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L’eredità di Tex Winter

Tex Winter se n’è andato giusto un anno dopo l’uscita di scena ufficiale della sua creatura. Nell’estate 2017 i New York Knicks, separandosi da Phil Jackson, sanciscono il definitivo tramonto dell’attacco Triangolo – noto anche con il nome originario di Triple-Post Offense – dopo aver rigettato il tentativo di farlo funzionare nella NBA di oggi.

Nell’ottobre 2018, mercoledì 10, Morice Fredrick Winter, per tutti Tex, saluta questo mondo a 96 primavere nella sua casa di Manhattan. Non “quella” Manhattan, ma l’omonima cittadina del Kansas in cui si era ritirato a vivere e dove ha sede la Kansas State University, da lui allenata per quindici anni.

Tra i due addii, è fin troppo chiaro che quello di Tex Winter, il più grande assistant coach di sempre, abbia fatto sicuramente molto più rumore rispetto al quasi dimenticato abbandono del sistema di gioco da lui perfezionato, tanto da scatenare gli immediati e affezionati messaggi di cordoglio di due dei più grandi interpreti della storia del gioco, Michael Jordan e Kobe Bryant, entrambi concordi nel riconoscere a colui che consideravano un eccellente insegnante e mentore il ruolo chiave avuto per le loro carriere. Sono 9 i titoli complessivi vinti con Tex Winter nello staff tecnico.

Perché, anche se il Triangolo ormai non è più in auge e riproporlo tale e quale sarebbe un’operazione obiettivamente anacronistica, niente potrà mai cancellare il fatto che questo sistema, con Phil Jackson capo allenatore, sia stato alla base di due delle più grandi dinastie NBA: i Chicago Bulls degli anni ’90 e i Los Angeles Lakers degli anni 2000.

Epoche in realtà non così remote, ma che a guardarle dai giorni odierni, sotto l’aspetto dello stile di gioco sembrano lontane anni luce. Dove si cela, allora, la legacy che un personaggio come Tex Winter ha inevitabilmente lasciato al basket di oggi?

Tex Winter nel 2011 alla sua introduzione nella Hall of Fame / Credits to: Hoopshype.com.

Alle origini del Triangolo

Le radici del Triangolo vanno ricercate nell’essenza stessa della pallacanestro come sport di squadra: muoversi insieme sul campo e passarsi il pallone, cercando la posizione e la soluzione migliore per andare al tiro. Il Triangolo come una nobile via, un tao per la creazione di un rapporto di assoluto altruismo e di continuo confronto e scambio, in cui tutti i componenti si sentano coinvolti all’inseguimento di un traguardo più grande.

Ancora, le sue origini affondano in un’epoca lontana dallo star system dei tempi correnti, pervasa da una mentalità che tendeva a mettere rigorosamente davanti a tutto l’importanza dei fondamentali e l’autorità del coach come maestro e guida di giovani campioni. Non è un caso, infatti, che una significativa porzione della carriera di Tex, uno che ha allenato per sessant’anni, si sia sviluppata a livello universitario (nonostante due stagioni, non esaltanti, alla guida degli Houston Rockets tra 1972 e 1974), raggiungendo un punto di svolta soltanto nel 1985, a 63 anni, quando l’amico Jerry Krause, conosciuto ai tempi di Kansas State e rimasto folgorato sulla via del Triangolo, diventato general manager lo chiama ai Bulls guidati da Doug Collins e poi da Phil Jackson.

Nel 1962, all’età di quarant’anni di cui già quindici di esperienza in panchina, Tex Winter dà alle stampe il libro The Triple-Post Offense in cui sono contenuti tutti i principi essenziali, e non solo, del suo sistema. In breve, si deve a Tex l’introduzione di termini gergali come mezza ruota o button hook, tanto per dare un’idea dell’importanza di questo testo. L’incipit recita così: “L’impostazione di schemi offensivi è fatta per creare buone opportunità di fare canestro: lo scopo fondamentale di tutti gli attacchi.

Due pagine del libro The Triple-Post Offense di Tex Winter (1962) / Credits to: NYTimes.com.

