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Road to Draft 2018: Jalen Brunson

Squadra: Villanova (Junior)

Ruolo: Guard

2017-18 Stats Per Game:

Pts TotRebs DefRebs OffRebs Asts Stls Blks FG% 3pts FG% FT%
18.9 3.1 2.8 0.3 4.6 0.9 0.0 51.2 40.8% 80.2%

2017-18 Advanced:

Ast% Reb% OffReb% DefReb% TO% Usg% Blk% eFG% TS%
26.6% 5.6% 1.2% 9.7% 10.7% 26.4% 0.1% 60.4% 63.5%

 

“No, me la rovineresti,”

rispose il ragazzino a Michael, allontanandosi. I protagonisti del siparietto sono il figlio di neanche 10 anni di Rick Brunson, una dozzina d’anni sulle panchine NBA prima di giocare nell’ultima stagione del Progresso Castelmaggiore. ‘Michael’ è Michael Jordan, allora nell’ultimo stint di carriera, ai Washington Wizards. Il tutto a bordocampo, perché come racconta Lee Jenkins su Sports Illustrated il ragazzino preferisce fare il ragazzo delle salviette piuttosto che starsene appollaiato in tribuna, preferisce il sudore al patinato.

Rick, Hall of Famer all’Università di Temple, insegna che la dedizione e il sacrificio pagano più di qualsiasi cosa. Undrafted nel 1995 e tagliato ripetutamente da diverse squadre NBA, il padre è stato chiaro con Jalen fin dall’inizio:

“Non voglio che tu viva come ho vissuto io. Se vuoi davvero diventare un giocatore di pallacanestro, ascolta quello che ho da dirti e prenderai una strada diversa dalla mia.”

Padre e figlio (via Al Tielemans / Getty Images)

Gli stressanti metodi di allenamento del padre non lo hanno spezzato. Nel 2010, Rick fu chiamato da coach Thibodeau ad entrare nello staff dei Bulls. Jalen giocò dunque a Stevenson High e a 18 anni sembrava potesse essere il nuovo, grande liceale in uscita da Chicago, dopo Derrick Rose, Anthony Davis e Jabari Parker. Il padre, però, rimane coinvolto in un brutto caso e Jalen si chiude. Torna a farlo sorridere il miglior sviluppatore di guardie a livello collegiale, coach Jay Wright di Villanova, che lo ha reso un giocatore speciale.

 

Punti di forza

Dopo 3 anni a Villanova, Jalen Brunson è una delle più decorate guardie del college basket degli ultimi anni. Arrivato con Mikal Bridges e Donte DiVincenzo nella squadra di Ryan Arcidiacono e Josh Hart, vince da playmaker titolare il titolo 2016 – quello del tiro di Kris Jenkins – e da protagonista ri-vince 2 anni dopo. È il Naismith College Player of the Year, è l’anima dei Wildcats che entrano nel torneo col #1 seed ed escono col trofeo in mano e mai una vittoria di meno di 10 punti. Giocando per un grande ateneo, Jalen Brunson è sotto i riflettori da tempo. Come scrive Jonathan Tjarks, è inutile nascondersi dietro un dito: JB non ha un atletismo né una stazza spaziale per la posizione (playmaker) in cui gioca, ma «potrebbe essere l’ultimo di una lunga lista di giocatori che ce l’hanno fatta in NBA senza nessuna delle due cose».

Dopo 115 partite da titolare con coach Wright, è difficile che sbagli una singola decisione con la palla tra le mani. Maturità, QI cestistico e calma olimpica sono doti che fanno comodo a chiunque in NBA e Brunson ne ha da vendere. Nella sua ultima stagione coi Wildcats, ha tirato col 52.1% dal campo e il 40.8% dall’arco: solo lui – in tutta la nazione – ha tenuto una media di 18+ punti, 4+ assist di media e meno di 2 palle perse a sera. Il nativo di New Brunswick, New Jersey, mette sul piatto leadership (il primo obiettivo è sempre migliorare e mettere in ritmo i compagni), intensità e un sopraffino feeling per la pallacanestro. Dall’altra parte dell’Oceano usano il termine crafty: Jalen Brunson dispone di qualsiasi freccia immaginabile nella propria mano mancina. È un attaccante ben sopra la media anche perché è sempre in movimento. Seguirlo per tutto il campo fa venire il mal di testa. Jab-steps, finte, finalizzazione creative vicino al ferro, euro-step, floater: il prodotto di ‘Nova possiede l’intero repertorio.

