“Per il ritiro ci sarà tempo”, scriveva Manu Ginobili nel luglio 2017. Ora, a poco più di un anno di distanza, il momento giusto sembra arrivato, e dalle colonne del medesimo quotidiano [La Nación, ndr] il nativo di Bahía Blanca ha voluto spiegare i motivi di una scelta attesa, ma non per questo meno dolorosa. Di seguito la traduzione della lettera aperta firmata dal #20 nero-argento.
Mi siedo a scrivere, come ho detto nel tweet nel quale annunciavo il mio ritiro, con un grande mix di sensazioni. Molto entusiasta per la decisione presa e per ciò che mi attende, ma anche con abbastanza incertezza, non sapendo come mi adatterò al quotidiano senza pensare alla prossima partita. Ho fatto solo questo per tutta la mia vita di uomo adulto. Dai 18 [anni] quando andai a La Rioja non ho mai smesso di giocare, sino a due mesi fa. Sarà senza dubbio strano, ma credo di essere ben preparato e in ottima compagnia per affrontare il tutto.
Inoltre, non posso nemmeno dire che sia stata una decisione frettolosa o inaspettata. Ho 41 anni, e con la pallacanestro l’ho tirata un po’ per le lunghe, no? Non solo, nella mia testa, in ogni momento, la stagione passata è stata ‘l’ultima’. Non l’ho mai esternato perché non aveva alcun senso limitare le mie opzioni, volevo lasciare la porta aperta al dubbio, a un cambiamento d’idea o alla possibilità di continuare a disporre della forza fisica e mentale della quale c’è bisogno per affrontare una stagione di questo genere.
Al termine della stagione, come d’abitudine, ho lasciato trascorrere un paio di mesi per vedere come mi sentivo e in una riunione prima di andare in vacanza in Canada ho detto a Pop che il mio era più un ‘no’ che un ‘sì’, aggiungendo che ne avremmo discusso nuovamente al mio ritorno. Durante le nostre vacanze, abbiamo parlato abbastanza con Many della possibilità che questa volta sì fosse arrivato il momento della resa, ma non ci siamo mai azzardati né a confermarlo né a crederci del tutto. Volevo continuare a lasciare aperta questa opzione nel caso in cui al mio rientro a San Antonio qualcosa risvegliasse in me il desiderio e tornasse a chiamarmi al campo, ma è successo il contrario. Sono tornato e mi sono messo a fare pesi, ho preso la palla, ho osservato i più giovani allenarsi e spaccarsi la schiena per essere in forma nella pre-stagione e a me, tuttavia, facevano ancora male gli ultimi due colpi dell’annata precedente. Di lì a poco, ho maturato, convinto, la decisione.
A ogni modo ho dovuto attendere che Pop tornasse dal suo viaggio in Europa, perché volevo fosse il primo a saperlo e il primo con cui discuterne.
[…] Non immaginate la tensione che ho provato di fronte al computer prima di premere “Invio”. Non so bene il perché, dato che ero convinto che questa fosse la decisione giusta, ma sono stati istanti folli. Sono convinto e felice del passo fatto. È difficile spiegare tutto ciò che ho provato. Nell’immediato ho sentito un grande sollievo, […] pensavo di poter staccare tutto, ma una volta arrivati i primi messaggi non ho potuto fare a meno [di rispondere]. Alcuni mi hanno davvero emozionato, in realtà ci hanno emozionato, perché Many, mia moglie, è nella mia stessa situazione. Anche lei si ritira e sta vivendo lo stesso. Con Many ho trascorso 21 di questi 23 anni, ha sofferto ogni stagione, ha festeggiato, pianto, gridato, ha visto le partite da lontano, da vicino, ha sopportato la mia assenza di un paio di mesi in occasione dei campionati con la nazionale argentina, momenti di potenziali vacanze di famiglia, e mille altre cose. Si è fatta carico della casa in tutti questi momenti, si è occupata dei bambini, assicurandosi che non mi svegliassero prima di una partita importante. In più, è stata appoggio morale dopo sconfitte dolorose e compagna di festeggiamenti di molte vittorie. E la lista potrebbe continuare per altre due pagine.
Non sono l’unico a vivere e provare tutto ciò nel momento del ritiro, credo succeda una cosa analoga in ogni ambiente di lavoro, con la differenza che nella pallacanestro raggiungere l’intesa che abbiamo maturato a San Antonio è qualcosa di molto lontano dall’abitudinario. Giocare con vari compagni per 16 anni, con lo stesso allenatore e vedere molti visi anno dopo anno genera un forte senso di appartenenza. non voglio addentrarmi nella citazione di nomi, perché probabilmente non renderei giustizia a molti. Come ho detto nel tweet, sono immensamente grato a tutti.