Ora, se si chiede a un qualsiasi guru di un qualsiasi sport il cui nome sia indissolubilmente legato a uno stile di gioco o a un sistema particolare, nella gran parte dei casi la risposta sarà: “Non l’ho inventato io”. In effetti, Tex entra in contatto con certe concezioni, che poi rielaborerà nel suo credo personale, nell’anno in cui gioca per la University of Southern California – la stagione 1946-47, all’indomani della seconda guerra mondiale in cui presta servizio come pilota della Marina e l’ultima prima di intraprendere la carriera da allenatore – agli ordini di coach Justin “Sam” Barry, che tra l’altro scompare improvvisamente tre anni più tardi per un attacco di cuore. Barry aveva installato nei Trojans un sistema di gioco caratterizzato da adeguate spaziature tra i giocatori, chiamati a compiere tagli e passaggi secchi e rapidi per sfaldare la difesa. A sua volta, Barry aveva desunto alcuni punti dal sistema di “attacco incrociato” di Walter Meanwell, un inglese che aveva allenato Wisconsin dal 1911 al 1934.

Passare un anno agli ordini di Barry è decisivo per Tex, che diventa assistente a Kansas State nel 1947, a soli venticinque anni: l’head coach Jack Gardner cerca qualcuno che conosca quel modo di giocare e Winter non si fa pregare.

 
Un giovane Tex Winter insegna il Triangolo.

Il basket come altruismo e unità d’intenti

Racconta Winter nel libro Più di un gioco scritto da Phil Jackson e Charley Rosen: “Ero interessato al basket in quanto gioco di squadra. Altruismo. UnitàEro anche molto interessato all’idea di muovere uomini e palla sempre con uno scopo preciso. Una buona spaziatura in modo che la difesa debba fare troppa strada per raddoppiare e aiutare in modo efficace. Sovraccarichi su un lato e ribaltamenti rapidi per battere le difese. In ultima analisi, tuttavia, l’obiettivo era fare in modo che la palla arrivasse nelle mani di certi giocatori nelle loro posizioni preferite sul campo. Più che un sistema, preferisco definirlo una filosofia.”

Con la sua natura di gioco collettivo, il Triangolo vuole esaltare l’intelligenza cestistica di un giocatore. Alla base ci sono concetti chiave come saper passare, non restare mai fermi senza palla, leggere la difesa e scegliere la soluzione migliore tra passaggio, tiro, penetrazione. Un attacco che richiede e rende possibile il transito del giocatore in tutte le posizioni e lo chiama a segnare da posizioni diverse. Ad esempio, nel Triangolo i centri devono essere ottimi passatori e anche tiratori.

Il Triangolo dei Chicago Bulls nelle NBA Finals 1998.

Non è uno schema preciso, di quelli che l’allenatore chiama e devono essere pedissequamente eseguiti dal quintetto sul parquet. Si tratta di una serie di principi ispirati allo spirito del basket, che esigono piena padronanza dei fondamentali, senso della posizione e un’elevatissima capacità di concentrazione e per garantire un’esecuzione perfetta, sapendo sempre cosa fare a seconda di dove si trovano palla e avversario. Il Triangolo offre una pluralità di opzioni per evitare che si vada a testa bassa contro la difesa schierata.

Se da un lato ci volle parecchio per convincere Michael Jordan a fidarsi dei compagni e a suddividere con loro le responsabilità – è proprio tra lui e Tex il famoso siparietto “There is no I in TEAM!”, “Yes, but there is in WIN!” – mentre c’era chi rinunciava a priori a capirlo – secondo Dennis Rodman il Triangolo è “capire dov’è Michael e passargli la palla” – Kobe Bryant ne adorava invece l’imprevedibilità: “Era difficile giocare contro di noi perché gli avversari non sapevano mai cosa stavamo per fare. Perché? Perché nemmeno noi sapevamo che cosa avremmo fatto da un momento all’altro. Tutti leggevano e reagivano l’un l’altro. Eravamo una grande orchestra.

Credits to: UsaToday.com.

Come funziona il Triangolo

Parlando in generale, l’innovazione non risiede più di tanto nell’avere un colpo di genio o un’idea a cui nessuno ha mai pensato prima, quanto nell’abilità di afferrare spunti e notare particolari da chi già c’era, per rielaborare il tutto in un nuovo modello vincente, determinando così un’evoluzione dell’intero sistema.

Tex Winter, rispetto al gioco di Sam Barry noto come “centro opposto” per la posizione iniziale del lungo sul lato debole, introduce lo spostamento del centro al lato forte già nella situazione di partenza, lasciando invece sul lato debole uno scambio di posizione tra la guardia e l’ala grande e implementando il tutto con la creazione di un sistema di passaggi che portasse al movimento coordinato dei giocatori.

