Dove eravamo rimasti
Esattamente dove eravamo rimasti due anni. Con differenze rinvenibili e rilevanti solo da chi e per chi non si limita a concepire la competizione sportiva come una sfrenata caccia all’oro in cui, alla fine, conta solo chi vince, ma ne gode anche per tutte le sue componenti visive e tecniche. Due stagioni fa i Toronto Raptors disputano un’ottima regular season giocando una pallacanestro statica, anacronistica, a lunghi tratti noiosa, eppure tremendamente efficiente; nella stagione appena conclusa, invece, la regular season diventa addirittura straordinaria (59 vittorie e primo posto nella Eastern Conference), mentre il gioco diventa più dinamico, coinvolgente, divertente e finanche più proficuo. Il passo avanti è evidente e inequivocabile, per chi può e vuole vederlo. Il risultato, però, è sempre lo stesso: primo turno con i fattori del pronostico superato giocando non bene e faticando molto più del dovuto (prima con i Bucks, quest’anno con i Wizards), poi LeBron James e niente più. Sweep due estati fa, sweep quattro mesi fa.
Una differenza radicale va però riscontrata a questo punto, e la si rinviene nell’atteggiamento di Masai Ujiri nei confronti delle due sconfitte. La prima volta si opta per un “culture reset” tattico e mentale (che c’è effettivamente stato, almeno fino ai Playoff), con una sostanziale continuità, però, in termini di roster e di guida tecnica; la seconda è rivoluzione completa. Due sono le tappe fondamentali in cui questa prende forma: la prima è quella dell’11 maggio, giorno in cui, dopo 7 stagioni di onorato servizio e poco prima di venire nominato Coach of the Year della stagione, Dwane Casey viene gentilmente accompagnato alla porta per lasciare spazio a Nick Nurse, suo assistant coach dal 2013 e guru della straordinaria fase offensiva dei Raptors.
La seconda è quella del 18 luglio, giorno in cui DeMar DeRozan, uno dei giocatori più iconici della storia della franchigia canadese, viene spedito a San Antonio insieme a Jakob Pöltl e ad una prima scelta al prossimo Draft (protetta 1-20) per portare in Canada Danny Green e Kawhi Leonard, in una trade straordinariamente efficace nel riuscire a scontentare tutti i soggetti principali coinvolti. Un “All In” in piena regola, l’ennesimo, in barba al forte desiderio di DeRozan di non lasciare Toronto e a tutti i fisiologici dubbi intorno al nativo di Los Angeles, portati – nel presente – dalla sua condizione fisica e atletica tutt’ora da verificare e – nel futuro – dalla sua mai celata volontà di tornare a casa la prossima estate.
Punti forti
Impossibile non partire proprio da lui, dal nuovo arrivato. Kawhi Leonard l’ultima volta che ha avuto la possibilità di giocare, completamente sano, su un parquet NBA era il termine di paragone meno forzato e sacrilego da affiancare a LeBron James. Oggi quel Kawhi Leonard sarebbe ancora il giocatore più forte della Eastern Conference, senza se e senza ma. La speranza dei Raptors è quindi quella di ripartire proprio da lì: da un giocatore fisicamente florido e mentalmente predisposto che possa colmare il gap che attualmente separa Toronto dai Boston Celtics.
Gli innesti di Leonard e Green, infatti, permetteranno a Nurse di sopperire in fase offensiva alla partenza di DeRozan senza alcun problema, garantendogli però, al contempo, un tandem di esterni difensivamente straordinari sotto ogni punto di vista, da affiancare ad una batteria di ottimi difensori composta da OG Anuonoby, Paskal Siakam e Delon Wright e, nel complesso, da inserire in un sistema che già l’anno scorso faceva registrare il quinto miglior Defensive Rating della lega (103,4). Un ipotetico quintetto small formato da Lowry/Wright-Green-Anunoby-Leonard-Ibaka/Siakam permetterebbe al nuovo coach dei Raptors di non soffrire praticamente mai sui cambi, di giocare potenzialmente molto spesso in transizione veloce sfruttando la combinazione di aggressività sulla palla, agilità e braccia lunghe dei suoi giocatori (“Aggressive and attacking are the two words that I like to play”, ha dichiarato coach Nurse), il tutto senza perdere in termini di pericolosità perimetrale, vista la bravura dei due nuovi acquisti (e di Lowry stesso, che con la palla in mano a Leonard potrebbe avere ancora più spazio da sfruttare) nel realizzare anche in situazioni di catch-and-shoot e di spot-up (nella stagione 2016-17 l’eFG% di Leonard era del 61,3%, per capirci).
