Philadelphia 76ers

Philadelphia 76ers Preview: The Process alla conquista dell’Est

Un’estate più tranquilla del previsto. Trade-down al Draft, mosse marginali per rifinire il roster e foto swag di Ben Simmons davanti a murales di Ben Simmons. E forse va bene così. Solo pochi mesi fa i Philadelphia 76ers avevano chiuso una stagione senza precedenti, quasi assurda. Il caso-Fultz, la sbornia delle 52 vittorie (ben 24 in più rispetto alla stagione precedente), il caso-Colangelo: il 7 giugno, a due settimane dal Draft, i 76ers si ritrovano senza GM.

Il Draft (Phila aveva una scelta in Lottery e un centinaio di seconde scelte) è stato gestito piuttosto bene, anche grazie a Phoenix, che durante la notte del Barclays Center ha proposto una trade no-brainer, offrendo la scelta al primo giro di Miami nel 2021, quando (forse) torneranno disponibili i giocatori in uscita dal liceo.

La reazione della madre di Mikal Bridges (Global Vice President of Human Resources per la Harris Blitzer Sports and Entertainment, la società che possiede i Sixers) quando il figlio è stato scelto dai Sixers. Pochi minuti dopo è stato scambiato.

Come NbaReligion scriveva un paio di mesi fa, persi Ersan Ilyasova e Marco Belinelli, JJ Redick è stato riportato alla base per $12M, Amir Johnson al minimo da veterano, mentre non si è sacrificato nulla per scaricare l’ultimo anno di contratto ($8.5M) di Jerryd Bayless. Quasi divertente come Phila si sia trovata con così tante scelte e giocatori a roster che ha dovuto:

  • cedere Luwawu-Cabarrot e Justin Anderson nella trade con Hawks e Thunder per un solo giocatore (Muscala)
  • scambiare la #38 (poi diventata Khyri Thomas) per due seconde scelte future
  • scambiare la #39 (poi diventata Isaac Bonga) per ca$h e una seconda scelta al Draft 2019
  • scambiato la #56 (Ray Spalding) e la #60 (Kostas Antetokounmpo) per la #54 (Shake Milton)
  • cedere Richaun Holmes ai Suns in cambio di ca$h

Solo 2 anni e 11 giorni dopo che lo avevano ingaggiato come giocatore, i Sixers nominano Elton Brand come General Manager. Altri candidati per il posto: Gersson Rosas dei Rockets, Justin Zanik dei Jazz e Larry Harris dei Warriors. L’ex GM dei Cavs David Griffin pare fosse il favorito, ma i Sixers stavano cercando, secondo quanto riportato dall’informato giornalista Keith Pompey, un profilo che potesse fornire “decisioni collaborative anziché un GM che avesse l’ultima parola”. Da queste parti Elton Brand sarebbe etichettato come “l’uomo della dirigenza”: ha giocato con Embiid&co, è stato un anno GM dei Delaware Blue Coats, a lungo, come ha ammesso lui stesso a Zach Lowe, è stato intervistato da Josh Harris e proprietari vari. Se tutto questo rientra nella categoria ‘Punti forti’ o ‘Punti deboli’, dipende da quanto volete bene a Josh Harris (a Phila non è il più amato in città, ecco).

Punti forti

I Sixers ripartono dalle 16 vittorie consecutive della passata stagione, cioè la striscia di vittorie più lunga di sempre per chiudere la regular season (il record resisteva dai Rochester Royals 1950). Quando, lo scorso aprile, i Sixers entravano per la prima volta in post-season con questo nucleo di giocatori, correttamente Jacopo Gramegna scriveva che erano “la squadra più calda della lega”. Dopo un 4-1 autoritario rifilato a Miami, e tornato Embiid (seppur con la maschera), l’atmosfera in casa Sixers era più euforica che mai. Brad Stevens, al secondo turno, ha letteralmente sorpreso tutti, scavando nei timori più profondi di Ben Simmons, vincendo tutti e 3 i finali punto-a-punto. È proprio in questi 3 crunch time che i Sixers si sono bloccati: 27.3% dall’arco, 7 palle perse a fronte di solo 4 assist, -11 di Plus/Minus in 19 minuti. Tutto da cancellare. Non aveva la maschera Embiid quando, sul -2 a Gara 5 (C’s avanti 3-1) ha sbagliato un layup da mezzo metro marcato da Baynes.

