lo stesso ragionamento vale per una squadra. Quando il General Manager dei Cavs ha messo in moto la girandola di trade lo ha fatto con un’idea in testa difficile da confutare: se LeBron James dovesse cambiare casacca sarà l’armageddon, la fine di tutto, Cleveland tornerà ad essere un puntino sulla mappa snobbato da chiunque si avvicini alla lega più bella del mondo. La pick dei Nets sarebbe un buon asset da cui ripartire ma non basta (inoltre non è detto che non venga ceduta in sede di Draft), la Vittoria (intesa come Dea o come entità, fate voi) non tornerebbe ad elargire i suoi opulenti doni in Ohio per molto tempo.

Ecco quindi che l’imperativo categorico per i Cavs è vincere qui e ora senza curarsi di quello che potrebbe succedere domani perché potrebbe anche non esserci un domani. Le scelte di Altman vanno lette quindi in ottica presente. L’idea che ci possa essere un futuro roseo in caso di partenza del Re è una favola; per quanto giocatori come Hood, Clarkson, Nance Jr. siano prospetti intriganti nessuno di loro sembra avere il pedigree per trainare una franchigia lungo anni di transizione. Allo stesso tempo il salary cap del prossimo anno chiamerà comunque per oltre $100 milioni anche in caso di partenza di James. L’owner Dan Gilbert probabilmente a quel punto farebbe due conti e spingerebbe per la smobilitazione con la sola scelta dei Nets come ancora di salvataggio. Troppi se, troppi ma. Il futuro per i Cavs è adesso, vincere è l’unico modo per continuare a vincere.

E le speranze di vittoria passano da questo individuo

Entrato in quest’ordine di idea, Altman ha giustamente rilevato che una difesa catastrofica può diventare una difesa un po’ meno catastrofica ma pur sempre catastrofica rimane. Catastrofismi a parte i Cavs hanno il penultimo Defensive Rating della lega (109,9 punti ogni 100 possessi) facendo meglio soltanto dei Suns. Rispetto allo scorso anno (quando erano comunque la ventiduesima difesa della lega) subiscono 2 punti in più ogni 100 possessi. Andando più nel dettaglio non c’è una singola situazione difensiva in cui Cleveland sia sopra la media NBA. Ventiduesimi per punti subiti da palla persa, quindicesimi per punti subiti da seconda chance, quindicesimi per punti subiti da contropiede, ventiseiesimi per punti subiti nel pitturato. Unendo i puntini si ha l’immagine di una groviera contro cui gli avversari tirano con il 47,6% dal campo. Solo contro Timberwolves, Kings e Nuggets gli altri hanno percentuali migliori.

Metterci mano pesantemente a due mesi dai playoff sarebbe stato praticamente impossibile un po’ per la mancanza di profili disponibili (già essere arrivati a Hill e Nance Jr. è un lusso in termini di qualità difensive) e un po’ per l’effetto appiattimento che ha trasformato Crowder da 3&D invidiato da tutta la lega a giocatore con lo stesso DefRtg di Derrick Rose. Bene ma non benissimo.

Questa invece è una bellissima difesa di LeBron e Tristan Thompson che guardando intensamente Butler sperano di indurlo all’errore.

L’unica strada percorribile era quella di tentare di ritrovare la dimensione offensiva che lo scorso anno rendeva i Cavs la macchina da punti più efficiente della lega dietro le due corazzate con sede a Houston e Oakland. Via quindi i giocatori disfunzionali (Thomas, Crowder, Shumpert, Wade, Rose) e dentro gente con punti nelle mani, capace di aprire il campo con una certa continuità e allo stesso tempo di poter stare sul parquet con pari ruolo NBA da un punto di vista atletico. I Cavs detengono la quinta efficienza offensiva della lega, tentano quasi 33 triple a partite (solo Rockets e Nets ne provano di più) e le convertono con un incoraggiante 36,6%, eppure tutto ciò non è abbastanza. Prendendo 110 punti a partita non può essere sufficiente. Bisogna forzare ancora di più il sistema, costringere gli avversari a lasciare l’area sguarnita per le penetrazioni di quel mostro con il 23, punire ogni recupero che arriva in ritardo, muovere più e meglio il pallone.

I Cavs sono la squadra che gioca più isolamenti dopo Rockets e Thunder ma da questa situazione tirano con il 41,3% facendo peggio di ben 11 squadre. Tradotto vuol dire: va bene giocare isolamenti con LeBron ma con gli altri anche no. Hood sta vivendo la sua miglior stagione al tiro (42% dal campo, 39% da 3 su 6,7 tentativi a partita) e nonostante uno Usage% leggermente troppo alto, anche figlio dell’assenza nei Jazz di un giocatore dominante sul pallone ad esclusione di Mitchell che è comunque un rookie, ha già dimostrato nella prima con la nuova divisa contro Boston di poter giocare da spot up player con apprezzabile naturalezza.

Le transizioni e semi-transizioni sono un altro aspetto del gioco che i Cavs devono cavalcare di più. In questo caso Hood legge bene la brutta rotazione dei Celtics e si mette in posizione di sparo.