I due nuovi arrivati, per di più, oltre a garantire un salto di qualità straordinario dal punto di vista difensivo, si inseriranno poi in un ecosistema offensivo già incredibilmente efficiente e collaudato (creato proprio dal nuovo head coach nel corso degli anni) nel quale anche un elemento a lungo “in discussione” come Valančiūnas (12,7 punti per game in 22 minuti nell’ultima stagione) sembra essersi ritagliato un ruolo importante grazie all’abilità nel gioco in post up, utile a “togliere le castagne dal fuoco” al termine di azioni stagnanti, e allo sviluppo di una pericolosità anche lontana da canestro (40% da tre su un tentativo dal campo, vedremo se i tentativi aumenteranno la prossima stagione) che potrebbe garantire anche interessanti soluzioni in pick-and-pop.
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In questo sistema, oltre alla sopracitata abilità dei due ex Spurs nel giocare off the ball (37,2% di Danny Green in catch and shoot da dietro l’arco), risulteranno pericolosissime l’abilità di Leonard di attaccare il ferro indifferentemente in penetrazione o partendo da situazioni di post alto/medio (in queste occasioni è eccezionale a prendersi la linea di fondo) e anche la sua capacità di attaccare dal palleggio, che non dovrebbe far rimpiangere quella di DeRozan.
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In queste circostanze è anche straordinariamente bravo nel far abboccare il difensore sulla pump-fake, portandosi a casa i liberi
Tra i punti di forza dei Toronto Raptors, inoltre, non si può non ricordare quella che l’anno scorso è stata, per distacco, la miglior panchina della lega. Pur privati di Pöltl, i vari VanVleet, Delon Wright, C.J. Miles, Pascal Siakam e Norman Powell saranno chiamati questa stagione a riconfermarsi come la vera arma in più della squadra canadese, in grado di far registrare il miglior Net Rating in assoluto (+8.3) frutto della terza efficienza offensiva su 100 possessi (109.9) e della seconda efficienza difensiva (101.6), giocando complessivamente ben 1738 minuti (meno solo dei panchinari di Sacramento, una squadra da Lottery). In particolare, con la partenza di DeRozan, un passo in avanti ulteriore potrebbe essere richiesto a Delon Wright, primo dei panchinari candidato a guadagnare minuti dopo la partenza del nativo di Compton: una discreta percentuale da dietro l’arco e una buona capacità di attaccare il canestro unite a braccia lunghe (wingspan di 6’7”) e veloci e a ottime letture delle linee di passaggio avversarie (3,4 deflections su 36 minuti) potrebbero, infatti, fare di lui un elemento molto funzionale allo stile di gioco che Nurse sembra voler dare ai suoi “nuovi” Raptors.
Punti deboli
Punti deboli che poi altro non sono se non enormi punti di domanda che, in fin dei conti, potrebbero trovare risposte molto più negative che positive. I primi interrogativi non possono che riguardare ancora lui, il nuovo arrivato. Qual è lo stato di forma fisica e atletica di Kawhi Leonard? Dall’interno dell’ambiente filtrano notizie molto ottimistiche a riguardo, con Phil Handy – assistant coach di Nurse – che parla di una condizione ottimale, di un corpo che sembra in forma e di un giocatore che si muove senza difficoltà (“He’s doing great. He’s in great shape. His body looks good. He’s feeling good. He’s moving well, so I don’t anticipate any issues or problems.“). Tuttavia, quantomeno fino all’inizio della regular season, non possono che rimanere dei dubbi rispetto ad un giocatore che, tutto considerato, ha passato un anno intero in infermeria. E ancora, soprattutto: l’ex Spurs affronterà la stagione con la predisposizione mentale che ci si aspetta da un professionista chiamato a svolgere il suo lavoro nel miglior modo possibile no matter what, o vivrà quest’anno canadese come un lungo e imposto purgatorio dove ‘ogni giorno a Toronto è un giorno in meno prima del ritorno a casa’? Poste come indiscutibili, infatti, le doti tecniche e la professionalità del giocatore (anche se sulla seconda forse qualcuno in Texas avrebbe da ridire), risulta immediata e scontata la differenza che sussisterebbe, per i Raptors, tra il ritrovarsi in casa un giocatore motivato, pronto a competere e desideroso di vincere, e un giocatore scontento che conta i giorni che lo separano dalla scadenza del contratto.
