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Washington Wizards Preview: questione di chimica

Quattro volte ai Playoff nelle ultime cinque stagioni. Unica eccezione la 2015-16, peraltro conclusa con il 50% di vittorie, costata il posto a Randy Wittman a favore di Scott Brooks. L’ex coach dei Thunder si prepara così alla terza campagna da nocchiero dei Washington Wizards, che per essere forti sono forti, ma trovano sempre il modo di complicare la situazione.

Nella capitale, l’era John Wall, iniziata otto anni fa con la prima scelta al Draft dell’ex Kentucky, ha toccato l’apice nel 2017, con il titolo di Southwest Division (per quanto possano contare i titoli divisionali, si tratta dell’unico banner issato fin dal 1979, il momento d’oro degli allora Bullets) e la Gara 7 di semifinale di conference persa con i Boston Celtics, al termine di una serie memorabile in cui gli Wizards hanno consolidato la loro nomea di squadra dura e aggressiva, senza compiere però il passo decisivo. Quindi, nell’ultima stagione, l’eliminazione 4-2 al primo turno per mano dei Toronto Raptors, cedendo definitivamente in Gara 6 tra le mura amiche della Capital One Arena. Una serie in cui Wall ha giganteggiato con medie di 26,0 punti, 11,5 assist e 5,7 rimbalzi, dando un senso a una stagione in parte condizionata dall’infortunio al ginocchio che lo ha tenuto fuori per metà regular season (senza tuttavia che la squadra ne risentisse più di tanto: con lui 22-19, in sua assenza 21-20), chiusa all’ottavo posto (43-39) e contraddistinta dai soliti problemi di spogliatoio, quelli che in estate hanno portato all’addio di Marcin Gortat, i cui rapporti con il leader della squadra erano ormai deteriorati.

 

Il ricorrente carico di dubbi sulla tenuta mentale più che su quella tecnico-atletica continua quindi a gravare sugli Wizards. Da un lato, la nuova avventura inizia per loro con la consapevolezza di essere un team in grado di stare nella parte alta della Eastern Conference e di assicurarsi il berth per i Playoff, magari tagliando finalmente il traguardo delle 50 vittorie (il nucleo base è rimasto sostanzialmente lo stesso e la capacità di giocare duro nelle partite che contano non manca); dall’altro incombe il rischio di confermarsi una polveriera ribollente di capricciosi individualismi e laceranti tensioni imperversanti in uno spogliatoio in cui coach Brooks dovrà indossare l’asettico camice di capo chimico, abile e attento a mescolare i misteriosi liquidi contenuti in provette e alambicchi onde evitare l’innesco di infauste e perniciose reazioni. Pragmatismo, competenza ed equilibrio sono proprio ciò che serve alla guida di Washington, una squadra che, a proposito di chimica, al di là del suddetto potenziale esplosivo con il roster di quest’anno ha in realtà la possibilità concreta di sperimentare interessanti combinazioni tra elementi quantitativamente più numerosi e qualitativamente più versatili rispetto a un recente passato in cui le alternative al quintetto partente erano ridotte ai minimi termini.

Si diceva di Gortat: in ancor giovane estate, gli Wizards hanno spedito il trentaquattrenne centro ai Los Angeles Clippers in cambio di Austin Rivers. Il polacco, da cinque anni nella capitale, è stato uno dei protagonisti di questo periodo a tratti turbolento ma, dal punto di vista risultati, abbastanza positivo. Con la sua partenza si perde un giocatore duro, solido, grande esperto di blocchi e tagli sia nel pick-and-roll sia negli screen assist (quarto dietro a Gobert, Adams e Drummond in questa speciale classifica), un maestro nello spostare i difensori ai limiti dell’irregolarità pur di creare spazio ai compagni. Per mantenere competitivo il quintetto, dovendo sostituire un titolare che conosceva a menadito ogni sfaccettatura dell’attacco e ogni esigenza delle due star John Wall e Bradley Beal, il front office degli Wizards guidato fin dal 2003 da Ernie Grunfeld ha optato per Dwight Howard.

