Riavvolgendo il nastro di una stagione NBA conclusa a metà aprile si ha sempre l’impressione che manchi qualcosa, a maggior ragione se a finire sotto la lente è un’organizzazione dalla grande tradizione come i Chicago Bulls. Di fronte a un’annata che nell’ultimo decennio della franchigia rappresenta, record alla mano, un unicum in negativo – prima volta sotto il 50% di vittorie dal 2007-2008 – è necessario anzitutto mettere le cose nella giusta prospettiva. La via del rebuilding intrapresa nella notte del Draft 2017 con la separazione dall’allora All-Star Jimmy Butler ha presentato non pochi ostacoli – dentro e fuori dal rettangolo di gioco.
Il ‘caso’ Mirotic-Portis ha fatto stendere fiumi d’inchiostro, solleticando la fantasia di abili grafici, e la vicenda ha avuto inevitabili strascichi per tutto l’ambiente, segnando un’importante cesura: senza il montenegrino di passaporto spagnolo per il primo quarto di stagione, la squadra aveva raccolto solo tre successi in 23 uscite, salvo poi vincere, dal suo rientro in campo, 15 delle 28 partite successive, sino alla trade concretizzata con New Orleans — senza troppe sorprese — a una settimana dalla deadline nel mese di febbraio.
Per un breve ma efficace riassunto di quanto accaduto in questi mesi, ci lasciamo guidare dalle dichiarazioni rilasciate alla stampa dal tanto vituperato John Paxson nel consueto incontro di fine stagione. In quell’occasione il Vice President of Basketball Operations dei Bulls aveva dato prova di grande pragmatismo, ben conscio delle necessità della squadra:
“Non sono qui a vendere fumo perché c’è ancora molta strada da fare. […] Il modello dev’essere Philadelphia. Stiamo andando nella giusta direzione, ma restiamo pazienti. Vuoti da riempire? Direi soprattutto nello spot di ala, un ruolo che richiede stazza, abilità di tiro e dove non può mancare la componente difensiva. Abbiamo bisogno di versatilità.”
In off-season Chicago ha avuto a disposizione un significativo spazio di manovra per rispondere a tali necessità, sia in sede di Draft — due scelte al primo giro spese su Wendell Carter Jr. (7ª chiamata assoluta) e Chandler Hutchison (22ª) — sia a livello salariale. L’ex Duke, per il quale i colleghi al primo anno intravedono un futuro roseo tra i pro, si è già messo ben in mostra nel corso della Summer League 2018, chiusa con l’inclusione nel 1º quintetto della manifestazione. Sul fronte free agency non mancavano però i nodi da sciogliere: la dirigenza ha preferito mantenere un approccio aggressivo, dapprima riportando dalle parti dello United Center il restricted free agent Zach LaVine, e successivamente assicurandosi i servigi di Jabari Parker, Chicago native da tempo sotto osservazione.
Nel caso dell’ex Timberwolves, contropartita inserita all’interno del già citato affare Butler, il quadriennale da $78 milioni di dollari potrebbe sembrare un azzardo. Reduce da una lunga riabilitazione dopo l’infortunio al crociato anteriore del ginocchio sinistro dello scorso febbraio, il due volte vincitore dello Slam Dunk Contest ha infatti saltato 91 delle 162 partite in calendario negli ultimi due anni per problemi fisici. Ciononostante, il front office, protetto da una sorta di clausola in caso di ricadute, punta ancora su di lui: “Sappiamo che giocatori al rientro da un infortunio di questa portata, storicamente, fanno meglio al secondo anno”, ha rassicurato Paxson.
