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NBA, Steven Adams: “Ho sofferto di depressione prima di entrare in NBA”

Anche le persone che ci appaiono più allegre e solari possono soffrire, o aver sofferto, di depressione. Il centro degli Oklahoma City Thunder Steven Adams, conosciuto da tutti per la sua simpatia e allegria che mostra sempre sui social e nei pre-partita, è fra queste persone. In seguito alle dichiarazioni di Kevin Love e di DeMar DeRozan riguardo ai loro problemi con attacchi di panico e depressione, il giocatore dei Thunder ha voluto a sua volta approfondire la questione. Infatti, come riporta NZHerald.com, la depressione sarà il tema centrale della sua autobiografia che uscirà tra qualche mese, intitolata “Steven Adams: My Life, My Fight”.

Il sito riporta infatti che il centro neozelandese ha avuto per la prima volta a che fare con la depressione ad appena 13 anni, in  seguito alla morte di suo padre. Solo con l’aiuto di suo fratello Warren, che lo portò con se a Wellington, la seconda maggiore città della Nuova Zelanda per popolazione, Adams fu in grado di uscire da tutti i sentimenti negativi che provava, entrando in contatto con il mondo della pallacanestro. Nel suo libro, Steven fa poi notare come sia stata proprio la pallacanestro ad aiutarlo a uscire da quei momenti difficili, poiché lo aiutava a porsi degli obiettivi e a tenere la mente occupata:

“Una volta arrivato a Wellington, inizialmente ho faticato molto per non cadere di nuovo nella solitudine ed evitare la depressione. Ero abituato ad avere una comunità molto affiatata intorno a me, sempre disposta ad aiutarmi. Così, nel mio caso il segreto per superare quei sentimenti era quello di trovare una intensa routine: preparai quindi una serie di giornate tipo che mi hanno aiutato a non ricadere nell’autocommiserazione.”

Il basket lo tenne occupato a tal punto da riuscire a farsi strada nella pallacanestro del Paese, tanto che nel 2011 Adams decise di iscriversi alla Notre Dame Preparatory School per potersi preparare all’esperienza NCAA con l’University of Pittsburgh. Ancora, nel suo libro Adams sostiene però che non fu facile nemmeno questo periodo di adattamento:

“Nei primi mesi a Pittsburgh ho seriamente pensato di mollare tutto, lasciare l’America e tornarmene a casa in Nuova Zelanda, dove mi sarei sentito più a mio agio. Posso dire che almeno la metà di quello che sentivo era infatti dovuta alla nostalgia di casa e che non avesse nulla a che fare con la pallacanestro. Non è facile ritrovarsi completamente soli in una nuova scuola, soprattutto in un nuovo Paese. Il solito consiglio di farsi degli amici nuovi e creare una sorta di famiglia non ha funzionato con me.”

“Ma ho superato quei momenti con assoluta determinazione, consapevole che non sarebbero durati per sempre. Se sarebbe servito per farmi strada nel basket, ero disposto a sopportare alcuni dolorosi anni. […] Se un giorno mi sveglierò e non avrò la forza di continuare a migliorarmi, le cose peggioreranno molto velocemente. Suona triste ma è molto semplice: l’unica cosa che mi mantiene attivo è la continua lotta alla ricerca di qualcosa, non importa cosa. Appena smetterò di lottare per ottenerla, significherà che mi sarò arreso”.

Al termine dell’unica stagione al college, Adams venne selezionato con la chiamata numero 12 dai Thunder, dove si è distinto come uno dei centri più affidabili della lega (e come uno dei più amati dagli spettatori). Ha chiuso la stagione 2017/18 con 13.9 punti, 9 rimbalzi e 1 stoppata di media, ma dopo queste dichiarazioni riguardanti la sua forza di migliorarsi ponendosi obiettivi, non escludiamo che le sue medie possano diventare ancora più importanti nella prossima regular season.

 

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Pubblicato da
Andrea Capiluppi

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