Scaricato in fretta dagli Charlotte Hornets al termine di una stagione tutto sommato positiva, ma in cui non ha perso occasione di seminare qua e là il suo malcontento, l’ex Superman è arrivato a Washington dopo un fulmineo buyout con i Brooklyn Nets che lo avevano momentaneamente preso per trasferire altrove il pesante contratto di Mozgov. Considerata l’intasata situazione salariale degli Wizards, con i contrattoni di Wall, Beal e Porter (e c’è anche Mahinmi a 16 milioni annui fino al 2020), l’unica proposta possibile per Howard è stata un accordo annuale a quasi 5,4 milioni di dollari, con player option per la stagione successiva, che la dirigenza ha potuto offrirgli tramite il ricorso alla mid-level exception, essendo il monte stipendi già abbondantemente oltre il salary cap.

 

Questo mette in chiaro una serie di cose, su tutte una: per la prima scelta al Draft 2004, a trentatré anni compiuti, si tratta davvero dell’ultima occasione per prolungare la sua carriera in un contesto competitivo e per tornare a disputare i Playoff. Dopo la stagione piuttosto scialba agli Atlanta Hawks, in cui ha totalizzato cifre a punti e rimbalzi superiori soltanto al suo remoto anno da rookie, a Charlotte Howard ha disputato un’annata sana dal punto di vista fisico (presente in campo per 81 partite) e convincente da quello tecnico (16,6 punti e 12,5 rimbalzi di media, con alcuni viaggetti oltre il trentello e una mostruosa prestazione da 32+30 il 21 marzo 2018 sul campo dei Nets). In divisa Hornets ha raggiunto la miglior percentuale di rimbalzi difensivi (32,7%) e il miglior Defensive Rating in carriera (106,4), a riprova che, oltre al contributo in attacco, anche sotto il proprio canestro e nelle qualità di stoppatore può ancora essere un fattore.

Howard, che da quando è in NBA non è mai sceso sotto la doppia-doppia di media ed è il giocatore in attività con più doppie-doppie in assoluto (719), in estate ha lavorato per rendere il suo gioco meno interno e statico, aggiungendo ball handling e ampliando il suo raggio di tiro, forte di una ritrovata condizione fisica, e non è da escludere che lo si vedrà scorrazzare sul perimetro tentando pure qualche tripla. Adesso, poi, avrà modo di giocare il pick-and-roll con un portatore di palla rapido ed esplosivo quale John Wall, una soluzione dai risvolti parecchio interessanti: da un lato Howard, con la sua presenza fisica, atletismo e tecnica può risucchiare la difesa su di sé e finalizzare gli assist più di quanto facesse Gortat, liberando ulteriore spazio per un naturale attaccante al ferro e in uno-contro-uno come Wall; dall’altro, mentre gli avversari sono attratti dal campo magnetico di Wall, Howard potrebbe ritrovarsi con ampia libertà di imperversare vicino a canestro, cosa che ha dimostrato di saper ancora fare. Considerando poi la forza sul perimetro, dove sono ubicati l’istinto offensivo di Bradley Beal, l’efficienza di un Otto Porter in costante crescita e un Kelly Oubre atteso a un significativo improvement, chi si troverà ad affrontare gli Wizards al meglio delle loro potenzialità potrebbe imbattersi in dilemmi di non trascurabile difficoltà.

Per fare questa roba, ora John Wall avrà come partner Dwight Howard.

Punti forti

Rispetto alle stagioni trascorse, gli Wizards si presentano al via con un organico più profondo e completo. Nella stagione 2017-18 l’apporto della panchina di Washington è stato senza infamia e senza lode, il sedicesimo di tutta la NBA con 35,6 punti contribuiti a partita, il quattordicesimo per Offensive Rating (105,2) e diciottesimo per Net Rating (-2,6). Austin Rivers e Jeff Green – quest’ultimo reduce dall’ottovolante degli ultimi Cavs di LeBron James – aumentano sensibilmente le opzioni per coach Brooks, portando in campo qualità ed esperienza.

