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Brooklyn Nets Preview: c’è un “The Process” a New York

Se uno come Dwight Howard fosse arrivato ai Brooklyn Nets cinque anni fa, magari in cambio di prime scelte future, sarebbe stato coperto di soldi alla faccia della luxury tax e affiancato alla bell’e meglio a un drappello mal assortito di star in declino, nell’ingenua convinzione che ciò bastasse per costruire una squadra da titolo. L’ex Superman, invece, dall’altra parte dell’East River c’è arrivato solo nell’estate 2018 in mera veste di pedina di scambio per scaricare altrove il contratto di Timofey Mozgov, ed è rimasto là giusto il tempo di definire un accettabile buyout e ripartire subito per la sua prossima destinazione. È questo uno dei segnali più chiari che ai Nets, rispetto al recente passato, le cose sono radicalmente cambiate: la logica del “tutto e subito” non è più di casa a Brooklyn, dove oggi invece si semina in prospettiva, un passo alla volta, con profonda attenzione alla flessibilità salariale per garantirsi un futuro e accettando record perdenti almeno per un po’.

Ora che la franchigia si presenta al via della nuova stagione con un management che, nel giro di un paio d’anni, si è faticosamente guadagnato una reputazione di funzionalità (certificata dall’interesse per i Nets espresso da Jimmy Butler come possibile destinazione per la trade richiesta a Minnesota), risalta forte la sorprendente immaturità, se non a livello affaristico almeno di certo sotto l’aspetto sportivo, dei primi anni a Brooklyn del proprietario russo Mikhail Prokhorov (con l’ex GM Billy King come braccio armato), sicuro che fosse sufficiente ammassare grandi nomi e non badare a spese per avere successo in questa lega senza aver posto prima le giuste basi. Oggi Prokhorov è sempre più defilato a favore del taiwan-canadese Joseph Tsai, co-fondatore di Alibaba e detentore del 49% delle quote del club, che ha il diritto di prelazione per acquisire il restante 51% entro il 2021. Anno in cui, forse, la squadra potrebbe essere molto più in alto di dove si trovi adesso.

Il GM Sean Marks con Kenny Atkinson, alla terza stagione insieme ai Nets (Credits to NetsDaily.com)

Dopo il mea culpa di Prokhorov e del suo entourage e l’allontanamento di King, successivo al fallimento della crepuscolare campagna in bianconero di Kevin Garnett, Paul Pierce e compagnia cantante, il GM Sean Marks – in sella dal febbraio 2016, pura scuola San Antonio Spurs – si è trovato a dover fare il Sam Hinkie della situazione, con una non indifferente differenza rispetto al collega di Philadelphia fautore del sovraesposto The Process: non avere a disposizione le proprie principali scelte al Draft fino al 2018, tutte cedute ai Celtics in quella famigerata operazione di scambio dell’estate 2013 che ha fatto le fortune dei verdi di Boston, cancellando invece per Brooklyn ogni ambizione per il successivo lustro. Ricevuta carta bianca, Marks si è dedicato a un paziente e difficile processo di ricostruzione portato avanti in condizioni estreme, ma con un obiettivo ben chiaro in testa: edificare una cultura ben delineata, laddove per cultura si intende quel preciso modus operandi a tutti i livelli (tecnico, dirigenziale, organizzativo) per conseguire progressi e risultati in cui si rispecchino determinati valori che definiscono e identificano il lavoro complessivo di tutta la franchigia.

Oltre a essere stato il primo neozelandese a vestire una jersey NBA, tanto per sottolineare una vocazione internazionale che si riflette anche nel suo attuale posto di lavoro e che lo ha portato a scegliere al Draft 2018 un bosniaco (Musa) e un lettone (Kurucs), Marks ha trascorso tre stagioni da giocatore agli Spurs e altrettante come assistente di Popovich e Buford, oltre che GM dell’affiliata Austin Toros, e qualche dritta su come costruire una franchigia funzionale l’ha acquisita. Così, una volta ai Nets, preso atto dell’impossibilità di essere competitivi a breve termine, si è mosso in due direzioni precise.

