Road To Draft

Road to Draft 2018: Jaren Jackson Jr.

Squadra: Michigan State (Freshman)

Ruolo: Power Forward/Centro

2017-18 Stats per game:

Pts TotRebs DefRebs OffRebs Asts Stls Blks FG% 3pts FG% Ft%
10.9 5.8 4.3 1.5 1.1 0.6 3.0 51.3 39.6 79.7

2017-18 Advanced:

Ast% Reb% OffReb% DefReb% TO% Usg% Blk% eFG% TS%
9.3 15.0 8.8 19.7 17.4 23.5 14.3 59.5 64.7

 

I lunghi NBA contemporanei sono ascrivibili, come noto, a due trend principali: 1) Quelli con skillset da esterni e corpo oversize – i cosiddetti unicorni –; vedi Kristaps Porzingis, Karl-Anthony Towns e Myles Turner 2) Quelli con fisico da lungo old school e skillset salterino da portiere di calcio; vedi Clint Capela, Andre Drummond, Rudy Gobert. C’è, in realtà, una terza categoria, la più pregiata; ibrido tra la prima e la seconda. Quella dei centri soverchianti fisicamente, monolitici in difesa, che hanno pure controllo di palla, visione di gioco, tiro ed esplosività da guardia pura. La setta di über-giocatori che risale a Kevin Garnett e che ha oggi in Anthony Davis e Joel Embiid gli esponenti principali.

Il Draft NBA 2018 ha, in prevista zona lottery pregiata, un eccellente rappresentante della prima categoria, l’ipercinetico Marvin Bagley III, e, pure, l’archetipo del gruppo 2 in Mohamed Bamba, pinnacolo postmoderno se ce n’è uno. Non solo: per una congiuntura straordinaria, nelle altissime sfere del Draft Pool sono presenti ben due teenager che potrebbero – con uno sviluppo adeguato – entrare a far parte del range tecnico-metafisico di Davis ed Embiid nel giro di 3-4 stagioni. Il primo è DeAndre Ayton, dato da molti mock – compreso quello di NbaReligion.com – come prima scelta assoluta (targata Phoenix Suns). Il secondo è Jaren Jackson Jr., Freshman of the Year 2018 della Big Ten con la maglia dei Michigan State Spartans di Tom Izzo e, in epitome: il possibile link tra Dikembe Mutombo e Chris Bosh.

Punti di forza

Jackson è, pur senza il surreale wingspan di 241 centimetri di Bamba (si ferma “solo” a 224; pari a quello di Bosh) il miglior rim protector della Draft Class 2018. Nella stagione 2017-2018 – prima e ultima al college – ha stoppato un tiro nel 14.3% dei possessi difensivi giocati. Una stoppata ogni sette possessi, tre a gara, in 21.8 minuti giocati a partita (proiezione di 5 stoppate per 36 minuti; Bamba, per dire, è a 4.4; Ayton a 2; Bagley non arriva a 1). Numeri che gli sono valsi il premio di Miglior Difensore 2018 della Big Ten. Si tratta, è evidente, di un prospetto in grado di fare da perno, dal “day one”, alla difesa della franchigia che lo selezionerà al Draft.

L’attitudine ad ancorare l’area non è dovuta solo a wingspan e tempismo: Jackson ha in dotazione un’esplosività eccellente, che gli permetterà – anche al piano di sopra – di fare il “cambiatutto” alla Capela, tenendo grazie a piedi velocissimi gli esterni lanciati in penetrazione.

La reattività difensiva non manca

In più, rispetto a Capela, ha un potenziale di prima fascia pure in attacco. Già ora, e parliamo di un ragazzo che compirà 19 anni il 15 settembre prossimo, è difficile trovare lacune significative al gioco nella metà campo offensiva dell’ex Michigan State. I margini per lavorare, come ovvio, sono ampi, vista anche l’età. Ma Jackson ha in faretra gioco in post, tiro dalla media e tiro da tre punti tutti di alto livello (quasi il 60% complessivo e quasi il 40% da tre nel 2017-2018), oltre a un ottimo dinamismo a tutto campo.

Le buone movenze in post di Jackson

Le mani, pure, sono più che discrete (80% dalla lunetta sfiorato). In NBA potrebbe diventare uno spazzatutto in difesa e uno stretch five in attacco, con la chance, pure, di fare a sportellate sotto canestro (2.5 rimbalzi offensivi per 36 minuti; 6.5 difensivi), grazie a un frame da 211 centimetri per 107 chili.

Boom, tripla!