Crafty.

Ottimo portatore di palla in transizione, JB è – col tempo – migliorato anche nell’altra metà campo. Sempre una giocata avanti, è astuto e attivo coi piedi per non farsi mai trovare impreparato. 191 cm di altezza per 195 cm di apertura alare (pesa circa 90 kg) non fanno di lui un potenziale cracken in difesa (à-la-Shai Gilgeous-Alexander, per dire), ma potrebbe tranquillamente diventare un difensore nella media.

 

Punti deboli

Nonostante quanto detto sopra, i maggiori punti interrogativi rimangono sulla metà campo difensiva. Non è chiaro se, una volta che si troverà di fronte atleti del calibro di John Wall o Russell Westbrook, rimarrà nella polvere o darà loro filo da torcere. Tanti scout sottolineano poi come, in una lega che fa ormai della switchability un’arma, possa essere un problema trovarlo accoppiato col lungo avversario. All’inizio potrebbe patire – accade con tutti, del resto – il divario fisico: anche ad un play nella media NBA com’è Dennis Schröder, Jalen Brunson paga dazio in quanto a rapidità. Come diversi playmaker read-and-react, inoltre, a volte il figlio di Rick pensa più alla giocata idealmente corretta e poco a costruire un vantaggio. Può migliorare il proprio mid-range game e il tiro dal palleggio non è eccelso, e se smettesse anche di perdersi tra un blocco e l’altro…

 

Upside

La guida di The Ringer, nel sottotitolo di presentazione, recita: “Una classica point guard che perderà posizioni nel Draft a causa dell’età, salvo poi giocare più di 10 anni in NBA.” C’è un po’ tutto quello che si deve tenere in considerazione su Jalen Brunson: è più “vecchio” di Devin Booker, ma nessuno si dovrebbe stupire se dovesse ripetere una carriera simile a quella di Derek Fisher. Il Venerabile Maestro, anch’egli mancino, anch’egli screditato in sede di Draft, è stato il solido playmaker sul quale si sono poggiati ben 5 titoli dei Lakers. Come Fisher non è mai diventato una stella dopo 4 anni ad Arkansas-Little Rock, così è improbabile lo diventi Brunson. Il rischio di fallimento, tuttavia, è minimo; la sua etica del lavoro è comprovata. Riuscisse a traslare in maniera efficace il tiro al piano di sopra (probabile), si pesca un signor giocatore fatto-e-finito.

Sangue freddo già al liceo.

Draft projection

Come detto, è probabile che Brunson, più che il suo numero, tra vent’anni troverà appeso al palazzetto della squadra che lo sceglierà il numero del suo prossimo compagno All-Star. Nel Mock Draft di NbaReligion.com va alla #26: lo scelgono i Sixers, lui rimane a Philadelphia per garantire un po’ di sicurezza e raziocinio ad una squadra che arriva dalla querelle-Fultz. Se verosimilmente il suo nome verrà chiamato tra la #25 e la #40, è altresì vero che in quel range le uniche squadre non in totale rebuilding che pescheranno sono Phila (x3), Boston (che ha già Irving, Rozier e deve decidere che fare con Smart) e Golden State (piuttosto coperta nel reparto guardie). Avranno il coraggio di chiamarlo alla #24 i Blazers, anche dopo i miglioramenti di Shabazz Napier? Potrebbe forse, Jalen Brunson, venire scelto per conto di qualcun altro e trovarsi ben presto in una trade?

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Pubblicato da
Michele Pelacci

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