Gara 1 delle NBA Finals 2018 si consegna alla storia come una delle gare più belle della storia recente della pallacanestro e condensa in sé una vasta quantità di temi che torneranno utili anche nel corso dell’intera serie. Malgrado l’importanza del confronto, i due coach hanno utilizzato rotazioni piuttosto lunghe, cercando i giocatori spendibili per questo palcoscenico sin dal primo atto della serie: questo aspetto ha sottolineato senza dubbio una maggiore profondità di Golden State, pur gettando luce su un’insperata abilità di Cleveland nel battere il chiodo sui punti deboli degli avversari.
Se sulla capacità di LeBron James di dominare ogni singolo aspetto della pallacanestro non era possibile porsi neanche un quesito, risultava ben più logico chiedersi fin dove i suoi compagni lo avrebbero seguito e fino a che punto i Cavs sarebbero riusciti ad attuare il proprio piano partita. Su entrambi gli aspetti coach Tyronn Lue ha trovato risposte positive ma comunque insufficienti a portare a casa una vittoria che avrebbe potuto cambiare parzialmente la percezione generale dei rapporti di forza in campo.
Via la maschera
Se c’è un aspetto dell’approccio alla gara dei Cavs che ha subito colpito particolarmente è stata la minuziosa applicazione di un piano partita che prevedeva il coinvolgimento immediato di Kevin Love e il controllo del ritmo. Per attuare le sue idee, coach Lue non ha usato specchietti per le allodole, relegando George Hill al ruolo di portatore secondario di palla. L’ex vice di David Blatt si è affidato immediatamente a un James in versione point-forward: una scelta necessaria per modulare l’attacco di Cleveland in base alle proprie esigenze su ogni singolo possesso. In questo modo Cleveland poteva scegliere se attaccare immediatamente in contropiede o tornare a cercare i compagni a metà campo. Con James in versione demiurgo sin dal primo possesso, inoltre, gli Warriors non potevano concedersi accoppiamenti deficitari in transizione che sarebbero immediatamente stati puniti dall’intelligenza cestistica del numero 23. LBJ, pienamente immerso del suo ruolo di alpha e omega dell’attacco dei Cavs, ha aperto la partita sbagliando solo uno dei suoi primi 10 tiri e chiudendo un primo tempo sotto controllo con 24 punti. La versione-playmaker di LeBron ha dato immediati problemi agli Warriors che, oltre a non poter dislocare difensivamente Curry sul portatore di palla, vedevano coinvolti il proprio numero trenta e i propri lunghi da continui tentativi di cambio in favore di The King. Una situazione del genere non poteva far altro che mettere sotto stress i lunghi di Kerr: il coach di Golden State è stato, infatti, forzato a togliere dal campo Kevon Looney dopo un primo tempo problematico e a utilizzare per soli 4′ David West, troppo facilmente battibile da LeBron.
LeBron da playmaker crea imbarazzi a interni ed esterni.
Love, dal canto suo, ha subito toccato un numero cospicuo di palloni, elemento fondamentale per sentirsi pienamente investito del suo ruolo di seconda bocca da fuoco dei Cavs, e ha risposto con un primo tempo di buona produzione offensiva (12 punti) malgrado qualche wide-open-three sbagliata di troppo. Il suo ruolo nel corso della gara è stato comunque imprescindibile, visto che dalla sua capacità di giocare sul perimetro e soprattutto spalle a canestro è passata grossa parte del piano-gara di Lue: più i Cavs trovavano il post, meno era possibile per Golden State correre. Non a caso, nel corso del secondo e soprattutto del terzo quarto, quando ormai sembrava che Golden State stesse prendendo le misure all’attacco dei Cavaliers, Cleveland si è aggrappata ai suoi interni, ricavandone canestri piuttosto pesanti anche da Larry Nance Jr. Persino Tristan Thompson ha segnato il suo unico canestro della gara con un gancio destro sporco partito dal post.
Le scelte offensive dei Cavs, non del tutto imprevedibili, hanno trovato un complice insperato nell’atteggiamento difensivo iniziale di Golden State, non sempre attentissima in aiuto, nella contestazione dei tiri e a rimbalzo difensivo. L’unica pecca nella gestione del primo tempo dei Cavs è stata l’incapacità di convertire i tanti tiri aperti, esponendosi a un annunciato rientro degli Warriors.
