La dura vita degli Small Town Market
Il caso dei Memphis Grizzlies può essere preso come esempio chiave per spiegare le difficoltà di riuscita di una franchigia con un piccolo mercato all’interno della NBA. La natura ugualitaria (a modo loro) del sistema americano cerca di garantire ad ognuno le stesse possibilità di successo. Basta cogliere le giuste opportunità. Non a caso una delle franchigie più ammirate all’interno della lega sono i San Antonio Spurs che, scegliendo bene al Draft (Duncan, Parker, Ginobili, Leonard), sono riusciti a costruire una dinastia lunga vent’anni nonostante non fossero (e non siano tuttora) una delle principali forza economiche e “politiche” della lega. Ma bisogna anche considerare il rovescio della medaglia, ovvero tutte quelle squadre che hanno messo delle buone fondamenta ma che poi, per tanti fattori, non sono riuscite a completare il lavoro rimanendo in una sorta di limbo. I Grizzlies rientrano in questa categoria. In due anni (2007-2008) hanno completato il primo step ― trovare giovani di talento da sviluppare ― mettendo le mani su Conley e Gasol. I giovani sono diventati All-Star e grazie ad un’altra regola fondamentale per garantire continuità, quella della Restricted Free Agency (ovvero che permette alle squadre che hanno scelto un giocatore al Draft di poterlo rifirmare, potendo pareggiare le offerte delle altre franchigie una volta finito il loro contratto da rookie), Memphis ha potuto tenerseli aprendo un ciclo duraturo.
(Credits to Grizzly Bear Blues)
Lo step successivo sarebbe quello di poter affiancare ai propri talenti quei giocatori (free agent) in grado di far fare alla squadra il successivo salto di qualità. E questo è molto più complesso. Difficilmente i free agent di punta scelgono di giocare per una squadra con un mercato minore come Memphis (e su questo anche San Antonio non fa eccezione vista la fatica dimostrata negli anni nel rinnovarsi attraverso la free agency), e questo comporta principalmente due cose:
- Generare un tetto oltre il quale una squadra non può andare, sia per limiti di crescita che tecnici; questo genera a sua volta quella mediocrità tanto odiata nella NBA che impedisce alle squadre di essere realmente competitive ma al tempo stesso di essere troppo forti per poter perdere e rifondare.
- Il secondo, e probabilmente peggiore, è quello di “costringere” queste squadre a tenere a cifre tutt’altro che competitive i giocatori di rotazione (role-player) a roster per paura di indebolirsi ulteriormente o peggio di firmare giocatori mediocri a cifre spropositate. Per quanto riguarda il primo caso si possono trovare molte squadre in giro per la lega con un salary cap bloccato da giocatori di rotazione stra-pagati ― due sue tutte Portland [che in questa stagione spreca 37 milioni (!) del proprio monte ingaggi per Turner, Harkless e Meyers Leonard e solo perché i Nets gli hanno fatto il favore di toglierli i 18.5M del contratto di Crabbe (!!)] e Charlotte, che ad ogni sconfitta vede allontanarsi la possibilità di trattenere Kemba Walker nell’estate nel 2019 ― mentre per quanto riguardo il caso di firme in free agency completamente sbagliate basti pensare al contratto offerto a Chandler Parsons proprio da Memphis.
La firma di Parsons nella folle free agency del 2016 è solo l’ultima goccia che ha fatto traboccare un vaso già oltre modo pieno di mediocrità. I Grizzlies hanno tentato l’all-in durante quell’estate e come per molte altre squadre prima di loro è andata male. Malissimo. La situazione attuale è la seguente: il cap è completamente bloccato almeno fino alla fine dei contratti di Parsons e Gasol. Il primo ha ancora due anni interamente garantiti per un totale di 49 milioni (sic) mentre il catalano alla fine della prossima stagione potrebbe decidere di uscire dal suo contratto, ma per farlo dovrebbe rinunciare a una Player Option da oltre 25.5M (cosa che appare alquanto improbabile). Le possibilità di poterlo scambiare sono esigue. Qual è il valore di un giocatore di 33 anni con due anni di contratto a quelle cifre e una storia di infortuni alle spalle infinita? Per non parlare di Parsons ― impossibile da muovere a meno di non volersi svenare cedendo preziose pick future, ovvero l’ultima cosa da fare in questo momento.
Ouch! (Credits to elsport.com)
A questi va sommato il super contratto firmato da Conley sempre due estati fa e quelli di JaMychal Green e Ben McLemore. Sommati ai G Leaguers, ai giovani e ai two-way player già a roster fanno in totale fanno 101M garantiti già per la prossima stagione, vale a dire più o meno tutto lo spazio salariale disponibile per l’anno prossimo (quando il cap salirà leggermente assestandosi attorno ai 102-103 milioni). Senza considerare il contratto in rookie scale del prossimo selezionato al Draft e lo spinoso caso di Tyreke Evans.
