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Chi è il difensore dell’anno in NBA?

C – Defensive Player of the Year: Rudy Gobert, Utah Jazz

Assegnare il premio di difensore dell’anno a un centro dopo le premesse introduttive potrebbe, apparentemente, esporci a una contraddizione ma la stagione in corso e le conseguenti nomination ci hanno chiaramente mostrato che a dominare difensivamente la stagione sono stati i lunghi che interpretano la difesa secondo chiavi di lettura moderne. In questa situazione, la certezza che sarà Rudy Gobert a ricevere il premio ci permette di osservare nitidamente uno stralcio della pallacanestro che verrà: uno sport in cui i centri non saranno solo indirizzati all’uso sempre più ampio del tiro da tre punti ma dovranno anche resettare i propri compiti difensivi secondo le necessità che codificano un gioco che sta diventando sempre più profondo e ampio nell’occupazione degli spazi. In un contesto che vede la dilatazione continua del proprio spazio vitale, ai difensori verrà richiesto sempre più di saper coprire ampie porzioni di campo, saper indirizzare gli attaccanti nelle zone prescelte dalla difesa, riuscendo ogni volta a massimizzare l’efficienza dei propri sforzi per ripetere ogni volta il gesto difensivo con la medesima efficienza.

Da questo punto di vista, Anthony Davis e Joel Embiid sono senza dubbio due interpreti avveniristici del ruolo: il primo ha giocato da centro e dominato sui due lati del campo tutte le partite dell’incredibile serie positiva maturata da New Orleans dopo l’infortunio di Cousins e il secondo è stata l’autentica ancora difensiva dei suoi, mostrando già ora degli sprazzi da futuro difensore dell’anno. Entrambi hanno vistosamente inciso sul rating difensivo delle rispettive squadre (che calava di circa cinque punti quando entrambi erano seduti) ed entrambi hanno mostrato di essere nella stratosfera incontrastata per capacità di contestare le conclusioni, forzare gli avversari a cattive percentuali e, ovviamente, stoppare. Embiid ha dalla sua un’incidenza enorme su una delle migliori difese della lega, Davis può invece vantare una maggiore versatilità che gli permette di marcare un ventaglio ancora più ampio di avversari. Entrambi sono, quindi, validissimi candidati al premio.

Nel primo confronto ad armi pari tra le due squadre i due si sono guardati prevalentemente da lontano. Ma siamo certi che di sfide epiche potranno regalarcene anche tante.

Rudy Gobert, però, incarna già ora l’evoluzione della specie del centro. Presenta una combinazione di skills fisiche e di comprensione delle situazioni difensive che lo rendono, per distacco, il giocatore più in grado di condizionare gli attacchi NBA. La capacità di Gobert di sconvolgere i piani degli attaccanti va ben oltre la sua smodata verticalità: è un elemento psicologico. Il timore che Gobert, anche se in svantaggio, possa rimontare e stoppare, è insito nella mente di ogni attaccante della lega che, spesso, si trova costretto a cambiare anche la più ovvia delle sue decisioni.

Le brutte figure causate da Gobert in recupero: un lay-up facilissimo si trasforma in un tentativo di alley-oop che nemmeno decolla, seguito da una stoppata e da un tiro affrettato. Il tutto in 3 vs 1.

Oltre a essere uno pterodattilo vorace se lanciato in campo aperto alla ricerca di palloni da stoppare, il numero 27 dei Jazz è anche un difensore terrificante a metà campo: dispone della rapidità di piedi per tenere più palleggi degli esterni NBA, ha braccia lunghissime che oscurano automaticamente numerose possibilità all’attacco e, soprattutto, legge i pick-and-roll come pochissime menti all’interno della lega. Questo lo porta a non aver bisogno di alcun aiuto quando è coinvolto dai cambi e di poter gestire lo spazio difensivo a suo totale piacimento.

 

Un esempio del controllo dello spazio di Gobert: aiuta su Westbrook, concedendogli uno spazio in cui non può prendere il jumper per non rischiare la stoppata, e poi recupera su Adams, sporcandogli il pallone e stoppandolo.

Anche quando forzato ai cambi dagli hand-off avversari, Gobert sa esattamente come negare le opzioni primarie degli avversari: grazie al suo posizionamento scoraggia il roll di Gibson e respinge con perdite l’uno contro uno di Wiggins.

Per un giocatore dotato di una simile scienza difensiva, la stoppata è quasi un prolungamento naturale, lo scettro che legittima un regno fondato sul terrore. Gobert è, infatti, il secondo miglior stoppatore della lega con 2.3 stoppate a gara ma l’impressione diffusa è che se fosse possibile calcolare il numero di tiri la cui parabola è stata influenzata dalla sua sola presenza saremmo dinnanzi a numeri ben più spaventosi.

Come quantificare nelle statistiche un’influenza psicologica di questo tipo?

Se già lontano dalla palla crea danni di questo tipo, vi lascio immaginare cosa possa voler dire essere un tiratore marcato dal francese: Gobert è stato il giocatore che ha contestato in assoluto più tiri in NBA (15 a gara) e, a partire dal suo ritorno, è stato il migliore per punti e percentuale concessa agli attaccanti.

Un brevissimo recap del suo dominio difensivo sulla stagione dei Jazz.

Se al suo comprovato dominio tecnico si sommano i numeri prodotti dai Jazz con e senza di lui si può tranquillamente arrivare a capire perché siamo dinnanzi al Most Valuable Player difensivo della lega. Utah ha chiuso la stagione con un record di 25-7 dal momento in cui il numero 27 è tornato, mentre in sua assenza il record è stato un meno che mediocre 11-15. Ma non solo: a partire dal suo ritorno i Jazz hanno fatto incetta di statistiche avanzate che hanno evidenziato come la squadra di Quin Snyder fosse assolutamente la miglior difesa della seconda metà di stagione. Dal 20 gennaio in poi, infatti, Utah è stata prima per efficienza difensiva (96.2), percentuali concesse dal campo (42.6%), punti subiti da rimbalzo offensivo (10.4) e percentuale di rimbalzi difensivi (80.9%). Come se non bastasse, la franchigia di Salt Lake City è stata anche al secondo posto per percentuale da tre concessa (33%) e punti nel pitturato subiti (41.4). Insomma, Gobert è apparso il più fulgido diamante difensivo della lega non solo da un punto di vista individuale ma, soprattutto, dal punto di vista della capacità di migliorare i suoi compagni. E questo il centro francese lo sa bene:

“Sono stato il giocatore con più impatto difensivo quest’anno. É un gioco di squadra: il difensore dell’anno è un ragazzo capace di rendere la sua squadra migliore. Non è solo una questione di statistiche ma anche di impatto sulla squadra e leadership. Ci sono un sacco di elementi che non finiscono nelle statistiche.”

Rudy Gobert non è semplicemente il difensore di maggiore impatto nella stagione NBA 2017-18, potrebbe essere uno dei pionieri che traghetteranno il gioco in una nuova dimensione su due metà campo, rendendoci testimoni di una pallacanestro in cui il campo sarà infestato da pterodattili capaci di riscrivere nuovamente i canoni con cui ci approcciamo a premi come questo.

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Pubblicato da
Jacopo Gramegna

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