L’importanza della second unit
I Raptors hanno la miglior panchina dell’intera lega. E, che ci crediate o no, gran parte del merito va al signor Jerry Stackhouse, allenatore dei Raptors 905, squadra “satellite” di Toronto in G League nonché campione in carica della lega cadetta. Arrivano proprio da lì, infatti, i vari VanVleet, Powell, Poeltl, Siakam, Wright e Nogueira, costretti per l’intera scorsa stagione ad un pellegrinaggio continuo tra NBA e piano inferiore che proprio quest’anno sta dando frutti magari auspicabili ma sicuramente non pronosticabili nemmeno nelle fantasie più rosee di coach Casey. Per capirci: il quintetto VanVleet-Wright-CJ Miles-Siakam-Poeltl nei 125 minuti giocati insieme segna oltre 125 punti su 100 possessi e ne subisce appena 94 (per un Net Rating di +31.1!).
“Largo ai giovani” (cit.)
Il perché di questi dati è presto detto. I Raptors, semplicemente, fanno tutto quello che devono fare meglio con i panchinari che con i titolari. Tirano in maniera più efficiente (EFG% al 62,3%), concedono meno agli avversari (40% dal campo, 30% da tre), ma soprattutto mettono in mostra un flow ancora migliore rispetto a quello già perfezionato della starting lineup, non sentendo il “peso” della presenza di un pezzo da 90 che accentri il gioco o si prenda la responsabilità di concludere un azione che non sembra ben avviata.
A dirigere l’orchestra ci pensa Fred VanVleet. Classe ’96, undrafted nel 2016, dopo un’ottima stagione in G League lo scorso anno condita da qualche minuto sui parquet platinati, il nativo di Rockford è diventato un fattore per nulla irrilevante all’interno dell’ecosistema offensivo e difensivo della squadra. Nonostante il fisico di 183 cm per 88 kg ha una prestanza atletica che gli permette di sopportare in single coverage praticamente tutti i pari ruolo (la sua difesa sulla palla è qualcosa di meraviglioso), e che gli permette di tagliare fuori giocatori spesso anche più grandi di lui (2,4 rimbalzi per game). Inoltre possiede un’intelligenza cestistica superiore, che lo porta ad essere una minaccia costante sul pick-and-roll (dove riesce sempre a prendere la decisione giusta), e una freddezza non indifferente in fase offensiva (43% dal campo con il 41% da fuori) che lo rende molto funzionale anche per giocare off the ball. Se poi tutto questo non vi convince ancora, lo faranno senza dubbio il miglior Net Rating tra tutti i giocatori con almeno 15 minuti all’attivo (+14,4), la sesta efficienza difensiva su 100 possessi (97,8, sopra gente come Marcus Smart), il 12esimo Assist-to-turnover Ratio (3,38, sopra lo stesso Lowry).
Saper giocare un pick-and-roll. Dopo essere passato dietro il blocco VanVleet attende il roll di Poeltl, sul quale però è arrivato l’aiuto di Larry Nance a precludere ogni via verso il canestro. A quel punto la guardia di Toronto, però, si arresta nuovamente notando il compagno rimasto libero sul perimetro. Come può andare a finire, dai?
Lo dico per voi: iniziate ad amare Fred VanVleet!
Seguono poi con dedizione straordinaria l’ottimo CJ Miles, autore di una delle sue migliori stagioni di sempre quanto ad efficienza, come dimostrano i 10 punti di media in 18 minuti scarsi, con il 40% dal campo e il 39% da tre (ma su ben 6,3 tentativi, praticamente la stessa quantità di tiri presa dallo stesso nella stagione 2014-15 in Indiana, quando però giocava 26 minuti), e un’altra coppia di “ripescati” come Powell e Wright.
A questi va poi ad aggiungersi la coppia di lunghi formata da Siakam e Poeltl, i quali, oltre ad essere migliori amici fuori dal campo, stanno mettendo in mostra evidenti miglioramenti rispetto alle rispettive rookie-seasons, al termine delle quali qualcuno li aveva già imprudentemente messi da parte. Il primo rappresenta forse la più grande e gradita rivelazione della stagione dei Raptors, visto l’ottimo mix di velocità e solidità difensiva che fanno di lui, forse, il difensore più versatile e “switch-friendly” all’interno del roster (se solo non tirasse con il 19% da fuori…). Il secondo, invece, è notevolmente migliorato nell’abilità di rim protector, come attesta la percentuale di realizzazione degli avversari al ferro ferma al 53,7%, il quarto dato migliore tra tutti i giocatori che abbiano difeso almeno 4 conclusioni a partita at the rim (Gasol, Porzingis ed Embiid guidano la classifica) e il dato delle stoppate su 36 minuti (2,5). Allo stesso modo, inoltre, hanno visto un upgrade significativo i numeri offensivi, che registrano 7 punti in 18 minuti, con un ottimo 65% dal campo.
Siakam non concede mezzo centimetro a Morris, seppur in passivo di un paio di cm e di quasi 10 kg.
Buono anche lo scivolamento prima della stoppata su Simmons.
La volta buona?
Arrivati a questo punto non rimane che provare a rispondere alla domanda che tutti quanti si staranno ponendo, arrivati fin quaggiù: questi nuovi Raptors possono davvero puntare a vincere quest’anno?
Una gran bella domanda, a cui proveremo a rispondere andando per step.
1. Toronto può vincere la Eastern Conference?
Sì, assolutamente. E anzi, non solo può vincerla, ma il fatto che ciò accada e forse conditio sine qua non per poter provare poi a superare il secondo step. Questo non solo per la carica di fiducia e consapevolezza che può darti il fatto di essere arrivato primo, ma soprattutto perché se è vero che già di per sé godere del fattore campo è un vantaggio, costringere gli avversari a giocare una partita in meno in casa e una partita in più in quella bolgia straordinariamente e rumorosamente bella che è l’Air Canada Center è sicuramente qualcosa di più.