Una brutta serie, giocata al di sotto delle proprie possibilità. Alcuni, bene ricordarlo, davano Phila favorita per arrivare alle Finals a Est. Era evidentemente troppo azzardata come previsione, ma i Sixers al primo anno di Embiid-Simmons hanno già portato a casa una serie vinta in post-season. Qualcosa che deve ancora riuscire ai Bucks di Antetokounmpo o ai Nuggets di Jokic. Anthony Davis, mutatis mutandis, ha impiegato 6 anni per portare New Orleans oltre il primo turno. Kevin Durant era al quarto anno quando vinse la prima serie di Playoff (in quel core dei Thunder nemmeno Westbrook e Harden erano rookie). Ben Simmons, che ne dica Donovan Mitchell, era eccome un rookie. Joel Embiid ha giocato un centinaio di partite in NBA. Che Philadelphia sia incredibilmente avanti nella curva di sviluppo nonostante l’inesperienza è fuori discussione.

All-Star JoJo è finito anche nel 2nd Team All-NBA.

La sua prima off-season totalmente in salute dovrebbe regalarci un Embiid dirompente. Se il giocatore che ha travolto i Lakers vestisse più spesso i panni di Prometeo, la Eastern Conference sarebbe in grossi guai. Ben Simmons, invece, dopo essersi lasciato alle spalle Kendall Jenner (si spera), ha lavorato sul jump-shot in estate, una delle piccole che “mi aiuterà a diventare fortissimo. Non accadrà in un batter d’occhio, certo, ma col tempo migliorerò sempre di più”. Ad assisterlo in palestra suo fratello Liam, ex giocatore a livello collegiale e allenatore. Ben ammette di non essere ancora in grado di tirare dall’arco con consistenza, ma se il range si allargasse di qualche metro sarebbe già una grande vittoria. Il 71.1% dei tiri totali presi da Simmons nella scorsa stagione regolare arrivavano da 3 metri o meno dal ferro: mid-range game needed.

Capitolo Fultz. A Jeff Goodman di Stadium, Markelle ha rivelato che all’inizio della passata stagione non si sentiva se stesso  “fisicamente. Mentalmente ero a posto. Fisicamente non riuscivo più a fare certe cose, forse perché mi ero allenato troppo. Non ho mai tentato di cambiare il tiro, mi sono fatto male, ho subito un infortunio”. Goodman torna esattamente sulla questione focale: Kelle si era fatto male dopo che il cambiamento alla meccanica di tiro gli fece perdere memoria muscolare, asserivano alcuni. “Nulla di tutto ciò,” continua il prodotto di Washington University. “Ero infortunato, quindi tiravo diversamente perché mi faceva male la spalla. […] Il tiro è molto migliore di quanto non fosse al college. Ha ancora dei problemini e non è al 100%, ma lavoro tutti i giorni per migliorare, e questo è tutto ciò che chiedo. Ogni giorno mi sento meglio di ieri. Sarà un grande anno”. Fisicamente, afferma in seguito, è tra “l’80 e il 90%”. E Markelle, scusa, chiede Goodman, ma il tuo piano di diventare il più forte di sempre? Sempre lì, nella tua testa? “Sì.”

Chi lo ha aiutato durante tutta l’estate è Drew Hanlen, allenatore di abilità strategiche (come si definisce lui), guru dal quale tantissimi giocatori vanno a migliorarsi in estate. Come riporta Kyle Newbeck del The Philly Voice, Hanlen ha seguito Fultz anche per le prime due partite di pre-season (vs Melbourne e Orlando). Entrambe le volte, Fultz è partito titolare da guardia. Per coach Brown è tuttora un esperimento ed è possibile che JJ Redick torni titolare quando conterà davvero, ma i segnali sono incoraggianti. Contro i Magic, Kelle ha segnato la prima tripla della sua carriera NBA (non contando quelle nella Summer League 2017):

