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Boston Celtics Preview: caccia alle Finals

Dove eravamo rimasti?

Come spesso è avvenuto nella storia recente della franchigia del Massachusetts, ogni sogno di gloria dei Celtics si è infranto contro l’insormontabile scoglio rappresentato da un LeBron James troppo impegnato a condurre i Cleveland Cavaliers alle ultime Finals della sua seconda era nell’Ohio. In quell’87-79 di Gara 7 delle Eastern Conference Finals è, però, presente grossa parte degli elementi di interesse inerenti a Boston per la stagione che sta per cominciare. La squadra allenata da coach Stevens, infatti, è andata a pochi dettagli dalle NBA Finals con un roster per larga parte rimaneggiato, privo delle sue stelle principali e guidato da un infervorato Jayson Tatum, un ventenne alla sua prima stagione NBA. Con il rientro a pieno regime di Kyrie Irving (l’infezione è alle spalle) e di Gordon Hayward che, lo ricordiamo, ha giocato meno di cinque minuti nella scorsa stagione prima di subire uno dei più brutti infortuni nella storia recente della lega, l’obiettivo per i biancoverdi appare evidente: il ritorno alle NBA Finals. Gli arrivi di un giocatore abituato a competere come Brad Wanamaker e di un prospetto potenzialmente da Lottery come Robert Williams (ginocchia e testa permettendo) e soprattuto l’attesissima riconferma di Marcus Smart sono tasselli che possono risultare estremamente utili per la costruzione di un roster che voglia trovare alternative e competere al massimo livello su base stagionale. La strada, dunque, appare tracciata. E poco importa se l’assenza di James potrebbe essere in qualche modo controbilanciata dall’ascesa dei Sixers e dall’avvento di Kawhi Leonard a Toronto.

Una battaglia a basso punteggio in cui sono stati alcuni dettagli a fare la differenza. Con l’avvento della nuova stagione, a Boston ci si augura di avere le contromisure per sistemare quei particolari mancanti.

Punti forti

Se c’è una cosa che abbiamo imparato analizzando i Celtics durante le ultime stagioni, è la necessità di porre un enorme asterisco accanto a ciascuna delle caratteristiche del roster a disposizione di Stevens. Eseguire una breakdown di pregi e difetti dei singoli giocatori a disposizione dell’ex coach di Butler senza considerare il loro inquadramento nel sistema e le necessità contingenti della squadra è un esercizio che sfiora l’inutilità. Alle porte della scorsa stagione il roster dei Celtics appariva trasformato in larghissima parte ma, senza alcun apparente sforzo, i biancoverdi hanno vissuto una prima metà di stagione stratosferica, costruendosi una streak di 16 vittorie consecutive a inizio annata immediatamente dopo aver subito l’enorme shock della perdita di Hayward, dovendo anche rinunciare a Irving per un paio di gare. Stevens è apparso tranquillamente in grado di massimizzare i pregi di tanti dei nuovi arrivati, minimizzandone i difetti all’interno di un sistema che mettesse a proprio agio ognuno dei suoi interpreti: non è un caso che Irving fosse costantemente nelle MVP Talks fino a metà stagione, che un rookie come Tatum sia arrivato a poter assumersi tutte quelle responsabilità nei Playoff o che un deviante come Morris al momento del bisogno si sia autodichiarato il LeBron-stopper per eccellenza, producendosi in una serie notevole contro il miglior giocatore del mondo.

In altre sue esperienze nella lega, Morris non avrebbe probabilmente prodotto uno sforzo simile.

Appare, dunque, impossibile non annoverare tra i punti di forza di Boston il suo coach, Brad Stevens. capace nell’ultima stagione soprattutto di costruire un impianto difensivo d’élite pur partendo da materiale individuale molto eterogeneo. Nella scorsa annata, infatti, i Celtics hanno prodotto uno sforzo collettivo capace di proiettare ben sei giocatori nella Top 15 per efficienza difensiva nella lega, un risultato incredibile sul quale si sono fondati buona parte dei risultati stagionali di Boston, anche a livello di Playoff. Con una difesa così efficiente, per Boston è stato possibile ridurre l’impatto di alcune lacune offensive e scegliere scientemente un ritmo meno frenetico (i C’s nella scorsa stagione hanno fatto registrare appena il 23esimo Pace della lega con 98.21 possessi a gara) in una NBA in cui, invece, si corre sempre di più. Alla base di un sistema difensivo così efficiente c’è una grande pressione sulla palla che si traduce in due effetti immediati: il rallentamento dei giri dell’attacco avversario e la possibilità da parte della seconda linea difensiva di farsi trovare pronta per un aiuto portato con angoli e tempi di estrema qualità.
Non a caso le statistiche “grezze” di Boston sul fronte difensivo non appaiono scintillanti: Boston non è nella top 5 della scorsa stagione né per steals, né per stoppate, né per deflections, né per loose ball recovered. Questo, però, nulla toglie all’attenzione ai dettagli posta da Stevens nel suo sistema difensivo. Al centro della seconda linea difensiva dei Celtics c’è Al Horford che nell’ultima stagione è stato un serissimo candidato al premio di difensore dell’anno grazie alla sua capacità di guidare anche vocalmente giocatori piuttosto anarchici come Irving e Rozier, assorbendo al meglio ogni crepa del meccanismo difensivo grazie al suo infinito QI cestistico.

