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Lo strano caso dei Minnesota Timberwolves

The Hateful Eight

Passando dal particolare al generale, si può notare come le peculiarità dei singoli uomini chiave dei Timberwolves siano alla base dei pregi e dei difetti dell’intera squadra. Nonostante un ritmo non esattamente forsennato (97,94 di Pace, ventitreesimi nella lega), l’attacco gira a meraviglia, con oltre 111 punti segnati su 100 possessi che li colloca dietro solo a Rockets e Warriors. Minnesota muove poco la palla ma la perde anche pochissimo (12,7%), affidandosi spesso alle ricezioni in post per i tre tenori che, nel bene e nel male, hanno una certa confidenza con il canestro avversario. Da notare anche, in controtendenza rispetto al trend attuale, che Butler e soci sono, dopo i Knicks, la squadra a sfruttare meno il tiro da tre, con solo 22,2 triple tentate a partita.

In questa situazione Butler è bravo a liberarsi di un Bogdanovic fin troppo molle e a tagliare verso il canestro. Quando i Timberwolves si muovono in maniera armonica sono un pericolo per qualsiasi difesa, ma purtroppo non è sempre così.

Una delle cause del ritmo basso è dovuta anche dal grande utilizzo che Thibodeau fa dei suoi principali giocatori. Già dai tempi di Chicago le sue rotazioni militari hanno costretto i suoi giocatori agli straordinari, e ad oggi non c’è uno starting-five che abbia giocato di più in tutta la NBA. Quello di Thibs è un limite che mina seriamente la freschezza atletica dei suoi, tanto che Butler ha chiesto (e ottenuto) di assistere da bordocampo all’All-Star Game per poter tirare finalmente il fiato. Se a questo aggiungiamo la sfiducia nutrita nei confronti della panchina il risultato parla chiaro.

Spezzando una lancia in favore del coach, bisogna ammettere che la profondità del roster non sia esattamente il cavallo di battaglia dei Timberwolves. Fatta eccezione per Tyus Jones (che si è fatto trovare pronto in occasione dell’infortunio di Teague e che forma con KAT la coppia Timberwolves con il più alto Offensive Rating, 116,8), la panchina non offre grosse alternative a Thibodeau, il quale oltretutto sembra essersi rassegnato a non schierare ali di ruolo, con buona pace di Shabazz Muhammad. Bjelica, sulla carta il cecchino della second unit, porta la miseria di 5,7 punti a sera alla causa dei Timberwolves; Dieng è un discreto backup dei lunghi ma non ha certo il killer instinct di chi entra e spacca la partita, mentre Crawford inizia ad accusare i segni del tempo.

L’istinto clutch però somiglia molto a quello dei bei vecchi tempi.

La panchina corta è forse il difetto più temuto da ogni aspirante contender che si rispetti. Nel caso specifico dei Timberwolves, la problematica in questione si riflette anche sulla fase difensiva, che a dispetto di quanto la presenza di Thibodeau sul pino possa far pensare, è la quinta peggiore della lega. I 108,3 concessi ogni 100 possessi testimoniano in maniera inequivocabile come la squadra fatichi ancora ad assorbire i dettami tattici imposti da un allenatore che fa della fase difensiva il suo marchio di fabbrica. In questo senso, al di là delle distrazioni e della scarsa attitudine dei singoli, parte della responsabilità può essere ricercata nei tanti minuti che il quintetto titolare trascorre sul parquet, il che porta inevitabilmente a una carenza di lucidità nella fase difensiva. Per il momento la difesa dei Timberwolves è molto istintiva e poco sistematica: basandosi ancora sulla capacità dei singoli di interpretare le varie situazioni di gioco, è evidente come i risultati possano variare a seconda che sia Butler, Teague o Jones, per fare un esempio, a marcare il portatore di palla avversario.

Trovandosi di fronte ad un tiratore del calibro di Bogdanovic, Butler decide deliberatamente di inseguirlo per farlo penetrare e scongiurare un tiro dalla lunga distanza. Tutto nella norma, ma un’incomprensione di troppo tra Towns (che non è ancora il centro ideale su cui far collassare l’attacco avversario) e Gibson porta comunque ad una tripla concessa con metri e metri di spazio a disposizione.

In quest’altra situazione di gioco, Caldwell-Pope è praticamente costretto dall’errato posizionamento di Jones a prendersi una conclusione che pare proprio non avesse intenzione di tentare. Butler nel frattempo, confidando nel suo istinto e nell’arrivo di un suo compagno di squadra (che, un po’ come Godot, non arriverà mai), devia inconsapevolmente verso Kuzma.

Anche a difesa schierata, non ci vuole poi molto per far saltare il banco. Da notare ancora una volta la tendenza di Towns ad abboccare alle finte di tiro, potenzialmente punibile da un passaggio al solissimo Koufos.

Da rivedere anche la prestazione offerta a rimbalzo, con il solo Towns a tenere alto l’onore di una squadra che raccoglie solo 41,7 carambole a sera, settimo peggior dato della lega.

Per Zubac è un gioco da ragazzi banchettare su quattro inermi avversari.

 Tirando le somme, è evidente come, rispetto agli scorsi anni, in quel di Minnesota tiri una piacevole brezza di cambiamento. Tuttavia, allo stato attuale i ragazzi di coach Thibodeau devono ancora risolvere diverse problematiche piuttosto urgenti per poter ambire a competere con i giganti della Western Conference. Con i Playoff sono tutt’altro che assicurati, è opportuno cercare di apportare delle modifiche al piano gara, magari tirando fuori dal cilindro un risolutivo quindicesimo giocatore dal non ricchissimo elenco dei free agent – per il momento pare scongiurato l’arrivo del fu Derrick Rose e della conseguente Chicago Bulls – Operazione Nostalgia. Ci auguriamo di essere smentiti, ma difficilmente il Larry O’Brien Trophy approderà nel Minnesota al termine della stagione: nessun problema, c’è ancora tempo per alimentare il Western Process e per giustificare, una volta per tutte, l’hype che circonda incessantemente i lupi di Minneapolis.

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Pubblicato da
Federico Ameli

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