Sul campo, data persino l’inutilità del tanking, ha assunto un capo allenatore come Kenny Atkinson, disposto a lavorare giorno e notte per installare un sistema di gioco in linea con i moderni parametri NBA, un riconoscibilissimo pace-and-space con ampio ricorso al tiro da tre, difesa aggressiva con cambi sistematici, posizioni fluide e spaziature, uno staff profondo e preparato per migliorare la squadra valorizzando al meglio il capitale umano a disposizione e un incremento delle statistiche avanzate. Sul mercato, Marks ha cercato di restituire un minimo di credibilità e futuro al roster selezionando non più superstar al tramonto ma giovani interessanti con le poche e basse scelte disponibili (è il caso di Jarrett Allen e, via Indiana, Caris LeVert), talenti da sviluppare arrivati da scambi o come free agent (Rondae Hollis-Jefferson, D’Angelo Russell, Joe Harris, Spencer Dinwiddie) e giocatori da cui spremere ancora un po’ di basket, di fatto scarti di altre squadre (DeMarre Carroll e adesso Kenneth Faried), a costo di accollarsi contratti indesiderati altrui da scaricare in seguito, all’interno di trade contenenti scelte future per riprendersi facoltà di movimento ai venturi Draft, dato che dal 2019 i Nets, alleluia, torneranno in possesso delle loro picks.

 
Un Caris LeVert sempre più in grado di fare queste cose è mooolto interessante.

In generale i Nets, negli ultimi due anni, hanno operato secondo il principio della crescita interna per sviluppare le risorse già disponibili, assicurando allo staff tutte le strutture all’avanguardia e le comodità possibili, come l’HSS Training Center realizzato ai piani alti di un’ex factory con tanto di skyline di Manhattan da contemplare dalle vetrate, a corredo di un Barclays Center che è l’arena più luccicante della NBA, fulcro di una gigantesca operazione immobiliare. Così, recuperato finalmente un consistente spazio salariale, nella selvaggia free agency dell’estate 2019 i Nets saranno in grado di dare l’assalto ad almeno due top player, proponendo non più terra bruciata ma una cultura di squadra costruita attraverso una precisa e lungimirante strategia che dovrebbe fungere da attrattiva per qualificati free agent finalizzati all’upgrade definitivo. Magari intrigati dal fascino di quello che è pur sempre e comunque il più popoloso borough di New York, il quale sta vivendo una profonda gentrificazione, reinventandosi da zona una volta poco raccomandabile in una delle parti più stilose e hipster della metropoli, contesto in cui i Nets vogliono apertamente integrarsi (senza andar a cercare chicche per cinefili, per assaggiare un pochino questo ambiente basta guardare la recente commedia Lo stagista inaspettato con Robert De Niro e Anne Hathaway).

A tutto questo i Nets ci arrivano dopo una stagione 2017-18 in cui hanno migliorato di otto vittorie il loro record precedente, a sua volta il peggiore della lega: da 20-62 a 28-54, lontano da ogni discorso che vada oltre la metà di aprile ma piccoli progressi che fanno ben sperare, tenendo conto anche degli infortuni che hanno tenuto fuori per tutta la stagione Jeremy Lin e per quasi metà D’Angelo Russell. L’estate di Brooklyn ha visto il front office dare ulteriori impulsi alla ricostruzione, cedendo altri contratti scomodi come lo stesso Lin, ritenuto inaffidabile per i continui problemi fisici, e salutando elementi di passaggio quali Dante Cunningham, Quincy Acy, Jahlil Okafor e Nik Stauskas. Sul fronte arrivi, per rinforzare la squadra sono stati aggiunti giocatori di qualità e di esperienza a buon prezzo – Ed Davis, Kenneth Faried, Shabazz Napier, Jared Dudley – tutti con accordo annuale, per creare altro spazio di manovra nella prossima estate.

