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DeAndre Jordan e Clint Capela: i dinosauri esistono ancora?

The future is here. In una NBA che si sta evolvendo velocemente in una dimensione nella quale non esisteranno più le posizioni tradizionali (dalla 1, il playmaker che crea e comanda il flusso offensivo della squadra, alla 5, a.k.a. il centro che spadroneggia nel pitturato e rimane il più possibile ancorato al ferro) già oggi stiamo assistendo alla manifestazione di numerosi all-around player, in grado di svolgere qualsiasi compito in un campo di basket. Oscar Robertson e Earvin ‘Magic’ Johnson hanno aperto la via e oggi, nel 2018, possiamo elencare una lista molto ampia. In particolare, quelli che tra questi che occupano la posizione tradizionale di 4 o 5 vengono definiti nel gergo comune “Unicorni”, razza sempre più diffusa e desiderata dai GM all’interno della lega. Nonostante siano gli unicorni a popolare i sogni dei front office NBA, non siamo ancora arrivati al momento in cui queste creature mitologiche sono l’unica razza con diritto di cittadinanza. Nella massima lega sportiva professionistica al mondo continuano a resistere alcuni esponenti eccezionali di quelli che, per contrasto, potremmo definire “Dinosauri”. Banalizzando: lunghi fisicamente mostruosi, poco longilinei, che non hanno nei propri piani a medio-lungo termine la costruzione di un jumper o dei movimenti in post raffinati e che fanno della forza bruta e della verticalità la loro arma principale. Nonostante questo apparente anacronismo, alcuni di essi sono ancora considerati nella élite del ruolo della lega e, per dirla con un’espressione diventata cara al giornalismo pallonaro italiano, possono continuare a “spostare gli equilibri”. DeAndre Jordan e Clint Capela sono ancora tra noi. E si fanno notare.

 

Gli ultimi dominatori dell’area

Pensando a Jordan e a Capela qual è la prima cosa che vi viene in mente? Ok, la seconda dopo la meravigliosa parte da diversivo che avrebbe recitato il buon Clint se la realtà fosse bella almeno quanto quella descritta su Twitter (Off topic: siamo davvero sicuri di voler combattere fake news di tale livello artistico?). Credo che la prima idea che vi è balenata nella mente è di essere di fronte a due giocatori d’élite per quanto riguarda la cattura dei rimbalzi e la protezione del proprio ferro. DeAndre e Clint sono, senza ombra di dubbio, due dei rimbalzisti più temuti e rispettati della lega anche se, tra i due, si può notare ancora una leggera differenza a favore del lungo dei Clippers, da anni padrone della specialità.

Jordan si trova, attualmente, al secondo posto assoluto dietro Drummond per numero di palloni sputati dal ferro catturati a partita (15.4) ed è a livelli eccellenti (13+) dalla stagione 2013-2014, un’era geologica fa visti i ritmi con cui si sta evolvendo il Gioco negli ultimi anni. È un dato particolarmente significativo perché sta a significare che Jordan ha avuto il grande merito di rimanere un fattore attraverso le proprie caratteristiche nonostante la variazione radicale del contesto. Clint Capela, sotto questo aspetto, è ancora un gradino sotto il collega. Con i suoi 11.0 rimbalzi a partita (career-high e in costante aumento dal suo ingresso nella lega quattro anni fa) si attesta alla settima posizione della classifica di specialità al pari di Embiid. I due sono nella top-5, rispettivamente al secondo (DAJ) e quinto posto (Capela), nella classifica della percentuale di rimbalzi a disposizione catturati, con il 26% e il 22% delle carambole possibili conquistate. Percentuali che mettono in evidenza come la combinazione di fisico, tempismo e senso della posizione li renda due tra i rimbalzisti migliori della NBA anche se il contesto tattico di Houston, che punta ad allargare il più possibili le maglie della difesa avversaria appostando tiratori sul perimetro, semplifica indubbiamente il lavoro al centro svizzero.

 

DAJ vs tutti i Bulls. 1-0 e palla al centro.

Le maglie della difesa dei 76ers sono decisamente più diradate, il compito per Capela è molto più semplice.

