Golden State Warriors

2018 NBA Finals Preview: Golden State Warriors

Non è dato sapere quanto ci vorrà. L’NBA cerca, cerca, e mentre cerca si “accontenta” di vedere per la quarta volta consecutiva le stesse due contendenti sfidarsi per l’anello. Potrebbe andare peggio; se ad Est continua a dettare legge un signore che con il resto dell’umanità ha sempre meno da spartire, ad Ovest il trono dei Warriors è stato insidiato da una delle migliori squadre degli ultimi anni, capace di dare l’illusione di poter spezzare una polarizzazione dell’universo cestistico americano che non ha eguali nella storia. Bel tentativo ma niente da fare.

Quando la Morte Nera decide che un pianeta deve esplodere questo esplode, non ci sono caccia né contrabbandieri galattici in grado di fermare la Storia in movimento (cit.). I Golden State Warriors sono di nuovo alle Finals e ad aspettarli ci sarà di nuovo LeBron James, sempre più corpo a sé stante piuttosto che sineddoche per indicare una squadra che senza il 23 farebbe fatica ad allacciarsi le scarpe (decidete voi quanto questa sia una metafora). Gli uomini di coach Kerr sono chiamati a rispettare un pronostico che li vede nettamente favoriti, ma per non incorrere in brutte sorprese meglio essere preparati a tutto.

I precedenti stagionali

La rivalità di questo decennio si è arricchita di altre due partite, giocate a Natale e a metà gennaio, che non aggiungono granché alla narrazione delle Finals ma possono fornire qualche indicazione. Premesso che i Cavaliers erano quelli di inizio anno, non ancora stravolti dalla trade deadline, in entrambi gli scontri diretti sono riusciti a rimanere abbastanza vicini ai Warriors (10 e 7 punti di passivo nelle due partite). La squadra di coach Kerr era anni luce lontana dall’avere il piede sul gas, figurarsi mettere quella specie di NOS da Terzo Quarto™ che ha brutalmente annientato i Rockets, ma se la regular season non impone di chiudere le partite quanto prima, permettendo anche di tirare con un modesto 31,9% da 3 (a fronte del 39,1% tenuto in stagione), i Playoff sono un’altra storia, specialmente se dall’altra parte c’è un cyborg con mire assolutistiche.

Questa è una situazione che potremmo vedere spesso: due uomini dei Cavs concentrati sul tiratore in uscita dal blocco, comunicazione assente, bloccante che si stacca immediatamente per tagliare sotto canestro, due facili.

Se nella sfida della Quicken Loans Arena la difesa dei Warriors ha tolto gran parte delle triple ad alta percentuale agli avversari, incapaci di andare oltre il 25% da oltre l’arco e costretti ad attaccare sistematicamente il ferro (62 dei 108 punti segnati nel pitturato), il Natale ha rischiato di risultare indigesto alla Oracle Arena, merito di un Kevin Love da 31+18. Il prodotto di UCLA (di ritorno dal regime di concussion), per quanto difficile da nascondere in difesa, è un grimaldello niente male per mandare fuori giri due sbarbatelli come Bell e Looney, non esattamente a loro agio lontano dal ferro. Nell’attesa che torni Iguodala potrebbe essere lui a complicare i piani di una squadra che quando ha incontrato Cleveland è andata meglio sia in attacco che in difesa su 100 possessi rispetto alle medie stagionali.

 

Chiavi Tattiche

Non esiste una formula universalmente accettata per fermare una delle squadre più dominanti di tutti i tempi. I Golden State Warriors si presentano con la sola defezione di Iguodala, assistiti non solo dalla loro meravigliosa visione del gioco, ma anche dal sentirsi dalla parte giusta della Storia. La serie contro i Rockets è stata probabilmente la più dura da quando questa squadra perse l’anello nel 2016, ma se all’equazione togli Chris Paul e inserisci la peggior striscia negativa di triple sbagliate in una gara di Playoff (27 triple consecutive sbagliate dai Rockets in Gara 7), ecco che la strada per le Finals porta dritta a Oakland, California.

