7 Marzo, Los Angeles.
I New Orleans Pelicans sono una delle squadre più in forma della lega, cavalcano una striscia di vittorie che arriverà a 10, e guidati da un Anthony Davis legittimamente considerato antagonista di James Harden nella lotta per l’MVP si apprestano a portare a casa una vittoria fondamentale.
The Brow durante la partita contro i Clippers è semplicemente incontenibile, fa quel che vuole della difesa di DeAndre Jordan e, quando torna in campo nel quarto quarto dopo un infortunio muscolare che lo ha tenuto fuori per qualche minuto, tira fuori dal cilindro quattro triple che chiudono la partita. Davis finirà con 41 punti e 13 rimbalzi, prendendosi i titoli dei maggiori siti sportivi mondiali e attestando una volta di più di essere il lungo più dominante della lega. Il punto, con un giocatore così centrale e che per forza di cose richiama su di sé tutta l’attenzione mediatica della squadra, è che si rischia di perdersi i fattori ‘secondari’ che portano ad una pallacanestro funzionale, sopratutto in un contesto in cui dal 26 gennaio 2018 in poi tutto ci si aspettava tranne che un rendimento del genere.
Tornando alla partita contro i Clippers, non serve però andare più in là del semplice box score per accorgersi che l’altro elemento fondamentale per la vittoria di NOLA risponde al nome di Jrue Holiday, che al termine dei 48 minuti fa registrare 19 punti, 4 rimbalzi e 17 assist. Sì, diciassette assist.
Vedere per credere
Nel tumulto generale che ha accompagnato la stagione della franchigia della Louisiana, prima additata come folle ribelle della small ball e poi sotto la lente di ingrandimento per l’infortunio di Cousins, si è teso a non dare la minima importanza a quello che è stato il rendimento del giocatore più pagato a roster (sì, anche più di Anthony Davis).
Holiday veniva da un 2016-17 in cui la sua produzione statistica aveva mantenuto livelli decenti, chiuso con 15.4 punti, 4 rimbalzi e 7.3 assist a partita in 32 minuti di utilizzo. La scarsa stagione dei Pelicans, però, scossa alla deadline dalla trade che ha portato Boogie in Louisiana e poi condizionata dalla poca funzionalità delle Twin Towers tra fine Febbraio e metà Aprile, ha fatto sì che l’ex Philadelphia rimanesse considerato come un bust tardivo dopo la convocazione all’All-Star Game guadagnata alla quarta stagione in NBA proprio con i Sixers, quando aveva solo 22 anni; basta scavare poco più a fondo poi per scoprire che secondo Basketball Reference Holiday nel 2016-17 ha tirato con il 45% complessivo dal campo (51% reale) su 13 tentativi a partita, ed è andato in lunetta solo 2.5 volte a partita tirando con un misero 71% – non proprio numeri da circo per una point guard di 27 anni che ha presenziato all’ASG.
Coach Alvin Gentry ha lavorato durante l’estate per sviluppare un proprio marchio di gioco che si basasse sulla coesistenza di Davis e Cousins sul campo da gioco. Base fondamentale sulla quale l’ex assistant coach di Golden State vuole costruire il connubio tra i lunghi è proprio il rendimento di Holiday, designato come collante sia nella fase di gioco a metà campo, iniziando l’azione, che come uno dei migliori difensori sugli esterni presente nel roster.
Holiday diventa il riferimento per Cousins e Davis nella creazione offensiva, quasi un perno fisso attorno al quale i due lunghi possono costruire in ogni singolo possesso
In totale controtendenza a quanto la presenza di due lunghi All-Star in quintetto direbbe, i Pelicans in questa stagione si sono rivelati una squadra dalla fase offensiva prettamente dinamica, a cui piace correre (come dimostrano i 100.5 possessi su 48 minuti, seconda nella lega) e che grazie alla continuità di pace elevato è riuscita a tenere 111.9 punti a partita (quarta nella lega).