 

Punti forti

Se riusciranno a migliorare la loro percentuale al tiro da tre, dopo aver chiuso la stagione 2017-18 al ventesimo posto nella lega con il 35,6%, la pericolosità dall’arco potrà diventare l’arma più temibile di Brooklyn. I Nets, infatti, sono stati la squadra a ricorrere con maggior frequenza a tale tipo di conclusione: 35,7 tentativi a partita (il 41,1% del totale dei tiri tentati), di cui 12,7 realizzati, numeri secondi solo a quelli degli Houston Rockets. Emblematica la penultima gara della scorsa regular season, in cui la squadra di Atkinson ha sfiorato il record di triple messe dentro in una sola serata, 24 (su 55 tentativi), appena una in meno del primato appartenente ai Cleveland Cavaliers. Questo ben testimonia lo stile di gioco ad alto ritmo di coach Atkinson, che ha fruttato il sesto Pace della NBA (101,07), corroborato da una valida circolazione di palla (sesta assist percentage, 61,9%).


Ok, nessuno difende ma a noi interessa vedere la circolazione di palla e il tiro da tre di Crabbe.

I Nets dispongono di una batteria di esterni numerosi e versatili, in grado di ricoprire posizioni differenti in attacco e marcare più ruoli in difesa. Joe Harris tira da tre con il 41,9% ed è anche uno dei migliori difensori, Allen Crabbe (probabile “2” titolare) può essere un fattore serio dall’arco in uscita dalla panchina. L’ottima stagione avuta da Spencer Dinwiddie, terzo nel premio al Most Improved Player dietro Oladipo e Capela, fa ben sperare: Dinwiddie entra nel suo ultimo anno di contratto, sa splendidamente mettere dentro tiri clutch, aspetto da non sottovalutare in attesa dell’acquisizione o meno da parte di D’Angelo Russell dello status di uomo franchigia, con l’ex Lakers chiamato a confermare le aspettative che lo vedono come potenziale combo guard in grado di fondere la sua cristallina visione di gioco a un’elevata capacità realizzativa (finora soprattutto al ferro). Insieme a Russell e Crabbe (o Dinwiddie), al pari di quanto avveniva a Portland con Lillard e McCollum, si vedrà spesso in campo anche Shabazz Napier, un’addizione che potrebbe rivelarsi interessante per i Nets: sa giocare off the ball, tira col 45% da tre in catch-and-shoot, occupa gli angoli e fornisce una sicura opzione per la circolazione di palla, pick-and-roll (fulmineo primo passo) e isolamenti.


Spencer Dinwiddie o chiamatelo pure Mr. Clutch.

Ulteriore valore aggiunto possono offrirlo la capacità di difesa sulle guardie di Treveon Graham e il tiro del rookie Musa, mentre è lecito attendersi un crescente apporto da un Caris LeVert dalle capacità di playmaker sempre più affinate (4,2 assist a partita e 13,2%, dati raddoppiati rispetto all’anno precedente), Rondae Hollis-Jefferson (ala potente e atletica, può difendere su quattro ruoli) e DeMarre Carroll, che partirà presumibilmente come “3” titolare.

Il pace-and-space favorisce anche i lunghi, più coinvolti nei possessi e nel movimento senza palla, grazie a un maggior numero di blocchi e pick-and-roll. Il comparto è stato incrementato con Ed Davis, ottimo rimbalzista offensivo, e Kenneth Faried, tra l’altro nativo di Newark, due che proteggono l’area e danno energia (niente male neppure il loro tiro dal mid-range, qualora dovesse servire), in attesa dell’esplosione di Jarrett Allen, che ha messo su muscoli e lavora duro su pick-and-roll e ampliamento del suo raggio di tiro, qualità da aggiungere alla sua capacità di correre per tutto il campo, all’ottimo senso della posizione, al notevole lavoro sporco fatto di blocchi, stoppate e protezione del ferro con le sue braccia infinite. Partirà centro titolare.