Il figlio di Doc sarà presumibilmente il sesto uomo, un elemento in grado di difendere duro e creare e produrre fin da subito in attacco al ferro, pick-and-roll o tiro in pull-up, tutti aspetti migliorati l’anno passato ai Clippers; Green, dal canto suo, offre la possibilità di varare un quintetto small ball quando Howard va a sedersi, con Markieff Morris che scala nella posizione di centro come stretch-5. In ogni caso l’elemento fondamentale in uscita dal pino sarà Kelly Oubre. Nella passata stagione l’ala da Kansas, al quarto anno in NBA, ha sensibilmente incrementato le sue statistiche, toccando un 34,1% al tiro dall’arco meritevole di miglioramento ma già dai contorni incoraggianti, a cui aggiunge l’abilità nell’attacco al ferro: a ventitré anni, va incontro a un’estate 2019 in cui sarà restricted free agent e vorrà sicuramente indurre i Wizards a considerare subito la qualifying offer in appendice al suo contratto da rookie.

La profondità della panchina include Tomas Satoransky (preziosissimo come back-up di Wall e Beal, come già notato nelle belle prestazioni dell’ultima stagione in assenza di Wall) e la matricola Troy Brown Jr. in guardia e Ian Mahinmi (sta sperimentando il tiro da tre, mai fatto prima) e il solido Jason Smith tra i lunghi; al roster potrebbe aggiungersi Lavoy Allen, ex Indiana ripescato dalla G League dopo un passaggio in Cina, che sta facendo il training camp dopo essere stato scelto nell’Expansion Draft dai Capital City Go-Go, la nuova affiliata di Washington nella lega di sviluppo.

Esatto, quello che tira e segna da tre è Ian Mahinmi: never seen in my life!

Passando al quintetto titolare, i partenti degli Wizards formano un nucleo che non ha bisogno di presentazioni. John Wall e Bradley Beal, se stanno bene e vanno d’accordo, continueranno ancora a essere una delle migliori coppie di guardie dell’intera lega. Si completano a meraviglia, con Wall devastante predatore del ferro e Beal più tiratore e animale da perimetro cresciuto in playmaking (nel 2017-18 ha avuto i migliori dati in carriera sugli assist: 4,5 a partita, 20,6% di assist percentage, 16,7 di assist ratio), a rimbalzo (4,4 a partita e 6,9% di rebound percentage) e nel procurarsi falli, mentre in difesa possono controllare entrambe le posizioni di guardia e oltretutto Wall è un grande ruba-palloni. Di Howard già si è detto, mentre Porter e Morris negli spot di ala offrono un’efficienza e una versatilità che poche squadre possono vantare, entrambi in grado di aprire infinite vie di penetrazione alla coppia di guardie.

In pre-season prove di intesa e altruismo Wall-Beal.

Gli Wizards sono una squadra top al tiro da tre, avendo registrato la quarta percentuale realizzativa (37,5%), ma tra gli ultimi per tentativi (ventitreesimi in NBA con una media di 26,5 a partita): il loro gioco, quindi, dovrà inevitabilmente svilupparsi nella direzione di un più consistente ricorso alla conclusione da oltre l’arco, aspetto che con tutta probabilità si vedrà concretizzato, con Scott Brooks intenzionato a riportare l’attacco di Washington per lo meno ai livelli della stagione 2016-17, quando era il nono nella lega per Offensive Rating. Come si è già visto nelle uscite di pre-season, il ricorso al tiro da tre sfiora i limiti dell’ossessione, arrivando a schierare quattro elementi sul perimetro mentre il portatore di palla va in penetrazione. In fin dei conti, è proprio una questione di chimica, perché gli Wizards nonostante tutto non sono certo incapaci di giocare di squadra: nella stagione 2017-18 terza assist percentage (63,1%) e quarta assist ratio (18,7).

