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Utah Jazz Preview: difendi et impera

Abbiamo lasciato gli Utah Jazz mentre si leccavano le ferite infertegli dai lanciatissimi Houston Rockets, al termine di una semifinale di Conference dominata in lungo e in largo dai texani. Abbiamo lasciato Donovan Mitchell perdere inesorabilmente la sua campagna sul significato della parola rookie, arrendendosi al fascino del talento cristallino dell’australiano di Philadelphia nella corsa al Rookie Of The Year. Abbiamo lasciato la franchigia di Salt Lake City come una truppa compatta, una falange macedone stretta intorno al proprio comandante dal passato oscuro. Da questo punto di vista nulla è cambiato.

Gli Utah Jazz si presentano al cancello di partenza della nuova stagione forti del loro gruppo, rimasto invariato in estate e capace di collezionare 48 vittorie durante la stagione regolare, prima di portarsi via brutalmente lo scalpo degli Oklahoma City Thunder al primo turno di Playoff. Continuità dettata dai pochissimi volti nuovi e dalla permanenza di coloro che potevano decidere di volare altrove in free agency ma che hanno deciso di rimanere tra le montagne dello Utah. I nuovi contratti accordati a Favors – biennale di quasi 34 milioni, con il secondo anno non completamente garantito – e ad Exum – triennale da 9.6 milioni di dollari all’anno – permettono a coach Snyder di portare avanti il percorso evolutivo pensato per i suoi Jazz dopo la partenza di Hayward della scorsa estate. Una squadra organizzatissima, con chiari leader tecnici e carismatici in grado di elevare il valore complessivo della squadra oltre alla somma dei valori dei singoli giocatori.

Punti forti e punti deboli

La difesa è, senza ombra di dubbio, il principale punto forte degli Utah Jazz. Giocare contro i mormoni e riuscire a far muovere la retina con continuità è maledettamente difficile. Il merito è da condividere tra le capacità del coaching staff – in grado di sincronizzare le parti in un sistema meravigliosamente armonico – e il front office – creatore di un gruppo di giocatori dalle caratteristiche varie ma complementari. Poi in campo vanno i giocatori che eseguono alla perfezione ciò che gli viene richiesto, creando così un rebus di difficile soluzione almeno durante la stagione regolare. I numeri sono semplicemente impressionanti: con 101.6 punti concessi su 100 possessi i Jazz sono stati la seconda squadra per Defensive Rating l’anno scorso (0.1 in meno dei Celtics).

Un argento nella specialità viziato, però, dall’assenza per la prima parte della stagione di Rudy Gobert, vale a dire il gigantesco cardine su cui ruota tutto l’impianto difensivo disegnato da coach Snyder. Se si prende in esame solamente il periodo in cui il francese è stato costantemente arruolabile (ovvero dal 19 gennaio in poi) la franchigia di Salt Lake City ha concesso 97.5 punti ogni 100 possessi, per distacco la miglior difesa della NBA. La capacità di Gobert di coprire l’intero pitturato grazie alla wingspan di 2 metri e 36 centimetri, mixata con una buona mobilità in proporzione alle sue dimensioni ha consentito ai Jazz di modellarsi su un sistema che punta a togliere l’ossigeno dalla linea dei tre punti, grazie ad una difesa aggressiva sul perimetro che ha l’obbiettivo di spingere gli attaccanti nel cono d’ombra del francese.

Un compito che viene svolto al meglio dalla pletora di esterni dalle spiccate capacità difensive ed in grado di cambiare indistintamente su quasi tutti i giocatori in campo: Joe Ingles, Royce O’Neale, Dante Exum e Jae Crowder. Nella scorsa stagione tutti tranne Ingles hanno fatto registrare un Defensive Rating inferiore ai 100 punti. In particolare è impressionante la svolta subita dall’ex Cavaliers Crowder, arrivato a metà stagione. Nelle 27 gare disputate in maglia Jazz ha concesso quasi 20 punti in meno rispetto a quanto concedeva ai Cavaliers (95.8 vs 113.1), numeri ancora migliori di quelli della sua ultima annata a Boston (104.5) in cui aveva dimostrato di essere uno dei migliori 3&D della lega. La possibilità di avere per un anno intero i suoi servigi, a cui aggiungere la crescita di Royce O’Neale e la prima stagione completa (si spera) di Dante Exum fanno immaginare che ci sia ancora margine per migliorare.

Tramite Draft i Jazz hanno aggiunto anche Grayson Allen,  uno abituato a competere anche fino all’eccesso.

Sull’altro lato del campo, invece, Donovan Mitchell è molto vicino a rappresentare l’alfa e l’omega dell’attacco dei Jazz. Dopo un inizio in sordina speso a fare la spola tra campo e panchina – durato molto poco in realtà – Mitchell ha iniziato a prendersi il proscenio senza indugi. La chiusura di stagione regolare è stata pirotecnica: oltre 106 punti prodotti ogni 100 possessi negli ultimi tre mesi di stagione regolare, con il picco assurdo di 117.9 nel mese di aprile. Una stato di forma eccezionale trascinato anche ai Playoff, in cui ha dominato la serie contro Oklahoma City, alzando di un altro livello il proprio gioco.

Capire cosa potrà fare ora che è il leader offensivo designato della squadra è uno dei temi più interessanti di questa stagione che sta per iniziare. Spesso, infatti, finirà accoppiato con il miglior difensore perimetrale avversario e questo andrà ad influire molto sul lato dell’efficienza, il suo tallone d’Achille già nella scorsa stagione. Per fare un paio di esempi: si trova solamente nel 52° percentile nelle situazioni di pick’n’roll giocati da ball handler (il 38.8% dei suoi possessi) e nel 45° percentile nelle situazioni di handoff (il 10.1% dei suoi possessi). Donovan Mitchell sarà il centro di gravità dell’attacco Jazz sin dalla prima palla a due: riuscire a migliorare le sue scelte offensive, compresa la capacità di servire con i giusti tempi i compagni liberati dall’inevitabile attrazione che attirerà su di sé, sarà fondamentale per farlo salire tra i migliori giocatori NBA.

