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Jamal Murray, le mosse giuste per il successo

Lo scorso 8 febbraio, giusto in tempo per la trade deadline, i Denver Nuggets hanno spedito ai New York Knicks Emmanuel Mudiay che, in due stagioni e mezzo, non ha tenuto fede alle aspettative da settima scelta assoluta, posizione in cui era stato selezionato al Draft 2015.

Il messaggio è stato fin troppo chiaro e la decisione altrettanto definitiva: la franchigia del Colorado, per quanto riguarda il back court, punta esplicitamente sulla coppia formata da Gary Harris nella posizione di shooting guard e da Jamal Murray come point guard, al posto proprio del congolese, il cui decrescente rendimento e i dubbi sul suo sviluppo avevano indotto coach Michael Malone, fin dalle ultime partite della stagione 2016-17, a retrocederlo in panchina. Aver lasciato libero Jameer Nelson subito dopo il training camp, inoltre, era stata un’ulteriore conferma della volontà di fare affidamento su un duo di guardie titolari con molti punti nelle mani.


Harris-Murray, è intesa.

I Nuggets, assenti dai Playoff dal 2012-13, quando Andre Iguodala disputò il suo unico anno a Denver e George Karl vinse il titolo di Coach of the Year, stanno portando avanti la miglior stagione dell’ultimo lustro: salvo crolli verticali nel restante mese e mezzo di regular season, stavolta giocare oltre la metà di aprile non dovrebbe essere un tabù dalle parti del Pepsi Center. Soprattutto se Nikola Jokic continuerà a fare quelle cose straordinarie che sta facendo, rivoluzionando definitivamente il ruolo di centro, se Harris non si fermerà nei suoi miglioramenti offensivi e difensivi e se infine rientrerà dall’infortunio al polso Paul Millsap, portando tutto ciò che di buono l’ex Atlanta è in grado di eseguire su un campo da basket.

Tuttavia, nelle sette vittorie in otto gare collezionate da Denver dal 22 gennaio al 23 febbraio, un ruolo di indubbio protagonista lo ricopre sempre più Jamal Murray. Uno che ha appena compiuto 21 anni e i cui progressi non fanno altro che mostrare le potenzialità di questo giovane nucleo con cui i Nuggets stanno cercando di tornare in alto: il canadese da Kentucky può essere decisivo nel salto di qualità del team e da ottobre a oggi ha collezionato una serie di eccellenti prestazioni.

 

Il nativo di Kitchener, Ontario, settima scelta (come Mudiay) al Draft 2016, in questo suo anno da sophomore sta avendo una crescita esponenziale che lo ha reso uno dei pilastri della squadra, soprattutto in attacco. La produzione offensiva è quasi raddoppiata rispetto alla stagione da matricola. Oggi Murray segna in media 16,4 punti a partita, mentre lo scorso anno erano 9,9, frutto di percentuali che stanno sorridendo a trentadue denti: quella dal campo è passata dal 40,4% al 46,2%, la effective dal 48,3% al 54,0% e la true shooting dal 51,8% al 58,4%.

Una maggior precisione sta arrivando anche dal tiro da tre, la cui percentuale è cresciuta dal 33,4% del rookie year all’attuale 38,8% a fronte di 5,2 tentativi a partita (prima erano 4,2), un incremento che, se da un lato ancora non qualifica Jamal tra i tiratori top della NBA, dall’altro denota che il giocatore ci sta lavorando e quel che ci si aspetta da lui è una sempre maggiore e più convinta creazione di tiri da tre direttamente dal palleggio, più o meno come sono avvezzi a fare Stephen Curry e Damian Lillard, sfruttando il suo fisico e la sua tecnica per diventare una combo guard sempre più atletica e temibile.

 

Caviglie a posto, Steven?

Quel che intanto è importante analizzare è l’impatto di Jamal Murray sul rendimento offensivo e sull’efficienza di Denver. L’Usage% del canadese è salito dal 21,6 al 23,3, all’interno di una situazione di squadra piuttosto equilibrata in cui le responsabilità sono ben distribuite, elementi che attestano il buon funzionamento dei Nuggets di questa edizione (sesti della lega per assist percentage con 61,1% e quinti per assist ratio con 18,2), così come sono cresciuti anche i suoi indici PER (Player Efficiency Rating, da 11,9 a 16,3) e PIE (Player Impact Estimate, da 7,8 a 9,7). Con Murray in campo l’efficienza offensiva dei Nuggets è salita da 109,1 punti ogni 100 possessi a 111,5 e anche il Net Rating è migliorato (da 1,0 a 2,4), Ma il dato forse più significativo che riguarda la sua incidenza sui risultati della squadra è la OWS (Offensive Win Shares), cioè la valutazione del numero di vittorie in cui il suo apporto in attacco è stato determinante: dallo 0,6 della stagione 2016-17 si è passati a 3,0.

Andando oltre le statistiche, la rilevanza di Murray per i Nuggets va considerata anche sotto l’aspetto della mentalità con cui il canadese si allena e scende in campo. Jamal, che fin da ragazzino, sotto la spinta del padre allenatore ai tempi del liceo, pratica quotidianamente la meditazione per realizzare al meglio il proprio potenziale e per focalizzare bene tutto ciò che accade attorno a lui al fine di operare le scelte migliori, è un giocatore che non perde mai fiducia, non ha paura di nulla e di nessuno, è lavoratore e altruista nonché animato da un profondo spirito competitivo che lo invoglia a fare sul serio in qualsiasi occasione.