Nella sua formulazione di base, la Triple-Post Offense prevede di occupare l’angolo sul lato forte dopo il primo passaggio, normalmente attraverso il taglio della point guard dalla posizione di punta dopo aver ceduto palla all’ala piccola, che ai Bulls era MJ. Si crea così un triangolo – a proposito, il giovanissimo Tex a scuola era un mostro in geometria – i cui vertici sono il centro in post basso, la point guard in angolo e l’ala piccola con la palla.

I Lakers eseguono il Triangolo in una delle sue infinite opzioni.

Il triangolo può essere creato anche con il taglio della guardia rimasta sul lato debole o con l’uscita in angolo dell’ala grande o dello stesso centro: insomma, l’importante è crearlo, per minacciare la difesa da più punti e se necessario, ribaltare la palla sul lato debole ed eseguire tagli e spostamenti necessari per ricreare altri triangoli. La squadra è così in grado di muoversi all’unisono e di conseguenza muovere la difesa portandola fuori equilibrio, creando opportunità di attacco in base a ciò che la difesa concede.

Phil Jackson viene nominato capo allenatore dei Bulls nel 1989, dopo due anni da assistente di Doug Collins, elemento che non andava molto d’accordo con Tex Winter in quanto allenatore “di controllo” che orchestrava la squadra dalla panchina chiamando lo schema di volta in volta. Un aspetto che, secondo la visione di Tex, non consentiva ai giocatori di sviluppare una propria capacità di lettura delle situazioni in campo.

I due più semplici modi standard per formare il Triangolo. Dal libro Più di un gioco di Phil Jackson e Charley Rosen.

Tuttavia, fondamentali per cementare il legame Tex-Phil sono le due estati 1987 e 1988, in cui ai due è delegato il compito di guidare i Bulls nella Summer League di Los Angeles. E’ lì che Tex Winter converte in via definitiva Phil Jackson al Triangolo: il Maestro Zen ne plasma una versione più evoluta del sistema di gioco che aveva assimilato quando giocava nei Knicks per Red Holzman e alla University of North Dakota agli ordini di Bill Fitch.

Alla vigilia della stagione 1990-91, quella che avrebbe portato il primo titolo a Chicago, Tex convince Phil a passare allo schieramento con due guardie, che consente di ribaltare il lato più facilmente aumentando le possibilità di costruzione di triangoli e la versatilità dei quintetti. E’ l’inizio di uno dei più avvincenti cicli di successo nella storia della NBA.

 

Cosa è rimasto del Triangolo?

La profonda rivoluzione tecnica e culturale che la NBA contemporanea sta tuttora vivendo rende quasi inapplicabile, ormai, il Triangolo “duro e puro”.

Il sistema di Tex Winter è già di per sé difficile da trasmettere con efficacia a una squadra: per arrivare alla sua completa esecuzione può essere necessaria un’intera stagione, se non di più, e oggi tutto quel tempo a disposizione non c’è, tra free agency selvagge, rapidi esoneri di allenatori e superstar desiderose di bruciare le tappe per arrivare a giocarsi il titolo in men che non si dica. La NBA è una players’ league che non aspetta e dove la fedeltà alla maglia e al coach è un concetto estremamente relativo.

Dal punto di vista tecnico, i giocatori di oggi complessivamente crescono con minor cura dei fondamentali e con una smodata abitudine al pick-and-roll, una situazione che il Triangolo aborrisce nel nome della circolazione di palla. Sulle scelte offensive, poi, l’appoggio continuo in post basso e i tiri dalla media sono considerate soluzioni a bassa efficienza.

Questo è quanto certificato dall’infelice esperienza ai Knicks di Phil Jackson come president of basketball operations, durata poco più di tre stagioni perdenti, dal 2014 al 2017, in cui i giocatori sono arrivati pubblicamente a rinnegare il Triangolo. Tex Winter si era già ritirato nel 2008, rimanendo come consulente esterno dei Lakers che vinceranno i titoli NBA 2009 e 2010, gli ultimi trionfi del Triangolo.

Tracce di Triangolo nell’attacco dei Golden State Warriors.