A meno che decida di continuare a far saltare le aree NBA con il tritolo senza preoccuparsi di pensare. Anche questa potrebbe essere una soluzione.

Con la palla che spesso e volentieri finirà in mano al #45 sarà necessario che i compagni di squadra adattino il proprio gioco con l’obiettivo di allargare il più possibile le difese delle maglie avversarie, per facilitare e moltiplicare le possibilità di scelta di Mitchell. In tal senso la batteria di esterni 3&D a disposizione di coach Snyder è perfetta. Joe Ingles – oltre ad essere uno dei leader carismatici della squadra e in grado di fare tutto ciò che di poco visibile ma preziosissimo è necessario fare su un parquet – è un tiratore dal 44% di media oltre l’arco, dal 46.4% in situazioni di catch-and-shoot. Allo stesso modo Crowder (34.3%) e O’Neale (35.5%) sono giocatori difficilmente battezzabili sull’arco dei 3 punti.

Menzione d’onore la merita Ricky Rubio, alla miglior stagione in carriera per continuità e progressi fatti alla prima stagione in maglia Jazz. Lo spagnolo non è mai stato un giocatore dal tiro affidabile, anzi. Spesso e volentieri gli venivano concessi tiri incontestati a Minnesota, scommettendo e giocando anche sulla sua fragilità psicologica. Con il 35.2% fatto registrare da oltre l’arco su 3.5 tentativi a serata (di cui 2.6 in situazioni di catch and shoot segnati il 37% delle volte), Rubio si è trasformato in un giocatore in grado di essere utile anche off the ball, cosa mai fatta vedere prima in carriera. Una capacità di evolversi che ha permesso a Snyder e ai suoi assistenti di modellare man mano la squadra su Mitchell, senza dover sacrificare sull’altare delle spaziature il playmaker spagnolo. Giunto all’ultimo anno di contratto (quasi 15 milioni), Rubio è chiamato a vivere una seconda annata solida in maglia Jazz per garantirsi un ricco contratto la prossima estate.

Ormai è impossibile battezzare Rubio, tanto che Westbrook con una decisione difensiva non felicissima abbocca ad una finta di tiro tutt’altro che illeggibile.

Non è ovviamente tutto oro ciò che luccica. I Jazz, al netto della grande organizzazione che li distingue, scarseggiano di talento offensivo in grado di fare la differenza da aprile in poi, quando le difese si registrano e aumentano il numero di colpi. L’unica scheggia impazzita è Mitchell ma, con ogni probabilità, non sarà sufficiente per vincere una serie al meglio delle 7 partite contro squadre piene di stelle come Houston o Golden State, in grado di individuare le falle difensive nel sistema e giocare sulle scarse possibilità di andare oltre lo spartito dei mormoni.

Va inoltre segnalata la difficoltà di adattamento dei Jazz a quintetti poco tradizionali. Un centro come Gobert può anche influenzare negativamente nelle capacità di adattamento a lineup più moderne e con lunghi in grado di aprire il campo o con esterni prestati al ruolo di 5. La sublimazione di questo concetto sono, ovviamente, i Golden State Warriors ma anche i Rockets nell’ultimo confronto stagionale hanno dimostrato di avere le armi per mettere in difficoltà tatticamente. Forzare i cambi difensivi per lasciare accoppiato il lungo francese con esterni in grado di torturare la lega a furia di crossover ha semplicemente scardinato l’impianto costruito con perizia da Snyder. In tal senso potrebbero esserci degli esperimenti durante la stagione regolare per costruirsi delle soluzioni di emergenza in caso di necessità ai Playoff, con Favors che finisce per diventare una sorta di back-up di Gobert e lascia l’onere e l’onore di fare da 4 titolare a Crowder.

No mercy.

Scenario migliore

Gli Utah Jazz si confermano per distacco la migliore difesa dell’intera NBA. Gobert è talmente influente nella sua metà campo da aver ipotecato il secondo premio consecutivo come difensore dell’anno già a febbraio. Il secondo volume della Donovan Mitchell Saga è ancora più entusiasmante del primo, riuscendo a perfezionare il decision making e rimanendo un attaccante fuori media. La sfortuna toglie lo sguardo da Dante Exum che finalmente ha la prima stagione senza infortuni. Complici le difficoltà dei Rockets ad assorbire i cambiamenti, i Jazz vincono 57 partite e guadagnano la seconda piazza ad Ovest, eliminando poi la stessa Houston alle semifinali di Conference.

Scenario peggiore

Nonostante sia troppo solida per immaginarsi un flop totale, i Jazz faticano più del dovuto in regular season. Mitchell ha addosso le attenzioni dei migliori difensori perimetrali tutte le sere, dando vita ad una seconda stagione incerta e altalenante. Una delle migliori difese della lega non basta per guadagnare il fattore campo al primo turno di Playoff, in cui vengono accoppiati con i Thunder per una gustosa rivincita. Questa volta, però, Oklahoma risolve la serie in sei partite facendo terminare in anticipo rispetto a 12 mesi prima la stagione dei mormoni.

Pronostico

Per solidità e continuità non mi aspetto che i Jazz terminino con meno di 50 W la stagione regolare, conquistando così il fattore campo al primo turno dei prossimi Playoff. Tantissimo poi dipenderà dall’avversaria riservatagli dalla sorte.

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Pubblicato da
Alberto Mapelli

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