 

Non per niente è stato MVP del Rising Stars Challenge all’All-Star Game 2017 con una prestazione da 36 punti e 11 assist e quest’anno ha contribuito alla vittoria di Team World con un’efficiente prova da 21 punti, 7 assist e 8/14 dal campo, dandosi poi da fare allo Skills Challenge poi vinto dal solito Spencer Dinwiddie in stato di grazia. Ma ai tempi del liceo Murray era stato anche MVP al Nike Hoop Summit e pure del Bio Steel All-Canadian Classic, importante vetrina dei migliori prospetti scolastici di quelli del nord. Lo spirito agonistico che mette sul parquet si evince anche dall’accresciuta attitudine al rimbalzo offensivo, la cui percentuale è salita da 2,6 a 4,0 e in un contesto di squadra che vede i Nuggets addirittura al secondo posto nella lega in tale voce statistica (26,3%) alle spalle dei soli Thunder.

 

Un saggio di coordinazione di Jamal al Rising Stars Challenge.

La sua struttura fisica notevole – è alto 1,93 per 94 chili di peso – lo penalizza giusto un pochino in velocità, ma lo avvantaggia in potenza quando attacca il ferro e nelle battaglie vicino canestro. I suoi fondamentali sono pulitissimi, la selezione dei tiri accurata ed è particolarmente abile nell’arresto e tiro in corsa, qualità indispensabile per una guardia nella concezione del basket di oggi che è stata installata anche a Denver, squadra che cura particolarmente la fase offensiva, vantando attualmente il sesto Offensive Rating della lega con 108,4.

Dall’intuizione di coach Malone di farlo giocare point guard al posto di Mudiay, concretizzatasi nelle ultime battute della scorsa regular season, è nata una combo guard che ben si amalgama con Gary Harris formando una delle coppie di esterni più interessanti della NBA. E anche più “libera” da mansioni di impostazione del gioco: elemento cardine, infatti, è il ruolo di Nikola Jokic come faro dell’attacco dei Nuggets. Spesso e volentieri, una volta portata palla oltre la metà campo, Murray cede al lungo serbo i compiti di playmaking, aprendo una serie di opzioni e facendo valere la sua versatilità: Murray si muove così in qualsiasi posizione lungo l’arco da cui può essere pericoloso (qui ritorna l’esigenza di una crescita ancor maggiore al tiro da fuori), si piazza in angolo per ricevere uno dei passaggi preferiti da Jokic e sfruttare il suo tiro piedi per terra che non teme rivali, oppure… si balla!

 

E a volte basta un semplice “dai e vai”.

La danza in questione, a dir poco fluida e inebriante, è il pick and roll che Murray gioca con Jokic, una vera gioia per gli occhi risultante dalla mirabile intesa che i due sono riusciti a instaurare. Il canadese è migliorato nelle letture, generando pericoli sia dal palleggio, arrivando a canestro oppure creandosi il tiro dal palleggio, sia nel servire il compagno mentre “rolla”.

La fiducia tra i due è totale e un chiaro esempio è il momento chiave dell’entusiasmante vittoria su Oklahoma City dell’1 febbraio: sulla rimessa decisiva, affidata a Jokic, il serbo cerca insistentemente Murray e soltanto la strenua difesa di Paul George su di lui induce Jokic, in un secondo e fulmineo istante, a servire con un passaggio da quarterback Gary Harris per il buzzer beater della vittoria.


Per battere i Thunder la prima opzione cercata è proprio Murray.

In definitiva, Jamal Murray è un giocatore efficace, dotato di grande tecnica e assoluto controllo del corpo, capace di uscire dai blocchi trovando rapidamente l’equilibrio per il tiro. Ma non va dimenticato che è appena un ventunenne al secondo anno, che deve comunque migliorare nelle letture e nei movimenti in attacco e soprattutto nel suo limite principale che oggi gli si può attribuire: la difesa.

Infatti, sta poco sulle gambe e soffre molto il primo passo sulle penetrazioni, soprattutto se si trova di fronte una guardia esplosiva e atletica. Il suo atteggiamento in fase difensiva denota ancora parecchie lacune, specialmente nelle letture e negli aiuti: per questo Malone lo “nasconde” spesso sull’esterno avversario meno pericoloso. Sul fronte offensivo, invece, deve imparare a procacciarsi un numero maggiore di viaggi in lunetta, dal momento che la sua precisione al tiro libero è assolutamente valida (91,5%, un anno fa 88,3%).


Che credevate, che non avremmo messo almeno una gif di un pick and roll Murray-Jokic?

Essendo un giocatore con la testa sulle spalle ed estremamente disponibile a lavorare duro, oltre ad avere una sconfinata self confidence, si può star certi che Jamal Murray farà di tutto per limare i suoi difetti e per diventare una delle migliori combo guard della lega, sperando che i suoi Denver Nuggets non arrestino il loro processo di risalita.

Intanto, i fan si godono le sue straordinarie prestazioni di questa stagione, su tutte quella da 38 punti piazzati il 22 gennaio sul groppone dei Portland Trail Blazers (career-high), oppure i 33 della suddetta vittoria su Oklahoma City, o magari  i 32 con Orlando e i 31 con New Orleans a novembre, i 30 con Minnesota e i 31 con Philadelphia a dicembre, o infine il trentello di fronte ai Phoenix Suns a gennaio. I suoi viaggi over 30 saranno pure arrivati tutti al Pepsi Center, ma stavolta il fatto che a Denver si giochi in altura conta ben poco.

 

 

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Pubblicato da
Francesco Mecucci

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