L’altra scommessa, altrettanto calcolata, riguarda come detto la 2ª scelta al Draft 2014. Parker era RFA in estate, ma i Bucks, di comune accordo con il giocatore, hanno scelto di ritirare la qualifying offer, dandogli così l’opportunità di accasarsi altrove da unrestricted. Chicago, contestualmente liberatasi di David Nwaba — finito ai Cavs —, Julian Stone, Noah Vonleh e Paul Zipser, ha trovato l’accordo con l’ex Blue Devil sulla base di un biennale dal valore di $40 milioni di dollari, con team option a favore per il 2019-20. I termini dell’accordo non vincolano eccessivamente la franchigia, che mantiene ad ogni modo intatta — in linea teorica — la possibilità di firmare un free agent di spessore nel già fervente mercato della prossima estate. Entro la deadline del 15 ottobre prossimo in casa Bulls andranno chiarite anche le situazioni di Bobby Portis e Cameron Payne, con la possibilità di proporre a entrambi un’estensione contrattuale quadriennale o quinquennale del rookie scale in scadenza. Con il #5 – solido elemento di rotazione da 13 punti e quasi 7 rimbalzi di media a partita (6,8) nel suo terzo anno a Chicago – è già stata intavolata una discussione preliminare nei mesi scorsi.
Punti forti
Trattandosi di un progetto di ricostruzione dalle fondamenta ancora in fase embrionale, segnalare un aspetto meritevole di menzione alla voce «punti forti» appare un esercizio difficile.
Nella passata stagione, infatti, i Chicago Bulls hanno faticato in ambedue le metà campo, chiudendo al terzultimo posto sia per efficienza offensiva che difensiva. In aggiunta, se si considera che nel 2017-18 Kris Dunn, Zach LaVine e Lauri Markkanen, 3/5 del più che probabile starting five, hanno condiviso il parquet in appena 12 occasioni per un totale di 255’, il roster risulta ancora più indecifrabile. Molto meno complicato, invece, è individuare il punto fermo da cui la franchigia ha deciso di ripartire. La posizione della dirigenza in proposito, conferma Paxson, è piuttosto chiara:
“Forse non ho parlato abbastanza di Lauri [Markkanen]. È una pietra angolare. È incredibile la pulizia del suo gioco […]. Inoltre, come Chris, Zach e tutti i nostri ragazzi, ha margini di crescita importanti. Ha dimostrato di essere in grado di giocare sul perimetro. […] Avrà bisogno dell’estate per lavorare appieno sul fisico e rafforzarsi e dovrà trovare una zona del campo, entro la linea da tre, dove poter far male [35,6% dal mid-range, ndr] affinando la sua proprietà di palleggio e il lavoro di piedi. Va nella stessa direzione di evoluzione del gioco.”
Il nativo di Helsinki, presentatosi al Draft 2017 come grande tiratore — secondo per percentuale realizzativa oltre l’arco al solo Malik Monk a livello NCAA —, ha confermato le proprie doti anche al piano di sopra sin dalle prime apparizioni sul parquet, diventando presto il giocatore più rapido nella storia NBA a raggiungere quota 100 triple in carriera. La sua aggiunta ha sicuramente ampliato il ventaglio di soluzioni offensive a disposizione di coach Hoiberg, da tempo alla ricerca della (s)quadra per poter implementare il proprio credo cestistico Pace & Space.
Il volume di tiri da 3 dei Bulls, ad esempio, è cresciuto sensibilmente, passando dai 22,4 a partita del 2016-17 (26º dato su 30) agli oltre 31 a gara della stagione scorsa (6º)
In coppia con Carter Jr., altro giocatore in grado di aprire discretamente il campo, il finlandese va a formare, in potenza, uno dei frontcourt più intriganti in assoluto.
Resta da capire a questo punto come e in quale ruolo – visto l’affollato reparto lunghi – Fred Hoiberg deciderà di impiegare Jabari Parker, da lui stesso indicato come fit perfetto — fisico atletico e tecnico — per lo stile di gioco up-tempo di cui sopra.
A livello offensivo l’ex Bucks può far male alle difese avversarie in svariate situazioni di gioco e in ogni zona del campo. Il suo innesto garantirà anzitutto maggiore incisività nei pressi del ferro a una squadra nella media NBA per penetrazioni a partita: più di un terzo delle sue conclusioni arriva entro un metro dal canestro (oltre il 62% di questi tentativi trovano il fondo della retina). La fiducia nel tiro da 3 cresce stagione dopo stagione — 2,6 tentativi a partita lo scorso anno con una ragguardevole percentuale di successo pari al 38,3 – e va a completare un arsenale di tutto rispetto. Da non sottovalutare, infine, le opzioni di pick-and-roll da portatore di palla, situazione di gioco in cui Parker si colloca, per efficienza, all’89.9 percentile nell’intera lega: un’azione a due ben orchestrata con Markkanen potrebbe rivelarsi arma letale contro molte difese, costrette al cambio in emergenza ed esposte a mismatch in termini di stazza e/o rapidità.