Ciò che ho messo in chiaro con Pop è che il mio non è un ‘ciao, me ne vado’. I miei figli hanno già iniziato le lezioni e finché sarò in città resterò vicino alla squadra e alla franchigia. Forse non potrò aiutare la causa prendendo uno sfondamento o con una palla rubata e simili, ma cercherò di contribuire nei limiti del possibile. Nutro grande stima nei confronti dei miei compagni, dello staff e di tutta la gente della squadra e voglio il meglio per loro. Se avrò la possibilità di aiutare da fuori, lo farò molto volentieri.
Posso anche dire di non avere rimpianti. Ho giocato finché ne ho avuto la voglia. Alcuni sono costretti a ritirarsi anticipatamente per lesioni e altre questioni, ma io ho giocato fino ai 40 anni passati. La verità è che non ho lasciato alcunché in sospeso; c’è di più: negli ultimi tre anni mi sono concesso il lusso di giocare come uno vorrebbe fare tra amici, senza sentire la pressione di essere il responsabile esclusivo degli eventi, con la sensazione ‘ho già dato tutto’. Ho giocato per il gusto di farlo, per il rispetto e la stima che nutro per questo luogo. Ho ringraziato come ho potuto nel mio tweet, perché la gente con cui ho condiviso questo lungo cammino è molta.
Una delle cose migliori che mi porto dentro è che con tutti i compagni con i quali ho giocato – sono 254 –non ho mai avuto un diverbio, e lo stesso vale per gli allenatori, che non sono stati molti, ma con tutti e 9 mi sono trovato magnificamente, con stima e rispetto reciproci per il lavoro svolto. C’è anche molta gente che non sta in primo piano e che si fa in quattro per mettere noi giocatori nelle condizioni di giocare. Insisto, non escono nei titoli e spesso non vengono menzionati, ma sono fondamentali per qualunque organizzazione.
Inoltre è importante riconoscere che sono diventato ciò che sono in Europa. Al di là dei successi a livello sportivo a Bologna o della crescita a Reggio Calabria, tutto ciò che ho imparato lì mi è servito per competere ai massimi livelli nella NBA.
Tutto è stato speciale nella mia carriera, perché non è usuale stare per così tanto tempo in una squadra e, analogamente, non succede spesso che a livello di nazionale vi siano cicli nei quali una manciata di giocatori sta insieme per 20 anni, con gli Spurs e la Generación Dorada. Ho avuto la fortuna di far parte di due collettivi che hanno avuto una rilevanza incredibile nello sport e in ambedue i casi ho riscontrato qualità umane impareggiabili. Aver avuto questa opportunità dal punto di vista professionale è senza dubbio meraviglioso.
Dico grazie anche ai tifosi perché mi hanno adottato dal primo giorno. Capisco che le mie origini latine e il mio spagnolo possano aver aiutato, contribuendo a un vincolo con la gente e consentendomi di instaurare un legame unico durante questi 16 anni, fatto di un affetto speciale e supporto incondizionato. Quanto ai tifosi argentini non so che dire, davvero. Ciò che abbiamo vissuto, per esempio a Mar del Plata e a Rio de Janeiro, sarà molto difficile da dimenticare. Le emozioni che ho vissuto con la maglia della nazionale non possono essere spiegate in un paio di righe. La mia ultima partita ai giochi di Rio del 2016 mi ha toccato profondamente. Quella fu una dimostrazione d’affetto di grande impatto. In più, vedere negli ultimi anni il continuo andirivieni di argentini per San Antonio per vedermi giocare è stato incredibile. Conosco gli sforzi che hanno fatto per essere presenti, e il pensiero mi commuove.
Ebbene sì, adesso arriverà il momento di passare più tempo con mia moglie e con i miei figli, [il momento] di godermi l’Argentina con la mia famiglia e i miei amici, di mangiare polenta al tavolo del mio vecchio e gli asados con gli amici. Di trascorrere la seconda metà della mia vita con molte meno responsabilità e senza esporre al limite il mio corpo, che è l’unico che ho. In definitiva, mi godrò il tempo libero, ciò che tutto il mondo insegue, e che ho in mano a 41 anni. Grazie a tutti per il sostegno durante questo lungo viaggio.
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