Chi non ha bisogno di conferme sono invece i veterani di contorno. Amir Johnson e TJ McConnell dovrebbero sparire quasi del tutto dalle rotazioni, ma sono due figure che lo spogliatoio adora. Wilson Chandler porta chili e centimetri in ala, e il suo contratto scade la prossima estate. Così come quello di Redick, che arriva da una delle migliori stagioni in carriera (mai era andato oltre i 17 punti di media), ma che, 35 candeline a giugno, potrebbe vedere il suo ruolo diminuire. Mike Muscala ricoprirà il ruolo di Ilyasova: dalla panchina, utile lungo tiratore sugli scarichi. Chi potrebbe trovare minuti è invece Furkan Korkmaz. L’estate del turco classe 1997 è stata molto positiva: a Las Vegas ha segnato 40 punti contro i Celtics e nel secondo quintetto potrebbe essere il partner perfetto da affiancare a Fultz. Dopo l’infortunio estivo, non è chiaro quale sarà il ruolo di Zhaire Smith, ma il suo atletismo potrebbe ritagliargli presto minuti, specialmente se sarà capace di aumentare il volume di tiri dall’arco (18 su 40 in oltre 1000 minuti a Texas Tech). Almeno uno tra Landry Shamet, Jonah Bolden, Demetrius Jackson e Shake Milton potrebbe rivelarsi una felice sorpresa, anche se nessuno di loro sarà esentato da esperienze in G League.

Coach Brown, il cui contratto è stato rinnovato in estate, ha costruito ad arte uno dei migliori quintetti della lega. In 601 minuti nella passata stagione regolare, il NetRtg di Simmons-Redick-Covington-Šarić-Embiid recita +21.4. Fantascienza. Il sistema instaurato da coach Brown permette libertà e rigore. È una Motion Offense che prevede letture speciali per provocare una situazione di gioco specifica, nel quale sarà interessante vedere l’inserimento di uno straordinario creatore di gioco (per sé e per i compagni) come Markelle Fultz. Robert Covington, uno dei migliori 3&D della lega, deve diventare più consistente per non sparire ai Playoff. Ha vissuto la miglior stagione in carriera, meritandosi l’estensione contrattuale, e potrebbe essere di grande aiuto al giovanissimo secondo quintetto, che sarà un qualcosa di simile a Fultz-Smith-Korkmaz-Chandler-Muscala. La versione Sixers di FIBA Melo sarebbe un quintetto super-piccolo con Simmons da 5 e Šarić da 4 (i due hanno condiviso il campo per quasi 2000 minuti, anche trascinando bench units), ma Brown è stato restio nell’affiancare 3 guardie a questi due. Per ora. Un quintetto che cambia su tutti i blocchi Fultz-Korkmaz-Chandler-Šarić-Simmons rischia di essere devastante in attacco ed è lungo a sufficienza per stare con chiunque.

Questa è una foto di RoCo con Max, il suo pitone domestico lungo 3 metri (ha anche un paio di iguane). E qui si apre una gif su #EarlyShotsRob, perché ormai devi venire a prenderlo oltre l’arco l’appassionato di rettili.

Un capitolo a parte lo merita Dario Šarić. Il nativo di Sebenico, Croazia, compirà 25 anni il prossimo 8 aprile e, al terzo anno nella lega, è chiamato alla definitiva esplosione. È migliorato tantissimo tra il primo e il secondo anno, tanto da entrare nella dozzina scarsa di giocatori da almeno 29 minuti a sera con oltre il 39% dall’arco e l’85% in lunetta. La sua versatilità è uno dei fattori che permette a coach Brown una grande switchability in difesa e multiformità all’attacco. Per scavare a fondo del potenziale di The Homie, forse, occorrerebbe sfruttarlo con più saggezza per il giocatore completo e dall’elevato IQ che è. La passata stagione ha avuto il 4° USG% della squadra, dietro anche a quello di Redick. Ridurre Šarić ad un tiratore catch-and-shoot (il 54% delle sue conclusioni l’anno scorso erano appunto prendi-e-tira) sarebbe uno spreco immane.

Punti deboli

Potrebbe diventare proprio questo un problema? Ci saranno abbastanza tiri per tutti? Joel Embiid è stato il 2° giocatore della lega per USG% nel 2017-2018, dietro al solo James Harden con uno spaventoso 33.9. Da questi possessi per Embiid, in ogni caso, esce un terzo dei punti totali dei Sixers. Il lungo camerunese è cioccolata in post, ma chiede tanti tocchi di palla e influenza enormemente l’attacco di Phila. Anche per impatto difensivo, però, non può certo essere tolto dal campo a lungo: con 3408, i Sixers sono la squadra che ha concesso meno punti di tutti in vernice. Trovare un corretto equilibrio tra le parti che compongono il sistema sarà il principale obiettivo di coach Brown.

