(2) Golden State Warriors 119 – 106 Houston Rockets (1)
I Golden State Warriors guidano la serie 1-0
Deve essere snervante, forse anche più di quanto non lo sia normalmente per tutti quanti. Vieni da una buona stagione, hai a roster uno degli atleti più forti al mondo, aggiungi un futuro HoF nonché una delle migliori PG della Lega sui due lati del campo, costruisci un’armata cercando specificamente giocatori in grado di marcare una persona una, fai una stagione incredibile, ti guadagni il fattore campo e arrivi al momento clou solo per vederti sbattuta in faccia una immutabile e triste realtà, una di quelle da affrontare con rassegnazione e poco di più: Kevin Durant, proprio quella persona, non si può marcare. Mai, nessuno può farlo. Si può provare a limitarlo sperando che una ottima prestazione difensiva del marcatore coincida con una sua serata infelice dal punto di vista offensivo, e ancora non si sarebbe sicuri di ottenere il risultato. Ma a parità di fattori (e questa notte non lo sono stati, ma ci arriviamo) Kevin Durant vince, gli avversari perdono, chiunque essi siano.
E che gli vuoi dire? Ha ragione, non può.
All’appuntamento più atteso della stagione le due squadre si presentano entrambe con l’abito delle grandi occasioni. D’Antoni non rinuncia a Capela, e si affida alla fisicità e dinamicità di PJ Tucker per cercare di limitare KD, lasciando le chiavi dell’attacco al suo backcourt; Kerr, invece, lascia da parte qualsiasi conservatorismo e mette subito in campo la sua Death Lineup, tentando di indirizzare la partita fin dalle prime battute.
All’inizio, però, tutto quello che può andare bene per i Rockets va forse ancora meglio, con Harden che lascia intendere fin dai primi minuti di essere un uomo in missione. Pick-and-roll con Ariza per ottenere il cambio con Curry e liberarsi di Durant, show di Steph con KD che però non cambia e rimane accoppiato ad Ariza senza evidentemente avvertire il suo play, il quale dopo l’uscita forte va a quel punto ad accopparsi al bloccante: il risultato è che a marcare Ariza si ritrovano in due e a marcare Harden nessuno, ed è 3-0 facile. Da lì poi arriva un canestro in penetrazione (con tecnico per Draymond Green, che sarà pure un giocatore straordinario ma…), un’altra tripla sull’isola in faccia a Steph, un canestro con fallo (di Iguodala) di Ariza e poi un altro fallo a Iggy. Insomma dopo meno di 7 minuti Houston è avanti 13-4, Iguodala è già fuori per falli, Green ha già un tecnico sul groppone e Harden ha fatto vedere di essere “relativamente” ispirato.
Da lì comincia una serie di parziali e controparziali: prima GS risponde riportandosi sotto con due triple di Klay e Curry e costringendo D’Antoni al TO, poi al rientro altre due bombe di Gordon e del Barba riportano Houston a distanza sul 21-12 forzando, questa volta Kerr, il timeout. La partita viaggia a dei ritmi forsennati e allo scadere dei primi 12 minuti sembra davvero che Houston sia stata complessivamente superiore rispetto ai Warriors, con 5 bombe a referto. Il problema è uno solo: i Rockets sono avanti solo 30-29 perché – e non chiedeteci come né quando – Kevin Durant ha già 13 punti a referto.
Ingiocabile
Il secondo quarto si apre (e si chiude) esattamente sulla falsariga del primo: un Harden on a mission da altri 12 punti (sono 24 alla fine del primo tempo, con 8-12 dal campo e 4-6 da tre) e un Kevin Durant (17 punti) che continua a tenere in partita i suoi con relativa facilità, dando una percezione di onnipotenza a tratti quasi snervante per chi la osserva (e pensate per gli avversari), qualcosa che poche volte si è visto su un parquet. A questi si aggiungono poi i 12 di Klay, i 9 (più 6 assist) di Curry e i 9 di Swaggy-P, mentre Draymond Green continua a dare mazzate a destra e a sinistra e a litigare con tutti gli arbitri, mettendo a tabellino già tre falli al termine di un primo tempo che si chiude 56-56.
Una delle sliding doors della partita arriva poi a meno di 5 minuti dal rientro: D’Antoni decide di lasciare in campo Ariza nonostante i tre falli a referto. Dopo pochi minuti, sul punteggio di 61-58, ecco però arrivare il quarto e il conseguente panchinamento che priva Houston di una pedina tattica importantissima dello scacchiere. E’ a questo punto, infatti, che Golden State, guidata dalla coppia Durant-Thompson, traccia un solco importante per le dinamiche della partita. Il primo segna in qualsiasi modo possibile: pull-up dalla media (Tucker gli cede centimetri, canestro; Nene non è abbastanza veloce dopo l’arresto, canestro..), penetrazioni e chi più ne ha più ne metta. Tant’è che nemmeno gli serve andare in lunetta, visto che a pochi minuti dalla fine del terzo quarto KD ha messo a referto 29 punti senza nemmeno tirare un libero. Dall’altra parte c’è invece un Harden da 30 punti con 10/15 dal campo. Alla fine del terzo siamo 87-80 per la formazione di San Francisco.
Già, siamo 85-72 e Kerr decide che è arrivato il momento di richiamare Durant in panchina. “Why?”. Parziale di 8-0 di Houston. “WHY?”
Nell’ultimo quarto poi gli uomini di Kerr non sembrano mai veramente in pericolo di perdere una partita che infatti tengono quasi sempre in pugno. “Quasi” perché a 4 dalla fine la squadra di D’Antoni avrebbe effettivamente la possibilità di riportarsi in partita: Harden mette a tabellino i punti 37, 38 e 39 con un tripla in faccia a Durant, prima di forzare la palla persa proprio all’ex Thunder ed avere la palla del -4 in mano. Sul possesso decisivo, però, arriva la giocata decisiva della gara: Harden sbaglia il finger roll, rimbalzo, transizione offensiva di KD, tripla di Curry, errore, rimbalzo offensivo di Klay, post up al gomito di Durant contro Gordon, taglio interno di Dray servito, extra pass meraviglioso sul perimetro proprio per lo stesso Thompson, rimasto solo perché…già Tucker, perché? Ricezione piedi per terra, bomba del +10, game, set, match.
PERCHE’ PJ?!?
La partita si trascinerà poi stancamente per gli ultimi 4 minuti in cui accade sostanzialmente poco: finisce 119-106 per la formazione di coach Kerr, che annulla una stagione intera riguadagnandosi il fattore campo e dando una dimostrazione di forza incredibile, con un Durant ingiocabile, un Thompson d’elìte (la terza – sì, terza – soluzione offensiva della squadra), un Curry intelligente e un ottimo Looney in uscita dalla panchina, in quei minuti che lo scorso anno appartenevano a West. Dall’altra parte non la miglior Houston, su entrambi i lati del campo: in attacco non basta un Harden straordinario da 41 punti con quasi il 60% dal campo (a cui si aggiungono i 23 con 11 rimbalzi di CP3) se Tucker, Ariza e Mbah a Moute combinano 9 punti in 3 tirando con 3-17. In difesa, invece, ci limitiamo a dire che non si può pensare di vincere 4 partite consecutive contro la squadra più forte di sempre concedendogli 54 punti non contestati, il massimo lasciato dai Rockets in tutti i PO. Serve un cambio di rotta, e serve subito, perché andare nella Baia sotto 2-0 renderebbe (anche) questa serie niente di più che una “passerella” di superstar. Distribuite, però, in maniera squilibrata sul parquet.