Gara 4 delle NBA Finals 2018 è stata, senza alcun dubbio, la sfida meno equilibrata della serie. L’incapacità dei Cleveland Cavs di trovare risposte al contesto generato sin da subito dagli Warriors ha scavato ben presto un solco nella gara. A breve l’intera NBA si interrogherà su quanto deriva da questo terzo titolo in quattro anni per Golden State: probabilmente Golden State resterà, comunque vada, team più forte. Ma che futuro attende LeBron James e la lega?
Troppo forti, troppo presto
L’approccio di Golden State a Gara 4 è stato, forse, il miglior manifesto programmatico della profondità dell’arsenale dei suoi interpreti. Gli ingredienti li conoscevamo già tutti ma vederli messi completamente in mostra nel primo quarto è davvero cosa rara. Come mostrato per quasi tutta la serie, Golden State è stata in grado di lucrare tantissimi punti con gli slip-the-pick sia di JaVale McGee che dei propri esterni, di andare proficuamente in post-basso da Kevin Durant, di presidiare la propria area con efficacia e di correre il campo come nessuna squadra nella storia della lega. Rispetto alle altre gare della finale, nelle quali ciascun tema è salito in cattedra nel momento del bisogno per gli Warriors, il problema di Cleveland è stato dover fronteggiare tutte queste problematiche contemporaneamente già a partire da inizio gara.
Rim protection ripetuta e di qualità. Poi #StephGonnaSteph.
Non è un caso che Golden State abbia subito trovato un consistente vantaggio sul 13-3 e che le uniche chance di rientro per Cleveland passassero dall’uso di situazioni di transizione o semi-transizione per evitare di cogliere la difesa schierata e cercare di punire i cattivi bilanciamenti dell’attacco degli Warriors. Così è arrivato un 8-0 di parziale per i Cavs, chiuso da una tripla in transizione di Love, che ha riportato il primo quarto in equilibrio.
Allo stesso tempo, però, la necessità di forzare le transizioni di Cleveland ha portato Golden State sul suo campo di battaglia prediletto. Con un ritmo più alto, per il team di Steve Kerr è stato un gioco da ragazzi punire la squadra di Lue, costringendola a tante palle perse e mostrando un’abitudine decisamente più marcata a correre il campo. Non scordiamoci, infatti, che prima di questa serie Cleveland era la seconda peggior squadra dei Playoff per PACE, seconda solo ai Pacers.
Guardate il cronometro: LBJ cerca di attaccare molto presto. Incontra, però, la difesa di Golden State, decisamente abituata a difendere in sottonumero. Per Durant, rimasto un giro indietro, è uno scherzo appoggiare in campo aperto.
A questo punto, dunque, Cleveland ha cercato di togliere immediatamente la palla dalle mani di Durant e Curry, proponendo dei raddoppi estremi già dalla metà campo e trovandosi spesso a non poter contrastare il passaggio d’uscita. A scavare nuovamente un solco tra le due squadre ci hanno pensato ben quattro triple pesantissime di Iguodala, Young e Green, battezzati dalla difesa ma comunque in grado di far saltare ogni piano di Cleveland nella metà campo difensiva.
Provarle tutte
Come era ovvio attendersi, dopo il -9 del primo quarto, Cleveland era chiamata a restare nella gara. Per farlo, Cavs hanno cercato di dar fondo a quel repertorio di soluzioni che nel corso della serie hanno dato buoni risultati: i rimbalzi d’attacco, i tentativi di isolare dei mismatch per LBJ e, come detto, la transizione. La tensione di Golden State per la stoppata è stata, infatti, meglio punita nel secondo quarto da una Cleveland decisamente più reattiva a rimbalzo offensivo: da extra-possesso sono nati tiri da tre non contestati e diversi put-back points che hanno tenuto i Cavs in linea di galleggiamento. La capacità di battere ogni tipo di difesa di James ha, poi, fatto il resto: un and-one contro Steph Curry e un floater contro Klay Thompson, entrambi realizzati dal re, hanno riacceso il pubblico di The Land. I Cavs hanno anche toccato tre volte il +1 nel corso del secondo quarto ma stavano per pagare nuovamente la mancanza di qualità nel perseguire le proprie scelte difensive.
La transizione di James è in grado di calamitare le attenzioni dei difensori e facilitare il rimbalzo offensivo.
Le triple di Iguodala e Curry, assieme ai lay-up di Green e McGee, sono nate da un cattivo uso dei raddoppi, spesso mandati sul portatore di palla con tempistiche e angoli di scarsissima qualità, prontamente puniti dagli Warriors. Chiudere il quarto nuovamente sul -9 è stata una brutta botta Cleveland, che nel secondo periodo ha provato a profondere uno sforzo per restare nella gara.
Guardate Love e Smith: in due su Curry fermo a centrocampo, senza comunicare, lasciando un’autostrada a Green.
Finally, your average third quarter
Come ormai ben noto, il dominio di Golden State in questi quattro anni è stato fondato sui terzi quarti nei quali ogni tipo di avversario è stato spazzato via senza diritto di replica. In questa serie, gli Warriors non erano mai riusciti a imporre il proprio terrificante controllo sulla terza frazione, fatta eccezione per il terzo quarto di Gara 3 che ha rimesso la squadra di Steve Kerr in condizione di portare a casa la gara. In quell’occasione, però, gli avversari non erano stati cancellati dal terreno di gioco. In Gara 4, invece, Golden State ci è finalmente riuscita. Il leitmotiv ormai lo conosciamo: la difesa che sale di colpi alimentando il tornado degli attacchi in transizione, che portano a tiri da tre di qualità e in ritmo, prontamente realizzati. A inizio terzo quarto la squadra di Tyronn Lue ha provato ancora una volta, quasi disperatamente, a spingere dentro i tiratori avversari, cercando almeno di pagare con il male minore. Il risultato è stato quello di venire subito frustrata da un floater di Thompson, due palleggio-arresto-tiro di Curry e Durant, uno scarico di Durant per lo stesso Curry e un reverse lay-up sempre del #30.
La scelta di Cleveland è quella di negare le opzioni che le hanno fatto male, compreso il post di Durant. Il 35 viene mandato dentro ma la difesa ha seri problemi ha reagire a delle situazioni che, tutto sommato, dipendono dalle sue stesse scelte.
Mentre la difesa dei Cavs non trovava risposte, l’attacco ha perso gradualmente di ritmo, limitandosi a qualche illuminazione individuale di James, coadiuvata dal buon dinamismo di Love a inizio quarto e dalla tripla completamente fuori ritmo di Hood. Davvero troppo poco per contrastare una delle migliori difese della storia del gioco per reattività e capacità di coprire ampie porzioni di campo. Così i Golden State Warriors hanno toccato e ritoccato il massimo vantaggio nella gara, riducendo gli ultimi 15 minuti di contesa a una triste anabasi verso il quasi certo addio di LeBron.
Le domande che gravano sul futuro della lega sono, come noto, tante. I Cavs, in primis, dovranno scegliere cosa fare del proprio destino: le domande principali, qualora LBJ lasciasse, sarebbero inerenti a cosa fare di Lue e Love. La squadra di Steve Kerr, invece, festeggia un repeat più sofferto di quanto possa sembrare e si candida al three-peat che li porrebbe una volta in più nell’empireo della storia del gioco.