L’imprescindibilità di Steph Curry
Malgrado la piuttosto evidente etichetta di bersaglio difensivo che Curry si porterà dietro per tutta la serie, il due volte MVP questa notte ha dimostrato di essere davvero l’elemento capace di trasformare i Golden State Warriors in uno dei team più forti di sempre. Da solo, il numero 30 è stato in grado di cambiare la percezione climatica della gara più volte. Il suo zampino è apparso evidente ogni qualvolta gli Warriors sono riusciti a liberarsi del giogo del ritmo controllato imposto dai Cavs, sin dai primissimi possessi della partita. I primi sei punti di Golden State, infatti, sono arrivati proprio grazie a due sue interpretazioni della transizione: una tripla da otto metri abbondati e lo sfruttamento del mismatch contro Tristan Thompson per portare a casa un and-one. Proprio il suo incendiario inizio ha, poi, spinto Cleveland a prestare maggiore attenzione nel calibrare i rimi, ma questo non ha comunque impedito a Curry di svolgere il suo ruolo di generatore di caos controllato nei momenti decisivi del primo tempo.
Proprio quando Cleveland è sembrata in grado di ottenere finalmente un vantaggio e Klay Thompson ha segnato una bomba di importanza capitale per tenere vivi i suoi portandoli dal -11 al -8, Curry ha deciso di riprendere in mano la gara. Come? Segnando un canestro in 1 vs 1, regalando cinque metri di spazio a Durant per la sua prima tripla, permettendo a Draymond Green di realizzare un gioco da tre punti di importanza capitale e poi mandando Durant a schiacciare per il 53-53. C’è sempre stato lui al centro dell’energia del flusso. Poco importa se LBJ ha realizzato un fallo-e-canestro di difficoltà immensa: ci ha pensato sempre Steph a chiudere il primo tempo in parità con una tripla da centrocampo che ha portato il sapore amaro della frustrazione sulle labbra dei Cavs. All’interno di un primo tempo non semplice per i suoi, Steph ha portato la luce.
Not your average third quarter
Dopo un primo tempo tatticamente dominato dai Cavs e pareggiato da Golden State in una maniera così frustrante, tutti si sarebbero aspettati l’ondata degli Warriors che tende a devastare ogni tipo di avversario. In effetti, le avvisaglie di un importante allungo per i padroni di casa ci sono state. Tra gli aggiustamenti fatti a inizio secondo tempo, ha avuto particolare importanza la scelta di Kerr di mettere in campo JaVale McGee al posto di un Looney un po’ spaesato. L’ex centro di Washington ha risposto presente, effettuando un paio di difese eccezionali quando coinvolto da LeBron James sui cambi, e lanciando un paio di transizioni sulle quali è stato il primo a capitalizzare. Anche Durant, in una serata non semplice al tiro, ha deciso di modificare il proprio ruolo nella gara cercando con più continuità il mismatch in post alto e lucrando in tre occasioni sul suo multiforme talento. Sembravano gli albori della fuga buona e invece gli Warriors hanno sbagliato un paio di triple che di solito segnano automaticamente, esponendosi all’onnipotenza di LeBron James che ha deciso di diventare il vero elemento anticlimatico di questa Gara 1. Con tre triple in quattro possessi, segnate fuori da ogni logica, James ha fatto tremare gli Warriors usando le loro stesse armi: il tiro da tre, la transizione e il dominio assoluto del terzo quarto. La Oracle Arena si è ammutolita e ci è voluta ancora una volta una tripla insensata di Curry per riportare entusiasmo. A quel punto Cleveland, con LeBron in panchina per l’ultimo minuto del quarto, è tornata ad appoggiarsi a Love, che ha realizzato un paio di ganci decisivi per permettere ai suoi di restare in partita in vista del quarto quarto.