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Toronto Raptors (41-17) |
Boston Celtics (42-19) |
Cleveland Cavaliers (35-23) |
Partite in casa |
12 |
9 |
13 |
Partite in trasferta |
12 |
12 |
11 |
Back-to-back |
4 |
4 |
2 |
Partite contro squadre in lotta per i Playoff |
11 |
10 |
12 |
Road games contro avversarie della Western |
0 |
7 |
5 |
Percentuale di vittoria combinata rispetto agli avversari rimasti |
49% |
48,4% |
47,6% |
Anche il calendario sembra poi favorevole ai Canadesi, che non saranno più costretti ad alcuna spedizione ad Ovest e potranno contare sul pubblico amico per la metà delle restanti partite, mentre i Celtics avranno invece ben 12 partite in trasferta di cui più della metà contro squadre della Western.
2. Toronto può battere i Cavaliers e i Celtics ai Playoff?
Ora, visto che stiamo sempre parlando dei Raptors, qui la riflessione deve ampliarsi, prendendo in esame due possibili scenari conducenti ciascuno a due risposte non necessariamente diverse ma sicuramente a due diverse argomentazioni:
Scenario #1: i Raptors fanno come gli anni scorsi e una volta in post-season si dimenticano letteralmente come si giochi a pallacanestro. Risposta alla domanda: no, non possono. Nient’altro da aggiungere.
Scenario #2: i Raptors non subiscono la tensione dell’entrata nella fase calda della stagione e mantengono gli standard tecnici, tattici e atletici mostrati nel corso dell’anno. Ora, il confronto con le due dirette avversarie dice 1-1 con i Celtics e 1-0 con Cleveland, sconfitta con un esagerato 133-99 nell’unico confronto stagionale del 12 gennaio scorso (peraltro senza Lowry e senza Ibaka). Possibile risposta: sì, lo hanno già fatto, possono sicuramente ripetersi, specie col fattore campo a favore. É tanto potrebbe bastare, forse, parlando di Boston, che senza Hayward e con uno stile sempre più Irving-dipendente potrebbe effettivamente rappresentare una squadra quantomeno “giocabile” sulle 7 partite.
Discorso diverso verrebbe invece da fare pensando ad un confronto con i Cavs. Perché Cleveland ha sempre battuto Toronto ai Playoff negli ultimi anni, perché LeBron James alle Finals è l’unica cosa certa dell’NBA da 7 anni a questa parte, perché verosimilmente il giocatore dei Raptors incaricato di marcarlo sarebbe un rookie classe 1997 che, per quanto straordinario, sempre tale rimane. Detto questo va anche considerato che i Cavs non sono più quelli degli ultimi due anni – e si può sostenere abbastanza indiscutibilmente che non lo siano perché più deboli e quindi battibili – e che qualche mese fa avevano avuto la meglio sui Raptors soprattutto a causa della dimensione “isolazionista” e della poca fluidità nella circolazione del pallone (raddoppio sistematico su DeRozan e Lowry che non concedesse loro tiri semplici e mettesse in luce le loro debolezze nel passare la palla) che rendeva Toronto una squadra facilmente leggibile e marcabile, ma che, in questa stagione, i Canadesi sembrano aver messo da parte. Quindi volendo spingerci molto in là potremmo dire che sì, i Raptors di quest’anno potrebbero davvero pensare di battere i Cavs. Volendo fermarci un po’ prima, invece, potremmo limitarci a dire che a memoria d’uomo risulta difficile ricordare una squadra – escludendo Golden State – che sia partita favorita contro LeBron James, che quindi anche col fattore campo a sfavore Cleveland continuerebbe ad avere i favori del pronostico, ma che comunque sicuramente potremmo aspettarci una serie ben più emozionante di quella vista la scorsa estate.
3. Toronto può vincere le Finals?
No, questo no, non per scrive almeno. E senza stupori di alcuna sorta, considerato che quest’anno potrebbe – condizionale assolutamente d’obbligo – non arrivare alle Finals nemmeno Houston, vale una delle squadre più divertenti, efficienti, meglio costruite ed allenate degli ultimi anni. Perché alla fine sognare è bello, ma non si scappa mai dalla realtà. E la realtà è che, come detto sopra, Toronto era una buonissima squadra, che quest’anno forse è diventata addirittura ottima, ma lo ha fatto negli anni della legacy di quella che verrà verosimilmente ricordata come la formazione più forte di tutti i tempi.
Quindi no, quasi certamente nemmeno questa sarà, per i Raptors, la volta buona per vincere. Eppure questo non ci esime dal dovere di parlare e di celebrare la stagione che stanno disputando. Perché forse, in fin dei conti, è proprio la narrazione dominante che tende a celebrare la vittoria come “unica cosa che conta” e a catalogare come pressoché insignificante qualsiasi altra componente visiva o emozionale annessa allo sport in quanto “forma d’arte” ad essere riduttiva e distorsiva. Potrà non essere la volta buona per vincere, ma questa è stata sicuramente la volta buona per mettere in mostra una pallacanestro finalmente bella, coinvolgente, divertente. La volta buona per vedere DeRozan compiere quello step finale che lo separava dagli All-Star della lega, e un manipolo di giovanotti ritagliarsi il proprio spazio con sudore e perseveranza. La volta buona per sentire un’altra volta il “We the North” levarsi da quegli spalti sempre pieni, nelle voci di un’intera nazione che può provare a sognare ancora una volta.
E tutto questo, anche senza un trofeo alla fine, diventa complicato considerarlo irrilevante.
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