Irving resta leggermente incagliato sul blocco di Pachulia e Horford esegue un drop con il giusto angolo per contenere la penetrazione di Curry. Così facendo permette il recupero di Irving che può sporcare il possesso al numero 30 grazie alle sue mani rapide. Curry è così costretto a prendere un tiro difficilissimo: a referto ci andrà un solo rimbalzo di Horford ma siamo comunque davanti a un esempio d’élite di collaborazione difensiva.

Altro elemento fondamentale nella difesa dei Celtics: la fiducia nel mezzi difensivi dei compagni. Tatum, in questo caso, prima tiene l’1 vs 1 di Saric, poi aiuta Baynes solo quando Embiid ha un difetto nel controllo della palla. Il risultato è un tiro difficile sbagliato dal camerunese.

Anche grazie a una simile solidità difensiva, Boston è riuscita a totalizzare un enorme numero di vittorie “in the clutch”, ben 29, chiaro sintomo che, nel momento in cui la palla pesa, la squadra di Stevens ha i mezzi per indirizzare la contesa a suo favore. Nella prima metà della scorsa stagione l’arma in più era chiaramente la capacità di salire di colpi nei finali di Kyrie Irving, svincolato da molti dei compiti di playmaking per tutta la gara e investito della licenza di uccidere quando la palla diventava pesante. Irving, infatti, produceva oltre un sesto del suo fatturato totale (4.2 punti a gara, secondo dato in NBA) nel crunch time e spesso ha tirato fuori Boston da situazioni non semplicissime. Anche alla luce delle numerose assenze va letto il calo nella seconda metà di stagione dei Celtics, privi dell’elemento “guastatore” capace di rompere la prevedibilità di un attacco che si è assestato sempre più verso un’aurea mediocritas sul finire di stagione.

Una compilation mica da ridere per un giocatore che ha giocato solo 60 partite in stagione. 

In questa annata, quindi, Boston sarà chiamata a salire di colpi nella metà campo offensiva per imporsi in cima alla Eastern Conference: la necessità di trovare alternative e rendere immediatamente fluido un attacco che è stato a lungo orfano delle sue due punte principali è uno dei bisogni impellenti dei biancoverdi.

Punti deboli

Non ci è dato sapere come avrebbe funzionato l’attacco di Stevens con tutti i suoi effettivi arruolabili ma i freddi numeri fotografano i Celtics come un attacco ben lontano da quello delle potenze offensive della lega. Boston non è risultata capace di produrre numeri che la inserissero nell’eccellenza di nessuna delle voci statistiche che tendono a fotografare un attacco efficiente: il dato inerente all’Offensive Rating è stato appena il 18° della NBA (con un non eccellente 105.3 punti su cento possessi), mentre quelli inerenti alla percentuale effettiva dal campo (51.8%) e alla gestione del pallone (14.2% di Turnover Percentage) ci restituiscono l’immagine di una dimensione offensiva esattamente nella media. Neanche con le statistiche offensive in genere figlie di un’ottima difesa, Boston è riuscita a ottenere dividendi fuori dal comune: la tendenza a voler tenere un ritmo controllato, infatti, ha inciso negativamente sia nei fastbreak points (26° dato stagionale), sia nei punti ottenuti direttamente da palla persa (23° dato nella lega). Non è un caso che, in tutti i momenti di grande esaltazione di Boston, l’eroe fosse un elemento capace di uscire da uno spartito che si è a lungo rivelato piuttosto piatto e deficitario nella creazione dei vantaggi, più per una mancanza diffusa di qualità individuale offensiva che per la mancanza di un playbook attrezzato a fronteggiare le difese più organizzate. Anzi, è stata spesso la creatività di Stevens a limitare i danni di un attacco che rischiava spesso di “battere in testa”.