Più articolato il discorso intorno a Clarkson e Nance Jr. Il primo è un giocatore con tanti punti nelle mani, una combo-guard in linea con la pallacanestro moderna ma che fino ad oggi ha svolto soprattutto funzione di go-to-guy per la second unit. In un contesto come quello dei Lakers il suo gioco era molto orientato alla ricerca del canestro (anche per lui Usage% altina), di conseguenza è tutto da testare senza la palla tra le mani. Coach Lue potrebbe anche scegliere di non intaccare le certezze del ragazzo from Missouri e utilizzarlo dalla panchina dal momento che, quando LeBron è seduto, l’OffRtg della squadra precipita di quasi sette punti.

Anche Larry Nance Jr. non dovrebbe trovare posto nello starting five, specialmente se Tristan Thompson è quello visto al Garden e non la sua controfigura impacciata che deambulava per il parquet senza uno scopo preciso. L’ex giocatore dei Lakers, nonostante i 206 cm, è molto più un 5 che un 4 poiché gli manca una dimensione perimetrale e un ball handling affidabile, mentre se imbeccato nei pressi del ferro fa più o meno quello che vuole.

Quello sarebbe Kevin Durant!!

Ultimo tassello aggiunto al derelitto mosaico dei Cavs è quel George Hill per cui smaniava Popovich ma del quale si è rischiato di perderne le tracce in quel posto periferico nelle logiche NBA che è Sacramento. Una point guard un po’ atipica, capace di tirare con il 38% da oltre l’arco in carriera ma di non andare mai sopra i 5 assist stagionali. Rispetto a Thomas e Rose a Cleveland arriva un difensore più affidabile sul pallone, un giocatore che non ha bisogno dell’arancia tra le mani e un ragazzo che sa cosa vuol dire far parte di una “cultura”.

In definitiva la pericolosità dei Cavs oltre l’arco è aumentata di gran lunga e già questo potrebbe consentire alla squadra di fare un bel salto, considerando che mettere dei tiratori intorno a LeBron è l’equivalente di mettere uno scudo in vibranio in mano a Captain America. Inoltre la presenza di giocatori più versatili e atletici (e meno complessati ovviamente) consentirà quanto meno di approcciare la fase difensiva in modo più fluido, con la possibilità di cambiare su quasi tutti i blocchi e la tendenza ad essere più pericolosi sulle linee di passaggio.

 

Ripartire dall’atteggiamento

Per quanto si possano decantare le qualità di Tizio e di Caio in uscita dai blocchi, nei taglia fuori, nei pick and roll, la verità è che la stagione attuale è stata un fiasco per i Cavs soprattutto per tutto ciò che ruota intorno al parquet.

L’insofferenza di Rose, il j’accuse di Thomas contro i suoi stessi compagni, l’infortunio bistrattato di Love, tutti segnali di un ambiente incapace di pensare al campo, trascinato in una rumba mediatica che distoglie i giocatori dal reale obiettivo: vincere l’anello. Ad oggi può sembrare a dir poco ottimistico un trionfo dei Cavs, ma l’obiettivo non può che essere quello. Hanno il miglior giocatore al mondo, vengono da tre partecipazioni alle Finals consecutive, ad Est nessuno in questi tre anni ha dimostrato di poter competere contro LeBron e compagni ai Playoffs. Non c’è via d’uscita.

Per questo la rivoluzione orchestrata da Altman non poteva che accadere; persino LeBron ha ammesso davanti ai microfoni che questa squadra non sopravvivrebbe se i playoff iniziassero domani.

La vittoria al TD Garden è un segnale incoraggiante per i tifosi di Cleveland, non tanto per l’esordio dei nuovi (che comunque si sono difesi egregiamente), quanto per il ritrovato entusiasmo o quantomeno la sensazione di essere tornati a remare tutti dalla stessa parte. Un impegno difensivo maggiore, un atteggiamento più aggressivo sulle palle vaganti, l’idea di giocare a basket senza paura con la consapevolezza di avere il miglior giocatore al mondo e quindi essere una delle migliori squadre al mondo.

Osman fa una gran bella cosa in difesa prima di prenotarsi un posto nei bloopers stagionali. LeBron applaude; una schiacciata si può sbagliare, quello che conta è la mentalità.

I Cavs si trovano nei bassifondi in quasi tutte le statistiche hustle registrate dalla lega e questo deve cambiare al più presto. L’unico modo per trattenere LeBron è dimostrare di essere una squadra vincente e di poterlo essere ancora per diversi anni.

Il futuro dei Cavs passa dai prossimi due mesi in cui capiremo se ai Playoffs arriverà una squadra segnata dagli eventi oppure un collettivo ancora affamato di vittorie. Altman ha premuto il pulsante rosso, adesso la situazione di crisi è davanti agli occhi di tutti; niente più sotterfugi, niente più atteggiamenti passivo aggressivi. Qui e ora i Cleveland Cavaliers dovranno uscire dalle sabbie mobili e tornare a combattere per far vibrare una città che non ha dimenticato certi momenti.

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Pubblicato da
Paolo Stradaioli

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