Punti deboli

L’età di Jackson è al contempo un punto a favore e un’incognita. La storia NBA è piena di lunghi ad altissimo potenziale – giunti dall’high-school o da un’annata esplosiva al college – che hanno poi bucato tra i pro (Marquese Chriss e Noah Vonleh, per citare due esempi recenti di giocatori con tool fisici accostabili a quelli di Jackson). Non è, insomma, automatica l’equazione “grande potenziale=grande carriera”. JJJ deve, per cominciare, avere fortuna: ha bisogno di una franchigia che lo valorizzi e lo metta al centro del progetto da subito.

Il rischio, in caso contrario, è di mancato affinamento delle doti naturali a disposizione: la stigmate dello stretch-five potrebbe svanire – la meccanica di tiro, per dire, è lenta nel rilascio per gli standard NBA e va sistemata anche in quanto ad altezza di uscita della palla, insufficiente, e angoli mani/braccia/busto, poco ortodossi –; la prestanza difensiva potrebbe diventare foga (al college ha commesso più di 5 falli per 36 minuti, anche perché abbocca spesso alle finte degli avversari); la versatilità in attacco inconcludenza (3 palle perse ogni 36 minuti), quando non entropia (tende alla forzatura/intestardimento; ha capacità nel passaggio non eccelse, vedi i soli 1.8 assist per 36 minuti nel 2017-2018); non è detto, inoltre, che il fisico elastico dell’ex Michigan State basti, di per sé, a reggere gli urti con mostri come Embiid, Gobert, DeMarcus Cousins e Steven Adams (servirà un lavoro costante sui fondamentali difensivi, tagliafuori in primis; non solo: forse anche 5-6 chili in più).

JJJ è, per riassumere, un prodotto meno finito di altri prospettoni della Draft Class 2018 (Ayton e Bagley hanno soluzioni offensive più strutturate; Luka Doncic il controllo tecnico-tattico di un veterano), cosa certificata anche dai soli 22 minuti a partita giocati a Michigan State. Prendendo in prestito la terminologia di un noto videogame: se Doncic, Ayton e Bagley potrebbero avere, all’interno di NBA 2K, un “valore totale” attorno all’‹80›, Jackson starebbe più sul ‹70-75›. Col parametro “potenziale”, però, settato attorno al ‹90›.

 

Upside

Può essere utile e divertente accostare l’immagine della carriera di Jackson a quei vecchi librogames con cui negli anni ‘80 ci si divertiva a entrare in una storia – bivio narrativo dopo bivio narrativo – da svariate angolazioni e vivendo, a ogni rilettura, un finale diverso. Ciascun finale era a suo modo giusto, ma ce n’era sempre uno più giusto e soddisfacente, in cui tutte le cose tornavano. JJJ, dovessero tornare tutte le cose, sarebbe, alla fine della storia, un degno prosecutore della linea evolutiva partita con Kevin Garnett e proseguita da Anthony Davis e Joel Embiid; rivisitata dalla fusione tra il gioco di Chris Bosh e quello di Dikembe Mutombo. Roba da standing ovation alla chiusura dell’ultima pagina.

Draft projection

Jackson è nel novero dei 7 prospetti del Draft Board 2018 il cui potenziale è considerato sensibilmente più alto rispetto a quello del resto del pool (gli altri “magnifici 6” sono Ayton, Doncic, Bagley, Bamba, Michael Porter e Trae Young).

Realisticamente, analizzando le necessità delle squadre con pick nella Lottery e dando per certo che il primo lungo scelto sia Ayton, le franchigie che potrebbero puntare forte JJJ sono: i Grizzlies con la pick numero 4 (Memphis cerca un centro giovane per ricostruire, data la parabola discendente imboccata da Marc Gasol); i Mavericks con la 5 (molto probabile che Dallas, che ha un reparto pivot quasi inesistente, scelga uno tra lui e Bamba); i Magic con la 6 (Nikola Vucevic fa parte dell’ensemble di lunghi NBA superati dalla storia; Jonathan Isaac non pare avere le stigmate della star; Aaron Gordon potrebbe partire nell’off-season, dovesse restare avrebbe disperato bisogno di un rim protector di qualità a sgravarlo da compiti difensivi); i Bulls con la 7 (serve un complemento per il gioco tutto attacco di Lauri Markkanen). Possibile anche un interessamento degli Hawks, che hanno la scelta numero 3 (il tandem col sophomore John Collins sarebbe molto intrigante dal punto di vista atletico). Se Jackson venisse selezionato con una delle prime due pick – Suns o Kings – o oltre la settima si tratterebbe, invece, di una grossa sorpresa.

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Pubblicato da
Elia Pasini

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