Il genio di Stevens che chiama timeout con soli 8 secondi sul cronometro dei 24, uscendone con due punti immediati costruendosi un vantaggio con un gioco disegnato da lui.

Se si mette da parte il percorso di regular season per concentrarsi sui playoff, possiamo notare come sia Terry Rozier che Jayson Tatum, entrambi saliti vertiginosamente di della meravigliosa cavalcata di Boston, possedevano delle caratteristiche uniche nell’attacco di coach Stevens: tanto la capacità di far salire il ritmo dell’attacco del primo quanto la capacità di costruirsi un tiro del secondo erano elementi pressoché unici nel roster dei Celtics in contumacia a Irving. Il bisogno di Boston di ricorrere a ogni stilla della loro pericolosità si è tradotto in una post-season di quel livello per entrambi.

A 9 secondi dalla fine l’attacco dei Celtics non ha ancora generato nessun vantaggio e Brown è costretto a partire da fermo contro James che ha gioco facile nel recupero del pallone anche perché la presenza contemporanea di Horford e Baynes sul campo stringe notevolmente le spaziature di coach Stevens.

A gioco rotto Boston ricorreva agli 1 vs 1 di Tatum. Una soluzione che, su una base di sette partite, non può che risultare molto limitante. Spesso, infatti, la palla capitava tra le mani di Smart e Rozier che non sempre ne hanno fatto un uso così raffinato.

Per effettuare il passo successivo, dunque, Boston non può che implementare una maggiore quantità di soluzioni, complice il reinserimento di un All-Star come Hayward, capace sia di aggiungere playmaking che di costruirsi continuativamente un tiro solido. Inoltre, un altro elemento che Stevens dovrà mettere a posto è, presumibilmente, la capacità di controllare il pitturato avversario: nell’ultima stagione i Celtics hanno registrato il secondo peggior dato nella lega per points in the paint (39.8). Da questo punto di vista, l’arrivo di un lob-target come Williams e la presenza continuativa di giocatori che non hanno paura di chiudere nel traffico come Hayward e Irving non possono che aiutare Boston a imporsi come una delle superpotenze dell’Est. Dall’aggiustamento di alcuni di questi dettagli passa buonissima parte delle possibilità di evoluzione definitiva di Boston in una squadra da titolo: aggiungere alternative a un attacco che ha già mostrato di poter generare tantissimi punti (addirittura il 33% del totale della scorsa stagione) con il tiro da tre, può rendere il team del Massachussetts la più seria contender della Eastern Conference.

Best-case scenario

Tutti i tasselli vanno a posto: l’attacco decolla grazie alla differenziazione dei compiti tra Hayward e Irving, la difesa si conferma tra le migliori della lega e sia Tatum che Brown assorbono al meglio il loro cambiamento di ruolo. Senza grossi infortuni tutto l’anno, Stevens si ritrova un roster profondo ed efficiente che gli regala 65 vittorie, il primo posto a Est e le NBA Finals. A finale raggiunta, con il vento in poppa, poi, ogni scenario è aperto.

Worst-Case scenario

Gli infortuni continuano a tartassare la squadra Stevens. Irving e Hayward, quando non infermeria, si pestano i piedi per il controllo della palla. Tatum e Brown, scossi dal nuovo ruolo più “ridimensionato”, hanno una battuta d’arresto nella loro crescita e Horford comincia ad accusare i primi segni di calo. Williams si mostra inutilizzabile e né Rozier né Smart hanno il talento necessario per mettere una pezza alle mancanze altrui. Anche in uno scenario così disastroso, appare difficile immaginare Boston sotto le 50 vittorie stagionali ed eliminata prima delle semifinali di Conference.

Pronostico

Considerando la qualità del materiale a disposizione di Stevens, la forza media delle avversarie nella Eastern Conference e la crescita costante ottenuta dalla franchigia nelle ultime stagioni, sembra piuttosto plausibile vedere i Celtics nel duetto di testa della East Coast. Il traguardo delle sessanta vittorie sembra alla portata, così come sembra piuttosto spianata la via verso le finali di Conference. A quel punto potremo davvero valutare se i dettagli mancanti saranno stati messi a posto. Boston vuole tornare alle Finals dopo nove stagioni e quest’anno potrebbe seriamente riuscirci.

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Pubblicato da
Jacopo Gramegna

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