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Birdman e Swish, bad boys for life

Il 23 marzo Chris Andersen si è dichiarato eleggibile per il prossimo Draft della BIG3, lega del basket 3 contro 3 che vede protagonisti ex giocatori della NBA. Birdman, soprannome dovuto alla sua “apertura alare” e alla capacità di proteggere il “nido” con incredibili stoppate, non ha mai annunciato ufficialmente il ritiro, ma la parola fine sulla sua carriera NBA era stata scritta nel dicembre 2016, con l’infortunio al crociato rimediato mentre si allenava con i Cleveland Cavaliers.

Negli stessi giorni JR Smith, “Swish” per il rumore che fa la retina quando la palla entra nel canestro, sta giocando i Playoff alla ricerca del suo secondo anello con LeBron James (15 punti nella disastrosa Gara 1 dei Cavs, soltanto 5 in Gara 2 ma accompagnati da una giocata difensiva importante su Oladipo nel finale). Smith ha 32 anni, Andersen sette in più. La cosa principale che i due — un bianco imbronciato e silenzioso e un nero con un sorriso da schiaffi e la battuta sempre pronta — hanno in comune, oltre ai tatuaggi che li ricoprono (JR sostiene di aver “perso il conto”, Birdman dice che “ormai sono talmente tanti da essere diventati uno solo”), è un bel pezzo di carriera, una strada percorsa insieme che parte da New Orleans per finire a Denver.

 

Il nido di Birdman

Chris Andersen cresce in una fattoria a Iola, un posto sperduto da qualche parte in Texas, poco più di un incrocio tra due strade. La sua infanzia non è facile. Quando il secondo dei tre figli ha quattro anni, il padre decide di lasciare a metà la casa che stava costruendo e sparisce. La madre di Chris non ha un soldo, lui e le sorelle sono costretti a vivere con niente, trascorrendo anche tre anni in una casa-famiglia a Dallas.

Al liceo, dopo aver iniziato a saltare verso un canestro improvvisato nel prato davanti a casa ed essere diventato troppo alto per giocare a baseball, Andersen imparerà a giocare a basket. Continuerà a farlo al poco prestigioso Blinn College di Brenham, uno junior college, dato che non aveva i voti necessari per andare all’università. Non sapeva ancora che sarebbe stato l’unico studente della Blinn ad approdare in NBA, ma ci sperava, anche se aveva già sprecato la chance di giocare per Norm Stewart, storico allenatore dell’Università del Missouri. Il motivo? Stewart chiede a Chris quali siano i suoi interessi oltre al basket. La risposta è inequivocabile: “Party and chase”, fare festa e correre dietro alle ragazze. Stewart si alza e se ne va.

Andersen lascia il college alla ricerca di un ingaggio da professionista che arriverà nel 2001 con i Denver Nuggets che lo pescano dalla D-League, prima volta nella storia in cui un giocatore passa dalla lega di sviluppo alla NBA. Nel mezzo, squadre dai nomi improbabili  ̶  “I really didn’t know what I was doing”, dice lui, e siamo propensi a credergli. Si fa un giretto anche in Cina, dove sboccerà il suo amore per i tatuaggi. Sarà la madre, amante delle Harley-Davidson e per qualche tempo affiliata a una gang di biker, a pagare per i primi. Nel luglio 2004 firma un contratto con i New Orleans Hornets. Nella stessa estate arriva in città un giocatore che ha fatto il salto nei professionisti direttamente dall’high school, draftato al numero 18: Earl Joseph ‘JR’ Smith III, che fortunatamente si fa chiamare solo JR.

I suoi esordi sono stati più facili di quelli di Chris. Padre ex giocatore, famiglia benestante, Smith ha la fama di ragazzo disponibile, dal tiro letale e dall’atletismo esplosivo. È pronto a diventare una star della lega, se solo saprà fare sfoggio di umiltà e sarà in grado di rispettare l’autorità dell’allenatore, applicandosi in difesa e rinunciando a dei tiri per favorire il gioco dei compagni… Le cose non andranno esattamente così, JR diventerà famoso per la sua impulsività e per l’attitudine a non rinunciare mai a un tiro. Come recita una sua t-shirt: Shoot til my arm falls off.

All’arrivo in NBA si esige da lui un comportamento maturo che, data la giovane età e la libertà goduta all’high school, non si può pretendere, almeno non così in fretta. Forse sarà proprio il peccato originale di aver saltato gli anni del college a impedirgli di maturare e a portarlo a litigare con la maggior parte dei suoi allenatori, sta di fatto che raramente qualcuno rivedrà in NBA il ragazzo umile visto al liceo.

 

L’inizio dell’amicizia

I due ragazzi hanno in comune la passione per i tatuaggi, quella per Call of Duty e la voglia sfrenata di divertirsi. I primi anni della carriera professionistica di Birdman, specialmente dopo il contrattone firmato con New Orleans, sono una congerie di soldi spesi per mille donne diverse, assegni per gli amici di Iola che hanno guai con la legge, fuochi d’artificio illegali e chissà cos’altro. Ma siamo nel febbraio 2005, le catastrofi vere e proprie possono attendere: è il momento della gara delle schiacciate all’All-Star Game di Denver.

L’atletismo di JR è noto a tutti, per alcuni è il favorito della competizione. Parte subito forte, con una schiacciata effettuata facendo passare la palla dietro la schiena. “Nessuno lo ha mai fatto prima” dicono i commentatori di TNT.

JR va dietro la schiena.

 

Poco dopo tocca a Birdman. Aveva già partecipato alla gara l’anno prima. Non aveva vinto, ma i suoi capelli assurdamente gellati avevano attratto l’attenzione di uno spettatore d’eccezione, Jack Nicholson, al quale Chris aveva detto, scherzosamente ma non troppo: “Put me in a movie. Purtroppo per Birdman, con il primo tentativo riesce a passare alla storia, ma per il motivo sbagliato. Prova la stessa schiacciata otto volte, ma senza successo. “Nessuno lo ha mai fatto prima”, avrebbero potuto dire ancora una volta i cronisti con il tono meno lusinghiero possibile. Smith e Andersen si assisteranno a vicenda nelle schiacciate successive, senza risultati memorabili.

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Pubblicato da
Andrea Madera

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