In questi Playoff il dominio dei Warriors è stato palpabile in determinate circostanze e latente in altre, ennesimo segnale di una squadra che può permettersi il pilota automatico anche in post-season, consapevole di una superiorità per certi versi imbarazzante. Su 100 possessi nessuno è andato meglio in difesa, solo i Raptors sono andati meglio in attacco, il +10,3 di Net Rating è per distacco il miglior dato dei Playoff (seconda Indiana a 4,4), un AST/TO di 1,90 (anche qui nessuno in grado di fare meglio) certifica che il ball movement dei Warriors rimane un unicum all’interno della lega per efficienza ed efficacia.

Persino Swaggy-P ha capito che c’è (quasi) sempre un tiro migliore.

Gli assist a partita sono 25,6 (peggio solo di Pelicans e 76ers in questi Playoff), i passaggi effettuati ben 301 contro i 247 dei Cavs, a testimonianza di quanto il pallone viaggi tra gli uomini della Baia in confronto a un gioco molto più stantio espresso dai Cavs.

Ancora più interessanti sono i dati delle situazioni di gioco: i Warriors sono maestri nell’intessere trame offensive inestricabili dalle quali di solito esce o compare un uomo in grado di andare al tiro con relativa libertà. Situazioni da tagli e uscite dai blocchi vengono cavalcate con una frequenza rispettivamente del 11,8% e del 12,5% con il secondo dato pompato da un irreale frequenza del 41,3% di Klay Thompson nell’uscire dai blocchi.

Primo blocco, secondo blocco, è già troppo tardi…

Entrambe le situazioni sono forse quelle che più di tutte esigono un disegno preparatorio e una lettura palla in mano di altissimo livello e proprio per questo soltanto i Warriors possono permettersi di sfruttare così tanto queste variazioni del playbook. Un po’ in controtendenza il dato degli isolamenti, sensibilmente cresciuti rispetto agli scorsi Playoff. Ovviamente il “colpevole” è Kevin Durant che, se lo scorso anno non fagocitava troppo il pallone, quest’anno, un po’ per necessità un po’ per indole personale, ha spesso e volentieri fermato l’azione per permettersi un assolo.

KD gioca in isolamento il 24,5% delle volte, tra i big solo Harden e James monopolizzano più il pallone ai Playoff, eppure l’ex stella dei Thunder non inficia la sinfonia scritta e diretta da coach Kerr, semplicemente è un’alternativa per risolvere situazioni spinose come la Gara 7 contro i Rockets chiusa da un paio di suoi canestri di puro talento.

Su un’isola, da fermo, per mettere il punto esclamativo in Gara 7.

Proprio i Rockets hanno fatto emergere qualche falla, un piccolo condotto di scarico connesso al reattore centrale che non dovrebbe certo essere un problema, ma se Star Wars ci insegna qualcosa è che non è saggio lasciare libero sfogo al caso. I pick-and-roll dei Rockets, specialmente il comprovato James to Clint, hanno dimostrato quanto sia rischioso cambiare sistematicamente. Se il cambio rimane l’opzione predominante nella testa di Steve Kerr, mandare troppo spesso Bell o Looney a cercare fortuna lontano dal pitturato non è sempre una buona idea.

Dal momento che i drive-and-kick saranno situazioni molto sfruttate dai Cavs, sarà importante per i Warriors non collassare in area ogni volta che James batte il malcapitato difensore e di conseguenza gestire gli switch in base alle situazioni. Un altro fattore che i Rockets hanno evidenziato a fasi alterne è la difficoltà nell’accoppiarsi a inizio azione.

In Gara 1, dopo il canestro di West, Paul va dall’altra parte in tutta calma ma nessuno dei Warriors prende Gordon. L’aiuto di Green è insufficiente, due punti.

I Rockets corrono molto più dei Cavs (solo i Pacers hanno un PACE più basso in questi Playoff) ma sarà importante essere reattivi, non lasciare linee di passaggio facili alla straordinaria visione del Re e di conseguenza tiratori liberi di mirare, puntare e fare fuoco. Ai Cavs servirà uno sforzo sovrumano per resistere ai Momenti Warriors™ durante i quali non vengono presi prigionieri, si rade al suolo tutto ciò che si incontra.