In mezzo a questo correre perpetuo Holiday si è inserito esattamente nel modo in cui Gentry gli ha chiesto, facendo da raccordo tra difesa e attacco e riuscendo anche ad aumentare la propria produzione individuale: è uno dei soli 7 giocatori dei Pelicans ad avere Offensive Box Plus/Minus positivo (misura dei punti per 100 possessi a cui un giocatore ha contribuito standardizzata con la media della lega), ed è nettamente il migliore tra quelli che non si chiamano Davis o Cousins. È il secondo giocatore della squadra per Offensive Win Shares – sì, il primo è Davis – e con 3.6 accumula più del doppio rispetto a DeMarcus Cousins (che chiaramente ha avuto meno partite a disposizione e non era in campo durante la striscia di vittorie, ma resta uno dei dominatori della prima parte di regular season).
Per la prima volta dal 2012 inoltre Holiday ha fiducia nel proprio 1vs1, fornisce una terza variante offensiva alla squadra in fase di isolamento ed ‘libero’ di creare
Da ottobre a gennaio i Pelicans raccolgono scalpi importanti, dimostrano di poter scollinare quota 110 praticamente contro chiunque e per la prima volta da anni sembrano non solo in grado di arrivare ai Playoff, ma anche essere una squadra che tutti preferirebbero evitare al primo turno. Poi Cousins, nel più tragicamente romantico dei modi, il 26 Gennaio si rompe il tendine d’Achille a pochi secondi dal termine della partita casalinga contro i Rockets (poi vinta 115-113), e conclude la propria stagione con 4 mesi di anticipo. New Orleans dopo quella partita ha 27 vittorie e 21 sconfitte, è in piena corsa per i playoff, ma il sogno di un’intera città in pochi secondi potrebbe essere diventato un incubo.
Il lato nascosto
NOLA perde cinque delle prime sei partite senza DMC, e inizialmente sembra confermare i sospetti di tutti gli addetti ai lavori sul totale cambio di obiettivo per la stagione – dalla lotta per i Playoff a quella per la Lottery.
La prima importante reazione arriva a Brooklyn, l’11 febbraio, quando contro dei Nets combattivi che mettono ben 128 punti Davis e compagni tirano fuori la miglior prestazione offensiva della stagione, realizzano 138 punti e danno inizio a quella che resterà la più lunga striscia vincente della stagione fino ad oggi (e degli ultimi anni) per la squadra.
Holiday chiude la partita con 22 punti, 7 rimbalzi e 5 assist in 49 minuti di utilizzo, confermando sia di essere operativo al 100% dal punto di vista fisico (aspetto sotto il quale d’altra parte non ha mai dato problemi in carriera), sia di essersi ormai calato alla perfezione nel ruolo di terzo/secondo violino offensivo e leader emotivo che Gentry gli aveva chiesto durante il training camp. Durante la striscia di 10 vittorie la sua produzione individuale subisce un’impennata notevole, arrivando a 24.9 punti a partita conditi da 4.6 rimbalzi e 8.5 assist, con il 52% dal campo e il 42% al tiro da 3 su 3.5 tentativi di media, e anche i tiri liberi salgono a 4.4 tentativi trasformati con l’86% (per Basketball Reference).
Davis continua per forza di cose a prendersi tutti i titoli che contengano le imprese dei Pelicans, ma il lavoro oscuro di Holiday non può più per forza di cose passare sotto traccia, e, come giustamente fatto notare la scorsa settimana da Kevin O’Connor di The Ringer, “se questa regular season non avesse visto l’espressione ai massimi livelli del talento dei vari Harden, DeRozan, Curry, Irving e sopratutto Lillard negli ultimi due mesi, non c’è dubbio che avremmo visto Holiday fra le riserve dell’All-Star Game“.
I numeri d’altra parte non mentono, e parlano esattamente del prototipo di point guard che ogni squadra con due superstar non esterni (aspetta, solo i Pelicans le hanno) vorrebbe avere. Tipo quello in cui speravano i Minnesota Timberwolves all’arrivo di Jeff Teague la scorsa estate. Il picco di prestazioni di Holiday arriva il 25 Febbraio, quando i Pelicans volano a Milwaukee e strappano una fondamentale vittoria ai Bucks anche loro in corsa per un posto ai Playoff nella Eastern Conference. Il risultato finale dopo un overtime dice 123-121 per gli ospiti, trascinati sì da The Brow (27 punti e 13 rimbalzi) ma che trovano il vero leader proprio nel #11, che chiude con 36 punti, 9 rimbalzi, 6 assist, il 51.6% dal campo (16/31) e 2/5 da tre punti.