I primi Playoff nella carriera di Brett Brown hanno evidenziato l’inesperienza a questo livello, ma, come il suo giovane core, migliorerà nella gestione delle fasi cruciali. Ciò su cui l’allenatore di South Portland, Maine, deve focalizzare l’attenzione quest’anno sono le palle perse (i Sixers hanno perso più palloni di tutti la scorsa stagione, 16.5 a partita) e i problemi di falli (Phila è la 2ª squadra più fallosa della lega). Un’ulteriore curiosità da tenere monitorata: l’anno scorso ben il 95.4% delle triple segnate da Phila arrivava dopo un assist (1° posto nella lega). Interessante notare come le 4 squadre arrivate in fondo (Cleveland, Boston, Houston e Golden State) si piazzino tutte tra il 20° e il 30° posto, occupato dagli Iso-Rockets (68.9%). Per arrivare in fondo, sembrano dirci questa classifica e una certa, dantoniana, corrente di pensiero iso-oriented, occorre avere almeno un grande tiratore dal palleggio. Al 14° anno nella lega, infine, Amir Johnson sarà l’unico lungo classico di riserva, ceduto Richaun Holmes ai Suns.

Un modo molto intelligente di usare Fultz (che iso-scorer magari lo diventerà, un giorno) visto in pre-season. Simmons inizia l’azione con un passaggio verso Fultz allargatosi in ala, poi va a bloccare per Fultz stesso. Solo allora diventa chiara la funzione di Embiid: portare un blocco sul quale l’uomo di Fultz (DJ Augustin) proprio non può passare. Questo crea un cuscinetto di un metro tra Fultz e il marcatore di Embiid, Vucevic, che rimane a protezione del pitturato. Un jumper dalla linea del tiro libero è il pane quotidiano di Kelle.

Scenario migliore

Va tutto a gonfie vele. Joel Embiid è il centro più dominante della lega, Ben Simmons centra il suo primo All-Star Game ed è il primo giocatore dopo Nate Thurmond, l’Ammiraglio Robinson, Hakeem Olajuwon e Alvin Robertson a firmare una quadrupla-doppia. Fultz diventa il Sesto Uomo dell’Anno grazie a 19 punti di media dalla panchina, dalla quale si alza anche la sorpresa Korkmaz, ritagliatosi minuti dopo un ventello al TD Garden. Coach Brown porta la squadra a 62 vittorie (è dagli Anni Ottanta che non si scollina quota 60) ed è l’Allenatore dell’Anno. Il #1 seed garantisce un percorso relativamente facile (Detroit e Milwaukee) fino alle finali di Conference, dove con Boston è battaglia vera. I Sixers vincono in 7 partite, prima di arrendersi in 5 ai Golden State Warriors alle NBA Finals.

Scenario peggiore

Non solo Fultz fa i capricci (sia fisicamente che ai microfoni), ma per Simmons ed Embiid tornano i fantasmi degli infortuni: i due giocano 88 partite in totale e nessun volto nuovo riesce a rimpiazzarne l’importanza. A Natale, come la stagione precedente, il record recita 14-18, ma stavolta non arriva il giro di vite. Phila termina l’anno 38-44, perdendo qualsiasi appeal per un free agent di alto livello.

Pronostico

Il front office è riuscito nel difficile compito di rinforzare la squadra senza compromettere flessibilità salariale per la prossima free agency. I pezzi attorno a Simmons ed Embiid sembrano essere quelli giusti, anche se servirà loro un periodo di ambientamento. Fultz saprà trovare un suo ruolo nella sua prima, vera stagione in NBA. Le vittorie diventano 56, ma il gap con Boston alle Eastern Conference Finals sembra essersi ampliato. Ma la rivalità Phila-Boston è solo (ri)cominciata: due giovani dinastie si contenderanno l’Est per molti anni ancora.

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Pubblicato da
Michele Pelacci

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