Poi servirà una certa costanza sotto le plance e nelle seconde chance, situazioni in cui i campioni in carica soffrono un po’ più del normale, con la consapevolezza che le chiavi della serie le hanno gli altri e la pallacanestro proposta da Golden State per ora è la cifra stilistica della lega.

Steph ci tiene a ribadirlo

Player to watch

Klay Alexander Thompson. Nessuno può uscire indenne da una fiammata a piena potenza di Golden State, il che vuol dire che l’unica speranza per i Cavs è quella di non far mai accendere l’invincibile armada californiana. Se Curry è il termometro, specialmente in casa, dei Warriors, il lavoro svolto da Thompson comincia molto più sottopelle, le triple mandate a bersaglio sono soltanto l’iceberg sotto al quale giace il vero patrimonio di avere un giocatore come Klay.

Kevin O’Connor spiega molto bene su The Ringer quanto Gara 6 sia stata uno spartiacque della serie contro Houston. Un po’ perché senza Chris Paul è sensibilmente cambiata la musica, un po’ perché i Warriors hanno ripreso a giocare una pallacanestro alla continua ricerca del ritmo, della nota perfetta, di un’armonia difficile da trovare senza un giocatore come Thompson. Non è soltanto un mortifero tiratore in uscita dai blocchi (insieme a JJ Redick il miglior artista della lega in questo fondamentale), è il suo dinamismo, il continuo muoversi in giro per il campo a disorientare la difesa avversaria. Per essere un esterno è anche un discreto bloccante, in grado di captare quando aprirsi in pop o quando forzare il cambio per permettere al palleggiatore una miglior linea di penetrazione.

Thompson sembra portare un blocco, ma al momento di bloccare accelera per forzare il cambio suggerendo a Curry una linea di penetrazione migliore.

Nei primi sette quintetti per NetRtg dei Warriors in questi Playoff l’unica variabile comune è Klay Thompson, dato che, se integrato a un rendimento On/Off the court che racconta di un giocatore sotto media, può far tirare una sola conclusione: se le cose vanno bene con Klay vanno sempre meglio.

Per quanto questi Cavaliers non facciano poi troppa paura, l’onnipotenza cestistica del Prescelto impone una certa dose di cautela e la necessità di mettere quanto prima le cose in chiaro, martellando l’inefficace difesa avversaria a suon di canestri. Avere un Klay Thompson nel motore può aiutare in questo intento.

La paura di farsi bruciare da una sua tripla è talmente alta che qui Harden accorcia appena inizia il movimento. Il resto lo fa l’IQ cestistico di Klay.

Pronostico

Se un neofita NBA si limitasse a guardare i risultati degli ultimi anni potrebbe chiedersi a che pro viene giocata la regular season e tutti i turni di Playoff. Golden State Warriors-Cleveland Cavaliers Episodio IV sembra essere il capitolo più squilibrato della saga.

Se i Rockets hanno avuto il merito di far sanguinare i ragazzi di coach Kerr, dimostrando che c’è vita oltre la Baia, d’altro canto i Cavs, se escludiamo lo sweep ai danni dei Raptors, hanno faticato parecchio per arrivare all’atto conclusivo della stagione. Quello attuale è senza dubbio il peggior supporting cast a disposizione di James da quando è tornato in Ohio, alcuni pensano che sia il suo peggior supporting cast da quando è in NBA. Allo stesso tempo c’è ragione di credere che anno dopo anno bisogna aggiornare le statistiche sul miglior LeBron della carriera e il 2018 non fa eccezione. Un uomo solo però non può sconfiggere un’armata; se lo facesse bisognerebbe ridefinire, in maniera esclusiva, il concetto di uomo.

I Warriors hanno due partite in casa che dovrebbero vincere senza troppi patemi, dovessero vincere anche una delle due partite a Cleveland la serie finirebbe lì. Finisse con un rotondo 4-0 non ci sarebbe da strapparsi i capelli, ma almeno una partita i Cavs possono pensare di vincerla quindi diciamo 4-1 e terzo anello in quattro anni per Steph e soci.

Anche Riley saluta i Cavs

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Pubblicato da
Paolo Stradaioli

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