Un quarto che ci mostra cosa voglia dire cambiare completamente il corso delle nostre abitudini
Questione di dettagli
Malgrado la preparazione e le contromosse effettuate, questa è stata, in definitiva una gara che si è decisa su alcuni dettagli. Non è stato di certo un dettaglio l’impatto di James a inizio quarto quarto: da solo ha trasformato dei giocatori piuttosto deteriori fino a quel momento (Kyle Korver e Jeff Green su tutti) in dei soldati capaci di riportare la battaglia sui binari della parità. Ma nel momento in cui l’equilibrio è stato definitivamente raggiunto, i dettagli hanno fatto la differenza. Tra questi particolari determinanti, non si può tacere sulla geniale gestione di Kevon Looney che è passato dall’essere spaesato nel primo tempo all’essere un elemento decisivo in difesa e nelle pieghe dell’attacco nel quarto quarto. Tra i dettagli principali bisogna rubricare il senso del dramma sportivo di Draymond Green, che ha litigato con i ferri per tutta la gara, salvo infilare una tripla pesantissima nel quarto quarto e ripetersi nel supplementare. Ma non è finita qui, perché nel quarto quarto la partita avrebbe potuto prendere pieghe diverse per pochi centimetri: pensiamo alla postura del corpo con la quale James ha commesso fallo su Durant a 36.4 secondi dal termine, o all’angolo di aiuto di Love sull’ultima penetrazione nel quarto quarto di Curry. E poi, ancora, pensate al secondo libero di Hill sputato dal ferro e all’errore più grave della carriera di JR Smith.
Non soffermatevici troppo, però, perché non vorremmo che venisse dimenticato il dettaglio più bello del finale di Gara 1: la capacità di effettuare sempre la scelta giusta da parte di James, anche se questa comportava un carico enorme di fiducia nei suoi compagni. James si è fidato di JR Smith a due minuti dalla fine, regalandogli una tripla apertissima per riportare i suoi a meno uno ed è stato premiato solo dalla bomba fuori equilibrio di Love sull’extra-possesso. LeBron si è fidato di Hill sull’ultimo possesso della gara e ne è nato un 1 su 2 pesantissimo. E poi ancora, nei supplementari, è stata sempre la voglia di mettere attenzione nei dettagli a segnare il divario tra le due squadre: l’attenzione agli angoli di aiuto e ai tempi di passaggio di Draymond Green, il tuffo di Curry che ha evitato un facile contropiede. Per Cleveland, invece, è stato il solo James a voler credere ai dettagli: guardate come, sul più dieci per Golden State a un minuto dalla fine, abbia ancora la lucidità di andare a rimbalzo e cercare il post basso, il mezzo principale utilizzato dai Cavs per tenere in mano la partita. Non è bastato. Ma siamo sicuri che la sconfitta possa in qualche modo ridimensionare la leggenda di questa prova di LeBron James?
LE PAGELLE
Top Performers
LeBron James: impossibile non partire dal numero 23. Con questa Gara 1 ha, probabilmente, attentato nei cuori di molti all’inscalfibilità della prova di Allen Iverson sul campo dei Lakers nella Gara 1 delle Finals 2001. Una performance del genere è destinata decisamente a riscrivere le pagine della letteratura di questo Gioco. A differenza di The Answer, James non è riuscito a portare a casa la vittoria, ma si è profuso in una prova individuale ben superiore. 51 punti, 8 rimbalzi e 8 assist in finale, totalizzati dando la netta e costante impressione di essere pienamente in controllo di ogni aspetto della pallacanestro. Numeri e sensazioni che ci rendono testimoni, per usare le parole usate da Flavio Tranquillo in telecronaca riferendosi alla gara, di un Instant Classic: la lode non arriva solo perché Cleveland non è riuscita a vincere. Voto 10.
Da guardare e riguardare.
Kevin Love: fondamentale per permettere ai suoi di attuare il loro piano partita. Efficiente in post basso e provvidenziale a cavallo di terzo e quarto quarto con sette punti di importanza capitale. I suoi tiri sbagliati e il suo angolo errato in aiuto su Curry sono alcuni dei dettagli che hanno indirizzato la gara ma, dopo l’assenza per concussion, Love ha risposto decisamente presente con 21 punti e 13 rimbalzi. Voto 7+.
Stephen Curry: senza Curry non esisterebbe Golden State. Imprescindibile per tenere insieme col filo di ferro del suo talento gli Warriors nel corso del secondo quarto. Eccezionale nel secondo tempo a rimediare ad alcuni errori di attenzione con alcune delle giocate più pesanti della gara. I 29 punti, 6 rimbalzi e 9 assist non sono nemmeno lontanamente indicativi della sua importanza. Voto 8.5.