Una differenza tra i due sotto le plance in favore del #6 in maglia Clippers la si riscontra anche nella metà campo offensiva. Jordan cattura 4.2 rimbalzi offensivi a partita (ovvero il 14.7% di quelli a disposizione) contro i 3.3 di Capela (13.5% di quelli possibili) e realizza più punti sulle seconde chance (3.8 vs 2.7), soprattutto in situazioni definite di “putback”, vale a dire quando il rimbalzo offensivo si trasforma immediatamente in un’azione di tiro, in cui Jordan realizza 3.2 punti a partita contro gli 1.9 di Capela. Il tutto in un contesto che sicuramente rende meno semplice il lavoro per l’esperto lungo della franchigia di Los Angeles rispetto a quello del #15 dei Rockets. Se foste alla ricerca di un lungo in grado di fare la voce grossa sotto entrambi i tabelloni, almeno per il momento, la vostra scelta dovrebbe ricadere su DeAndre.

Dal punto di vista prettamente difensivo sono entrambi dei buoni rim-protector, anche se non eccezionali. DeAndre Jordan è un ottimo difensore tout court. Le percentuali che concede agli avversari sono complessivamente inferiori rispetto alla media concessa dai Clippers nelle partite in cui lui è stato in campo (45.9% vs 48.2%) ed è solo leggermente sotto media (-2.0%) nella zona in cui ci si aspetterebbe un dominio pressoché smisurato: nelle conclusioni  meno di 6 piedi dal canestro dall’uomo da lui marcato, infatti, concede il 60.3% rispetto al 62.3% di squadra, dato che si è aggiustato solamente nelle ultime gare, quando i Clippers hanno trovato una quadra che gli consente di essere ancora in corsa per i playoff. A supporto di una eventuale tesi che sostiene l’inizio del declino di Jordan troviamo anche il numero di stoppate a partita (1.0), dato più basso in carriera dal 2009-2010, quello da sophomore.

Un’altra statistica che stride con la nostra idea che abbiamo di DAJ in quanto dinosauro è la percentuale concessa dall’arco dei 3 punti, in cui risulta  sotto il par (34.1% personale vs 35.6% di squadra). Dati che sembrano mostrare un DeAndre Jordan più switchabile e meno solido internamente di quanto in realtà sia. Tali statistiche, infatti, vanno calibrate all’interno di un contesto di squadra posizionata al 7° posto assoluto per percentuale concessa dall’arco (35.2%) e che presenta a roster giocatori difficilmente catalogabili come ottimi difensori sul perimetro quali Teodosic, Lou Williams e Austin Rivers, che concedono golose linee di penetrazione agli esterni avversari, andando a sporcare anche le cifre del compagno.

Due minuti di partita e i Clippers “difendono” così. BENE.

L’altra faccia della medaglia è rappresentata da Clint Capela, per il quale, invece, troviamo nei numeri la conferma di ciò che balza facilmente anche all’occhio. Lo svizzero è un rim protector d’élite. Il 56.5% concesso da Capela nelle conclusioni da meno di 6 piedi di distanza (a cui aggiungere 1.8 stoppate per partita) fa sì che Capela si stagli come un’ancora di salvezza per coach D’Antoni, visto il 62% complessivo che gli Houston Rockets concedono agli avversari in questa particolare voce statistica. All’opposto di Jordan, invece, il #15 della franchigia texana risulta essere un malus quando si ritrova accoppiato sul perimetro e coinvolto in numerosi cambi. Il 40.6% concesso ai suoi avversari diretti dalla linea dei 3 punti (contro il 37% di squadra) indica che il 23enne nativo di Ginevra ha ancora ampi margini di miglioramento per concedere ai suoi compagni di cambiare sui blocchi più a cuor leggero.

Contenere un giocatore fisico e tecnico in post quanto lo è Embiid senza fare falli e scegliere il tempismo giusto per stopparlo? Done.

Occhi fissi sulla palla e cervello spento. Clint, quelli sono i Warriors e così non va, stacce.

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  • Bravo! Articolo esauriente e su un buon argomento di discussione. Mi piacerebbe anche vederlo "al contrario" es. La capacità dei playmaker di adattarsi all'evoluzione dei nuovi centri come Joker jokic. Pollice in su. Bravo

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Pubblicato da
Alberto Mapelli

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