In definitiva, il roster dei Nets è un mix di giovani talenti e di veterani (non dimentichiamo Dudley), che può beneficiare di una sicura guida tecnica e di un ambiente positivo: crescere è d’obbligo e il momento della svolta può essere più vicino di quanto si pensi.

 
Jarrett Allen sta sperimentando il tiro da tre.

Punti deboli

I Nets, nonostante qualche progresso indotto dal lavoro di Atkinson, rimangono una squadra difensivamente non eccelsa (hanno concluso la passata stagione con il venticinquesimo rating difensivo, 108,5) e a cui sotto canestro manca un secondo rim protector, cosa a cui cercheranno di ovviare con l’arrivo di Ed Davis. Anche il ventiquattresimo posto nella percentuale di rimbalzi offensivi (21%) e il ventiduesimo per palle perse (14,9), in una squadra che gioca tanti possessi, non sono certo numeri ideali. In attacco, poi, nessuno ha tanti punti nelle mani.

Oltre a questo, manca una vera superstar, un leader in grado di prendere in mano la situazione quando c’è da orientare una partita in una precisa direzione: per questo le attenzioni del management resteranno focalizzate soprattutto sull’estate 2019. D’Angelo Russell ha ancora tutto da dimostrare e deve crescere esponenzialmente al pick-and-roll, al tiro da tre e al tiro dal palleggio, oltre che in difesa, per dimostrare se abbia o meno i geni del franchise player. Condividerà il backcourt titolare con Crabbe o Dinwiddie, e tali coppie, già difensivamente non entusiasmanti, non appaiono ben assortite. A meno che D’lo non difenda così:

Il roster, sostanzialmente, è composto da giocatori che in una squadra da titolo sarebbero seconde o terze opzioni. Kenneth Faried è di fatto uno scarto dei Denver Nuggets, dove era finito ai margini a causa dei suoi limiti offensivi (è un giocatore soprattutto interno che non tira da tre) e una certa inconsistenza in difesa, Davis e Napier vanno ancora valutati lontano dal contesto di Portland in cui si giocava essenzialmente per facilitare la coppia Lillard-McCollum.

 

Scenario migliore

Le cose vanno ancora meglio rispetto alle dieci vittorie in più rispetto all’anno passato auspicate da coach Atkinson in un’intervista. La più accessibile competitività della Eastern Conference, nessun infortunio e una crescita progressiva e significativa dei giocatori più attesi, oltre a qualche gradita sorpresa dai giovani, esaltano il percorso di miglioramento dei Nets, portandoli a lottare per l’ottavo posto. Russell compie l’atteso salto di qualità, diventando il faro della squadra. Dinwiddie si guadagna il rinnovo del contratto. Crabbe, Harris e Napier tirano da tre con oltre il 40%. Allen, Davis e Faried provvedono in maniera egregia al presidio dell’area pitturata. Contestualmente, l’entusiasmo a Brooklyn sale alle stelle, qualcosa di simile a quanto visto a Philadelphia, e il borough newyorchese diventa di colpo una graditissima destinazione per i top free agent nell’estate 2019.

Scenario peggiore

La dura realtà induce tutto l’ambiente a rispettare rigorosamente il vecchio mantra predicato da Sean Marks fin dal suo arrivo: mai fare il passo più lungo della gamba e proseguire pazientemente nel processo di ricostruzione. Infortuni agli elementi chiave e punti deboli prontamente smascherati sera dopo sera sul parquet, ricacciano in gola qualsiasi velleità di Playoff e costringono ancora i Nets a una stagione tra le venti e le trenta vittorie. Russell e Dinwiddie non si integrano: il primo viene ritenuto sempre più lontano dal diventare giocatore-franchigia e il secondo è scambiato a stagione in corso. Sorgono dubbi sul rendimento di tutto il roster. Il management arriva preoccupato anche alla free agency, con i Nets che non riescono a guadagnare appeal per interessare quei giocatori di alto livello essenziali per completare il The Process in salsa brooklynese.

Pronostico

Migliorano il numero di vittorie, difficilmente arrivano ai Playoff.

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Pubblicato da
Francesco Mecucci

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