Ancor più importante dei numeri prodotti dall’ex Phila, che già di per sé sono impressionanti se si considera che uno dei suoi compagni di squadra è la più incontenibile macchina da canestri degli ultimi due mesi, è però il fatto che durante i 42 minuti in campo Holiday da un’inconfutabile prova della bidimensionalità raggiunta dal suo attacco:
Oltre a dimostrare di essere ormai diventato uno dei migliori rimbalzisti della lega fra le point guard (ci torneremo), Holiday è capace di affrontare una difesa semi-schierata e arrivare al ferro con facilità.
Dopo la tripla sbagliata da Mirotic – e con l’aiuto della presa difettosa di Brown – Holiday cattura un rimbalzo praticamente irraggiungibile (ci siamo tornati) e ha la lucidità di aspettare l’arrivo di Davis e lanciarlo a canestro.
Sono passate undici partite da quel 25 febbraio, di cui sette vinte per la franchigia della Louisiana che nel momento in cui scrivo si trova sesta nella Western Conference con 40 vittorie e 30 sconfitte, con record pari ai Jazz quinti e agli Spurs settimi e che secondo ESPN ha un confortante 80% di probabilità di arrivare ai Playoff (anche se resta da vedere come).
Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro?
Holiday è legato ai Pelicans da una mega estensione firmata lo scorso 1 luglio che lo lega alla squadra per i prossimi 4 anni e mezzo, assicurandogli un totale di 127 milioni di dollari (di cui 104 garantiti). Il suo, oltre ad essere il contratto più oneroso sul libro paga della squadra, è l’unico oltre a quelli di Davis, Hill e Moore ad andare oltre la stagione 2018-19 e dimostra quanto la squadra abbia creduto in lui in estate e sia convinta delle sue possibilità di confermarsi ad alti livelli tanto quanto della funzionalità sul parquet di Cousins e Davis stessi.
Cousins ha però l’handicap dell’infortunio che mette nubi sia sul suo futuro tecnico, con il dubbio che il centro possa non tornare mai ai livelli di questa stagione, sia sulla decisione che la dirigenza dovrà affrontare in estate, visto il contratto in scadenza e l’eventuale offerta di estensione che dovrà comprendere molti zeri. Holiday rappresenta dunque uno degli appigli a cui un intero stato avrà bisogno di aggrapparsi per scongiurare la paura dell’addio di Anthony Davis, che nonostante le parole di fedeltà per la città ad un certo punto avrà bisogno della certezza di poter competere per l’anello, e chiederà di farlo altrove se non si creerà la situazione giusta in Louisiana. Dalla conferma del rendimento di Holiday da qui al finale di stagione, dal raggiungimento e l’andamento nei Playoff e le mosse estive che aspettano la dirigenza, tanto si deciderà nei prossimi mesi sul futuro dei Pelicans, che mai come in questo momento sono una delle situazioni più instabili di tutta la NBA – non solum sed etiam dopo la scomparsa, qualche giorno fa, del 90enne proprietario della squadra (e dei Saints di NFL) Tom Benson.
In un caos generale la cui soluzione sembra ancora lontana all’orizzonte, un giocatore che molti avevano dato per finito o quasi prima, strapagato poi, e passato per un dramma familiare come la diagnosi di un tumore al cervello della moglie incinta del loro primogenito, è riuscito non solo a tornare a livelli altissimi in una delle migliori squadre di un ovest mai così combattuto, ma ha tirato fuori quella che probabilmente è la migliore delle sue nove stagioni passate in NBA – meglio anche del 2012-13 che lo ha portato all’ASG.
I soldi che New Orleans ha investito su di lui sono tanti, figli della bolla sui contratti che ha raggiunto il suo picco nel 2016 e che solamente con l’estate in arrivo comincerà finalmente a sgonfiarsi. Quel che è certo, però, è che la dirigenza dei Pelicans non si sta pentendo neanche di un dollaro pagato a Holiday.