“Dai, un bel sorriso, Kawhi. Un sorr.., ecco no, coi denti, felice. Vabbé, fa niente”
Muovendo oltre rispetto all’ex Spurs: l’ultima non entusiasmante stagione di Danny Green (che pochi mesi fa ha dichiarato di aver giocato con uno strappo all’inguine non diagnosticato) è una parentesi ormai chiusa o l’inizio di un fisiologico declino? La panchina dei Raptors può replicare la straordinaria annata appena conclusa? Nick Nurse riuscirà a modificare gli automatismi faticosamente trovati lo scorso anno in fase offensiva senza perdere in termini di efficienza e gestendo l’inserimento di due giocatori molto diversi da DeRozan? L’allontanamento del compagno di reparto, nonché migliore amico, e l’alba del 33° compleanno ormai imminente quali ricadute avranno su Lowry in termini di prestazioni?
E soprattutto, visto che parliamo sempre dei Toronto Raptors: riusciranno i canadesi, adesso che LeBron ha traslocato sul Pacifico, ad eliminare i timori reverenziali, le paure e i blocchi mentali, tecnici e tattici che da due/tre anni ne ostacolano sistematicamente la corsa una volta entrati nella fase calda della stagione? Ricondurre, infatti, tutte le responsabilità dei fallimenti dei Raptors negli ultimi due anni alla presenza di James sarebbe giustificato, ma assolutamente limitante, specie considerando l’ultima serie disputata con il fattore campo a favore e contro dei Cleveland Cavaliers in completo disfacimento. Una serie che, contro il giocatore più forte del mondo, si può anche perdere, ma non in quel modo.
Poi vabbé, questo non aiuta…
Scenario migliore
Kawhi Leonard è perfettamente recuperato fisicamente e desideroso di dimostrare a tutti che per pensare di essere considerati tra i tre giocatori migliori al mondo bisogna ancora fare i conti con lui. Nurse, con un Danny Green di nuovo al top, Anunoby in crescita costante e un Lowry ancora su buoni livelli, riesce quindi a plasmare una macchina da guerra impenetrabile in difesa e a trovare le giuste alchimie in un attacco rinnovato ma sempre pericoloso. La panchina si conferma a livelli ottimi anche senza Pöltl, con il salto di qualità di un Wright maggiormente responsabilizzato e con un Siakam da percentuali quantomeno superiori al 33/34% nel tiro da fuori (qua voliamo alto, visto che quest’anno ha chiuso con il 22%). In uno scenario del genere il gap tecnico con i Celtics viene colmato e, in un matchup molto interessante con la squadra di Stevens, gli uomini di Nurse raggiungono le Finals, dove poi si schiantano contro l’Invincibile Armata di Curry&Co. Il nativo di Riverside, a quel punto, affascinato dalla bontà del progetto tecnico, decide di rifirmare coi Raptors. A Toronto è “torcida inesausta” (cit.).
Scenario peggiore
Leonard non è più il giocatore lasciato nell’estate del 2017, e la sua controfigura sbiadita e malinconica, già mentalmente in California, non riesce ad inserirsi nei meccanismi offensivi della squadra. Lowry, privato del fido scudiero, dimostra di essere ormai entrato nella parabola discendente della carriera, mentre Nurse, con una panchina ridimensionata e un Siakam ancora inservibile a certi livelli per la totale inaffidabilità al tiro, si ritrova con un problema in attacco. Con Boston e Philadelphia lontane anni luce, Toronto si vede insediata anche il terzo seed dagli Indiana Pacers e dai nuovi Milwaukee Bucks di coach Budenholzer. Il fattore campo viene mantenuto, ma già al primo turno si capisce che il cammino dei Raptors non sarà lungo. A fine anno Leonard ritorna finalmente a casa, mentre in Canada parte ufficialmente – questa volta davvero – il rebuilding.
Pronostico
Un sistema collaudato, un allenatore straordinario e affermato e soprattutto i rientri di Irving e Hayward sono tutti fattori che indiscutibilmente pongono, almeno in partenza, i Boston Celtics su un gradino superiore rispetto a tutti nella Eastern Conference. Con un Kawhi Leonard motivato e fisicamente al 100%, però, la realtà deve presentare quantomeno un secondo posto ad Est e una finale di Conference; l’obiettivo più ambizioso prendere la forma delle Finals NBA. Pensare di fare di più appare francamente impossibile