Cosa è rimasto della Triple-Post Offense nella NBA di oggi? Per individuare alcune tracce, l’esempio migliore viene dalla franchigia che sta indelebilmente segnando gli anni ’10: i Golden State Warriors di Steve Kerr, che guarda caso quando vestiva canotta e calzoncini faceva parte dei Bulls di Phil Jackson. Kerr è un uomo di profonda intelligenza e apertura mentale, tali da comprendere che da un lato è impossibile reintrodurre il Triangolo originario, ma dall’altro si possono riproporre alcuni dettagli di quella filosofia, seppur alla velocità della luce dell’attuale ritmo NBA. Secondo Kerr:

Un sacco di cose che facciamo qui agli Warriors sono sviluppate partendo dalle cose che ho imparato da Tex. Quello che ha fatto per me, la strada verso cui mi ha indirizzato e la possibilità che mi ha dato a Chicago insieme a Phil Jackson ha cambiato la mia intera vita. Ho imparato tantissimo sul basket da Tex. Il mio assistente Ron Adams mi ha detto che sapeva più cose sulla storia del gioco e sui suoi fondamentali di chiunque avesse mai incontrato in vita sua. Mi ritengo fortunato ad aver giocato per lui per cinque anni. E che vita che ha vissuto: un individuo unico nel suo genere, che ha toccato tantissime vite.

E così, quando vediamo Curry dar via la palla e uscire in angolo per una delle sue triple, ciò non può non ricordare una situazione base del Triangolo. Esattamente come altri principi di gioco che fanno parte della concezione odierna di pallacanestro che gli Warriors hanno esaltato al massimo livello possibile: l’enfasi riservata alle spaziature e alle letture della difesa, la necessità di avere una coppia di guardie in grado di segnare e di creare gioco, il movimento di palla attraverso tutti e cinque i membri del quintetto, i centri che di fatto dirigono in gioco su entrambi i lati del campo, come Draymond Green.

 

La legacy di Tex Winter

La grande eredità di Tex Winter, tuttavia, non risiede tanto negli Xs & Os quanto nell’approccio e nella dedizione al basket. Il suo vero e profondo insegnamento lasciato ai posteri non è un playbook, ma l’idea sempre valida che se vuoi arrivare in alto e vincere non ti basta soltanto il talento, ma devi lavorare instancabilmente, curare i dettagli, riservare importanza a ogni aspetto della preparazione, non importa se ti chiami Michael Jordan o Shaquille O’Neal. MJ ricorda proprio questo:

Era sempre focalizzato sui dettagli e sulla preparazione ed era e un grande insegnante. Sono stato fortunato a giocare per lui“. John Paxson lo definisce “il migliore allenatore di fondamentali nella storia del gioco. Un innovatore che aveva un elevato standard di come il basket deve essere giocato ogni giorno”. Un messaggio ben recepito da uno come Kobe che nella sua prima stagione insieme ha seduto con lui per guardare ogni minuto di ogni partita: “Mi ha insegnato come studiare ogni dettaglio. Genio del basket in ogni senso della parola.

Credits to: Yahoo! Sports.

Tex Winter viveva per allenare, il suo mondo era il campo da basket. Gli interessava che una giocata venisse eseguita correttamente, non chi la eseguisse. Quindi, non si faceva alcun problema nel riprendere e correggere anche le superstar della squadra ogni qual volta lo ritenesse necessario. In questi casi diceva sempre che non stava criticando, ma stava semplicemente allenando.

Arrivava a esasperarsi, in allenamento e in partita, se qualcuno non faceva le cose nel modo giusto, non sopportava la pigrizia. Phil Jackson, d’altronde, sull’importanza del Triangolo non solo come sistema di gioco ma come linea guida e filosofia ricorda che “avere un insieme di principi chiaramente definiti con cui lavorare riduce i conflitti, perché rende meno soggettiva qualsiasi correzione fatta al singolo giocatore. I giocatori capiscono che il coach non li sta attaccando personalmente quando corregge un errore, ma sta semplicemente cercando di migliorarne la comprensione del sistema.

Tex Winter viene ricordato come un coach di estrema professionalità e come una persona semplice, diretta, ottimista, gentile, che aveva una grande cura della propria vita tanto da mantenersi lucido e in esercizio fino a tardissima età. Senz’ombra di dubbio è una di quelle figure di coach leggendari, da John Wooden a Gregg Popovich, che al di là dell’aspetto tecnico sono tutti ricordati per un particolare di assoluta importanza: l’attenzione ai fondamentali e ai principi basilari del gioco. Perché alla fine le imprese più grandi partono sempre dalla semplicità.

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Pubblicato da
Francesco Mecucci

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