Tutti sul perimetro, Austin Rivers va dentro e scarica per la tripla di Kelly Oubre: un assaggio in pre-season di come giocheranno gli Wizards.

Punti deboli

Il punto interrogativo più grosso resta essenzialmente quello di natura psicologica: può una squadra piena di teste calde e di aspiranti maschi alfa reggere una stagione di pressioni, consolidarsi e migliorare quanto basta per mettere in difficoltà Boston, Toronto e Philadelphia, cioè i team che nei pronostici partono nettamente davanti?

Sia John Wall sia Dwight Howard, l’asse primario point guard-centro, hanno la comprovata fama di caratteri con cui andare d’accordo è tutt’altro che una passeggiata. Dalla loro intesa dipenderanno i destini della stagione per Washington. Bradley Beal è ormai un All-Star con velleità da dominatore assoluto, ma tende a perdersi anche lui quando le cose non girano per il verso giusto. Markieff Morris è ben noto per la sua tendenza ai falli tecnici (quinto in NBA nel 2017-18) e ha inaugurato la pre-season con un’espulsione per qualche parola di troppo in un diverbio con il rookie dei Knicks Mitchell Robinson. E anche Austin Rivers ha avuto le sue.

Il talento non manca, ma la chiave di tutto sarà la coesione dello spogliatoio, senza la quale la strada per la finale di conference, cioè l’obiettivo dichiarato dallo stesso Wall, si fa assolutamente impervia. Oltre a questo e a parte l’avvicendamento Gortat-Howard ancora tutto da verificare, aver mantenuto l’ossatura di squadra già esistente, se da un lato può costituire un fattore positivo, dall’altro può aver indotto a trascurare il fatto che questi giocatori potrebbero anche non dare più di così. D’altronde, gli Wizards provengono da un non esaltante ottavo posto e da queste parti una vera cultura di franchigia vincente non c’è mai stata.

Buono, Markieff…

Scenario migliore

La chimica di squadra, grazie alla guida sicura di coach Brooks e all’impegno di tutti i giocatori, funziona a meraviglia e gli Wizards si attestano fin dall’inizio nelle prime posizioni della Eastern Conference, mettendo in difficoltà anche i team che godono dei favori del pronostico. Passare alla Capital One Arena diventa duro per tutti. Wall e Beal fanno il salto di qualità definitivo e prendono in volo come la miglior coppia di guardie della NBA. Howard si inserisce bene in ogni meccanismo e torna a essere stabilmente un centro dominante in difesa e in attacco, aggiungendo alle sue qualità vicino a canestro anche un range di tiro molto più ampio. I contributi dalla panchina sono importanti. Gli infortuni si tengono alla larga dalla squadra. Washington entra ai Playoff con il vantaggio del fattore campo e al secondo turno taglia uno scalpo importante, approdando finalmente alla finale di Conference.

Scenario peggiore

Fin troppo facile ipotizzare come worst-case scenario una situazione in cui lo spogliatoio degli Wizards collassi definitivamente e gli egoismi prendano il sopravvento, determinando anche qualche cessione eccellente a stagione in corso. Rischia anche Scott Brooks. Dwight Howard non mantiene le promesse e quella di Washington diventa soltanto l’ennesima, infruttuosa tappa della parte finale della sua carriera. Wall e Beal tornano a dissotterrare antiche asce di guerra, dando vita a una dilaniante faida interna. Markieff Morris e l’autocontrollo continuano a essere due rette parallele. Gli Wizards non si qualificano neppure per i Playoff e sul futuro della franchigia si addensano nubi oscure.

Pronostico

Il pronostico più realistico è la semifinale di Conference. Confidando in un trend positivo, questi Wizards potrebbero arrivare a giocarsi l’accesso alle Finals.

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Pubblicato da
Francesco Mecucci

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