Dopo aver giocato la sua miglior stagione da anni Evans sarà un giocatore ricercato nella prossima free agency e col suo contratto in scadenza sarà libero di decidere dove accasarsi. I Grizzlies potrebbero offrirgli più soldi di tutti ma questo comporterebbe avvicinarsi pericolosamente alla soglia della luxury tax, ovvero la penultima cosa da fare in questo momento. Memphis ha provato a sondare il terreno nella scorsa deadline ma le offerte arrivate non hanno soddisfatto il front-office che ha deciso di giocarsi le proprie carte in estate. Una sua partenza comunque rimane molto probabile: a 28 anni e con la sua storia clinica alla spalle l’opportunità per giocare in una squadra di vertice potrebbe non ripresentarsi.
Scegliere il sentiero giusto
Seppur in ritardo di un paio di anni i Memphis Grizzlies si ritrovano adesso ad un bivio che segnerà la loro storia futura. Il dover ricostruire un nuovo progetto tecnico sul quale rifondare la franchigia è una necessità impellente, e questo appare chiaro, ma fino a che punto si dovranno spingere per gettare delle nuove fondamenta? Occorre smantellare tutto con la forza bruta (in stile Sam Hinkie a Philadelphia), oppure è meglio percorrere una via intermedia? E soprattutto: siamo sicuri che smantellare sia la decisione più giusta per una franchigia che già oggi conta uno dei giri d’affari più piccoli della lega (secondo i dati Forbes sono 29esimi su trenta, appena sopra i New Orleans Pelicans) e che rischia di scomparire nell’anonimato più totale? Scegliere il sentiero giusto da imboccare è sempre più difficile di quanti si pensi per gli Small Town Market come Memphis.
L’essersi quasi assicurati una scelta di livello assoluto nel prossimo Draft è un’ottima cosa. Il potenziale dei ragazzi in uscita è eccezionale e con buona fortuna c’è la possibilità di pescare il nuovo franchise player. Certo bisogna anche considerare che negli anni il front-office dei Grizzlies, guidato dal GM Chris Wallace, non ha saputo pescare particolarmente bene, con quel Thabeet scelto alla numero 2 nel Draft del 2009 (carico di gente come Griffin, Harden, DeRozan e Steph Curry) come macchia indelebile sul curriculum. Sviluppare talento giovane è una cosa di fondamentale importanza. Molto di più se si considera che i Grizzlies non hanno il controllo della loro prima scelta 2019 (che andrà ai Celtics qualora non dovesse cadere tra la 1-8; poi 1-6 nel 2020 e infine sarà interamente di Boston nella stagione 2021). Alla luce anche di questo fatto i Grizzlies potrebbero decidere anche di non perdere intenzionalmente oltre questa stagione. Con un po’ di fortuna sotto il profilo degli infortuni i Grizzlies potrebbero avere le carte per giocarsi per ancora una o due stagioni al massimo l’accesso ai Playoff. È vero che la competizione è sempre più agguerrita e che gli anni passano, ma Conley e Gasol restano giocatori affidabili e con Parsons quantomeno in grado di stare in campo e Green a dominare fisicamente le Power Forward avversarie qualche lumicino di speranza potrebbe esserci (specie se Evans decidesse alla fine di rimanere). Jarrell Martin e Dillon Brooks hanno dimostrato di saper tirare e possono spaziare il campo ― o agire da esche sul pick-and-roll tra Conley e Gasol ― col secondo che ha disputato tutto sommato una buona stagione da rookie.
Riuscire a centrare i Playoff nella prossima stagione sarebbe un successo davvero notevole e non è detto che all’interno della franchigia non ci sia la voglia di provarci. Soprattutto volendo prendere per buone le parole di Marc Gasol, che durante il corso della stagione si è lamentato più volte di voler giocare in una squadra competitiva. Certo occorrerà un allineamento astrale notevole e c’è il rischio di occupare quella fascia (tra le 30 e le 36/37 W) di purgatorio cestistico che rischierebbe di rallentare ancora di più la rinascita del progetto tecnico.
Passare per un paio d’anni di tanking potrebbe servire a riempire il roster di nuovi talenti sui quali rifondare, in attesa dell’estate del 2020 dove torneranno ad avere spazio salariale per tornare aggressivi sul mercato. Ma anche questo potrebbe non bastare, con la nuova riforma del Draft che livellerà le possibilità di prima scelta assoluta e la paura ancora maggiore di scomparire definitivamente dai radar della NBA. È difficile indicare quale sia la strada migliore per ripartire, e sicuramente su ogni sentiero ci saranno nuovi ostacoli e tutte quelle difficoltà con le quali le franchigie minori devono imparare in fretta a convivere. Il futuro dei Memphis Grizzlies è appeso ad un filo, tra la nostalgia per un ciclo storico oramai definitivamente chiuso e un domani incerto che promette e minaccia al tempo stesso. Non resta che aspettare.
Nel frattempo, Grit&Grind forever!