Kevin Durant: non una serata semplicissima al tiro per KD. Il 36.4% dal campo potrebbe esporlo a delle critiche ma, nei momenti in cui conta, Durant non tradisce. I tiri liberi del 104-104 sono opera sua, così come alcuni pesanti canestri nel secondo quarto, nel momento in cui Golden State è andata a riprendere Cleveland. A fine serata ci saranno comunque 26 punti, 6 assist e 9 rimbalzi per lui, oltre a 3 importanti stoppate e al miglior Plus/Minus dei suoi (+17). Voto 7.5.
Klay Thompson: a lungo sembra di vederlo poco, complice anche il rischio di infortunio corso a inizio gara, ma in realtà c’è e si sente. Alla fine saranno comunque 24 punti con 16 tiri e il 50% dal campo, ai quali contribuiscono ben due triple pesantissime, quella che segna la rimonta dal -11 nel secondo quarto e quella della staffa nei supplementari. Voto 7.5.
Flop Performers
JR Smith: il suo errore pesa gravemente sulla serie, ma non sono da meno le sue percentuali dal campo: il suo 30% è una zavorra non indifferente che, sommata al -22, rende insindacabile un giudizio negativo sulla sua gara. Se pensiamo che è anche l’uomo che ha quasi infortunato Thompson (con un intervento onesto, va detto) e ha quasi bucato il recupero su Curry, abbiamo chiaro il quadro di una serata completamente da resettare. Voto 4.
Jordan Clarkson: l’unica nota positiva della sua gara sono i +9 punti di Plus/Minus accumulati. La ragione è facile da comprendere: è stato in campo nel momento più prolifico del secondo quarto dei Cavs. I quattro punti in 17 minuti, tirando 2-9, ci parlano chiaramente di una possibilità sempre più remota di rivederlo in campo man mano che la serie proseguirà. Voto 4.5.
Jeff Green: spende in campo ben 35 minuti partendo dalla panchina e si accende solo a inizio quarto quarto, grazie al ritorno di James. Lontano anni luce dal protagonista di Gara 7 contro i Celtics, dovrà necessariamente salire di colpi. Voto 5.
Honorable Mentions
Kevon Looney & JaVale McGee: la loro staffetta è uno dei segreti di pulcinella nel cambio di inerzia della gara. Dopo un inizio difficile, rinfrancato dal rientro, il primo si è mostrato capace di stare in campo nei momenti chiave della gara, mentre il secondo ha dato risposte confortanti nelle due metà campo, salvo farsi stoppare dal ferro in una pesante occasione. Voto 6+ per entrambi.
Larry Nance Jr: un’ottima presenza a rimbalzo e una buona costanza nell’andare a far male agli Warriors nel pitturato lo rendono la nota più positiva dei suoi in uscita dalla panchina. Voto 6.5.
Key player: Draymond Green
Il giocatore che ha effettuato le giocate più pesanti della gara resta, però, Draymond Green. Dopo aver litigato con il canestro per tre quarti ha infilato due triple decisive, allungando il proprio controllo in ogni comparto del gioco. 13 punti, 11 rimbalzi, 9 assist, 5 recuperi e 2 stoppate con +13 di Plus/Minus e la netta impressione di sedere nella sala dei bottoni emotivi degli Warriors. Non è un caso che nel convulso finale, ci fosse sempre lui in prima linea. Nel bene e nel male, il barometro di Golden State Voto 8.
Play of the Night
La giocata della partita non poteva che provenire dal giocatore chiave della stessa. A 1:10 dall’inizio dei tempi supplementari questa giocata ha definitivamente indirizzato la gara. Gli Warriors conducevano di soli due punti e Green ha deciso di trasformare quasi da solo una situazione di sostanziale parità nel +5 che avrebbe dato il via all’allungo decisivo di Golden State. Il 23 arriva in aiuto su George Hill che aveva battuto agevolmente Curry e lo stoppa, riaprendo immediatamente per Curry che gliela ridà in corsa. A questo punto Green non si scompone, anzi, non punta nemmeno il ferro, guarda nell’angolo opposto come si insegna sin dal minibasket e trova Klay Thompson che, in ritmo, mette una tripla non contestata di importanza capitale. Da quel momento in poi Golden State non si volterà più indietro, complici anche due assist e una tripla dello stesso Green.
Gara 1 viene consegnata agli archivi ma ha già i crismi della leggenda. Non vediamo l’ora che arrivi Gara 2.