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NBA, Kevin Durant riflette sul presente a Golden State e sul passato a Oklahoma City

Kevin Durant è passato, nel giro di poche stagioni (post MVP conquistato nel 2014, indicativamente), dall’essere uno dei giocatori universalmente più amati della NBA (una sorta di secondo Tracy McGrady, per dire) all’essere uno dei più divisivi. Lo scatto di personalità mostrato da KD nelle ultime due annate in maglia Thunder (2014-2015 e 2015-2016) e nelle prime due in maglia Warriors (2016-2017 e 2017-2018) ha del clamoroso: nei sette anni iniziali dell’avventura a Oklahoma City Durant si è fatto conoscere come leader silenzioso e persona quieta; nel quadriennio successivo è parso posseduto – a tratti – dal demone di Rasheed Wallace. La superstar di Golden State ha parlato dei “due Durant” NBA con Chris Broussard.

Il Durant dimezzato

Queste le dichiarazioni di KD:

“Il vero me è il Kevin Durant che avete visto negli ultimi anni con la maglia dei Warriors. A Oklahoma City fingevo di essere quello che non sono. Ero troppo impegnato a compiacere chi mi stava intorno: non dicevo mai di no, per paura di contraddire allenatore, tifosi e compagni.”

Questa, invece, la riflessione di Broussard a riguardo:

“La cultura cestistica dei Warriors ha dato a Durant la possibilità di essere davvero sé stesso in campo. A Oklahoma City spesso era pavido e non giocava al massimo dell’intensità possibile. A Golden State è molto più aggressivo: discute con gli arbitri; gioca duro e fa sentire il fisico agli avversari; non ha paura di prendere tecnici.”

E ancora:

“KD ha un background cristiano e in qualche modo scisso tra quello che è diventato e tra quello che era prima. Il nuovo Durant non è un tipo remissivo o da “porgi l’altra guancia” come vorrebbe la tradizione religiosa. Per KD la consapevolezza di questo dualismo è fonte di conflitto. La sua ragazza storica – con cui è stato fidanzato a lungo – lo ha lasciato perché Durant – questo secondo la donna – ha smesso di comportarsi da bravo cristiano.”

Lungi da noi provare ad addentrarci nella diatriba religiosa. Vorremmo chiudere, però, con un quesito-provocazione (che è anche il più vecchio – in ambito sportivo – del mondo): meglio vincere ed essere odiati o perdere ed essere amati?

 

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Pubblicato da
Elia Pasini

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