Punti deboli
Detto dell’attacco, con ampi margini di miglioramento, il vero tallone d’Achille della squadra dell’Illinois resta la fase difensiva: allo stato attuale, per giunta senza troppa disponibilità da parte degli interpreti sul parquet, pensare di costruire un sistema su basi solide rasenta l’utopia. Il nuovo arrivato, Jabari Parker, potrà anche adattarsi a giocare da ‘3’ in un ipotetico quintetto con Dunn – LaVine – Markkanen-Carter, ma l’accoppiamento in difesa rimane questione aperta e da risolvere (nella passata stagione, ad esempio, oltre il 60% dei possessi difensivi l’ha visto impegnato in marcatura sulla power forward avversaria). Discorso analogo può ritenersi valido per Zach LaVine che, al netto di infortuni, nell’ultima annata ha fatto registrare un Defensive Rating di 114.8 su 100 possessi, buono soltanto – ahilui – per la 511ª posizione assoluta in NBA. I Bulls hanno mandato in archivio la stagione all’ultimo posto per difesa in transizione e guardando il video di seguito non si fatica a capire il perché:
Nemmeno Kris Dunn – uno dei migliori difensori perimetrali nella NBA – è riuscito a compensarne le lacune, tant’è che la coppia ha fatto registrare un Defensive Rating tutt’altro che lusinghiero (117,9 su 100 possessi in 308′ condivisi sul parquet). Il rookie Wendell Carter Jr., pur avendo giocato a Duke in un sistema, quello di Mike Krzyzewski, che ha privilegiato una difesa ‘a zona’, ha già mostrato lampi da rim protector e, complice la notevole apertura alare, può fare sempre meglio.
Scenario Migliore
Il roster dei Bulls ai nastri di partenza della nuova stagione è il terzo più giovane per età media (24,7, dietro solo a Nuggets e Blazers) e, pur non avendo fretta di vincere, l’organizzazione ha già impresso una decisa accelerata nel piano per tornare nelle zone nobili. L’ultima regular season, nelle intenzioni, deve restare un caso isolato:
“È una situazione che nessuno di noi vuole rivivere. Va contro tutto ciò in cui credi come agonista.”
La corsa per un posto ai Playoff della Eastern Conference nell’anno I dopo LeBron è più che mai serrata e se tutto dovesse andare — è il caso di dirlo — per il meglio, Chicago potrebbe restare in lizza fino alla fine con un record attorno al 50% di vittorie.
Ci sarà davvero bisogno dell’aiuto di tutti i membri del roster.
Scenario Peggiore
Fred Hoiberg sarà chiamato a gestire attentamente il minutaggio di una squadra dalla rotazione piuttosto profonda per tenere tutti sulla corda e poter valutare appieno i profili su cui puntare per gli anni a venire. Il cantiere è aperto ma la flessibilità mantenuta anche sul fronte cap è rassicurante, comunque vada. La scorsa stagione è stata, per i Bulls, tutto e il contrario di tutto, ragion per cui nella peggiore delle ipotesi a ottobre leggeremo di Robin Lopez fuori per infortunio dopo aver fatto a cazzotti in uno dei suoi accesi faccia a faccia contro la mascotte Benny The Bull e a marzo fremeremo d’attesa per la messa in onda della docu-serie in dieci puntate co-prodotta da Netflix e ESPN su MJ: a Chicago hanno visto di peggio, ne siamo certi.
Pronostico
Se gli elementi chiave del roster riusciranno a stare alla larga da infortuni e acciacchi, il talento a disposizione dei Bulls lascia immaginare un possibile miglioramento vicino alla doppia cifra alla voce ‘vittorie’. Non è detto che basti per staccare il pass per i Playoff, ma si tratterebbe comunque di una buona indicazione per il futuro.
35-47, 9º posto nella Eastern Conference