Michael Beasley segna i punti numero 31 e 32, poi fa un po’ di sano trash talking contro gli avversari di serata, i malcapitati Boston Celtics. Palpebre a mezz’asta alla Tracy McGrady, dreadlocks infiniti e il corpo coperto di tatuaggi. Sulle spalle, la maglia dei New York Knicks.
Per lui è già una gran cosa ritrovarsi ancora in NBA, dopo i molteplici errori commessi e le due parentesi in Cina. Non solo è ancora nella lega professionistica più importante al mondo, è al Madison Square Garden in una serata di fine dicembre e i tifosi della Mecca della pallacanestro stanno cantando “MVP! MVP!” al suo indirizzo.
“Be Easy”, il soprannome che porta tatuato sul braccio destro, è tornato a essere un nome rilevante nel panorama NBA, e nel dopopartita regala ancora soddisfazioni. Nello spogliatoio, dopo la sirena che ha sancito la vittoria dei Knicks, un giornalista gli chiede: “Quando hai iniziato a sentire la mano calda?”. La risposta non si fa attendere: “9 gennaio, 1989”. La sua data di nascita, naturalmente.
Per capire come mai fino a quella serata ci eravamo quasi dimenticati di uno dei giocatori più talentuosi della sua generazione, bisogna fare qualche passo indietro.
Boyz in the hood
Michael Beasley nasce a Cheverly, nel Maryland, in un quartiere poco accogliente. Michael Beasley Senior se ne va presto da casa, abbandonando moglie e tre figli.
Quando ha dieci anni, Michael incontra un ragazzino che ha un anno più di lui e diventerà uno dei suoi migliori amici. Nella palestra della scuola si sta allenando la squadra della AAU. “Voglio giocare anche io”, fa notare agli altri. L’allenatore gli fa cenno di entrare in campo, lui mostra a tutti quanto vale. Muscolarmente sembra più grande della sua età, i rimbalzi sono sempre suoi. Il ragazzino più forte in campo oltre a lui si chiama Kevin Durant. Si sfidano, un canestro dopo l’altro, poi Michael litiga con uno degli avversari e decide di andarsene. Mentre sta uscendo, vede un cartone fumante con dentro una pizza. Non esita un istante, se lo porta via e divora tutto.
Incuriosito dall’episodio e dalla scomparsa della sua pizza, KD fa di tutto per rintracciarlo e quando lo trova gli chiede perché ha rubato il cibo. “Era un pasto sicuro, non sapevo quando avrei mangiato ancora”. I due, entrambi cresciuti senza padre, si capiscono al volo. Durant capisce ancora meglio quando vede l’appartamento di Michael, dove l’amico vive insieme ad altre cinque persone.
Nonostante l’amicizia con KD e la sua famiglia e il periodo in cui giocano vincendo tutto a livello giovanile con i PG Jaguars (la Apple sta preparando una serie tv su Durant e i suoi compagni di allora), gli anni della crescita sono difficili per Beasley. Frequenta sei diversi licei. A Oak Hill viene rimproverato pesantemente dopo aver firmato con il pennarello banchi, water e lavagne per vincere una scommessa con Ty Lawson, altro futuro giocatore NBA dal carattere particolare. La ciliegina sulla torta è pitturare con lo spray la macchina del preside, e a quel punto l’espulsione è cosa fatta.
A fine liceo è considerato uno dei più forti in circolazione, per il college la sua scelta è Kansas State. Non ha idea di dove sia il Kansas, ma sa che il suo amico Dalonte Hill, che spesso gli ha dato da mangiare quando lui era al verde, lavorerà lì come assistente-allenatore. Gli basta. Tiratore letale e ottimo rimbalzista, sembra mancino anche se nella vita di tutti i giorni è destro. Il talento è lì da vedere, straripante. Al debutto contro Sacramento State fa 32 punti e raccoglie 24 rimbalzi.
Dopo una delle migliori stagioni in assoluto per un giocatore al primo anno di college, più di 26 punti e 12 rimbalzi di media, si dichiara eleggibile per il Draft 2008. Vuole iniziare a guadagnare soldi veri, dare un futuro alla sua famiglia.
Quando viene scelto alla numero 2 dai Miami Heat dopo Derrick Rose, Be Easy si ritrova a diciannove anni a South Beach. Per la prima volta nella sua esistenza ha dei soldi in tasca che può usare per fare qualcos’altro oltre a mangiare. Fino a quel momento non aveva mai visto più di 100 dollari nel suo conto in banca, ora è un giovane milionario. Ha sempre desiderato un Range Rover, se lo compra. Vuole una Bentley, compra pure quella. Dwyane Wade ha un Challenger, se lo prende anche lui. A fine primo anno, nel suo garage ci sono una dozzina di automobili.
Kevin Durant è una delle persone che conosce meglio Beasley. Lo descrive come una persona sempre allegra, piena di gioia di vivere. Durant però riconosce di aver avuto intorno persone in grado di spiegargli quando era il momento di smettere di scherzare e di concentrarsi. A Beasley nessuno ha mai insegnato come fare a gestirsi.
“Penso sia rimasto sempre giocoso e apparentemente spensierato, senza prendere niente sul serio, per cancellare le sofferenze derivanti da quello che c’era di negativo nella sua vita. Ha usato la risata e gli scherzi per affrontare lo schifo che vedeva ed era costretto a vivere nel quartiere.”
Come dice Durant, un meccanismo difficile da superare che probabilmente ha comportato una grande fatica nell’adattarsi alla vita da professionista NBA.
(Credits to Sports Illustrated)
Tutti gli amici del vecchio quartiere vanno continuamente a trovarlo, pronti a godere del suo successo. In una situazione del genere, è facile pensare che rinchiudersi in palestra a sudare sia un sacrificio eccessivo, per chi ha quel genere di talento. Si fa subito beccare per aver fumato marijuana nell’hotel della squadra. Si dimentica gli schemi, reagisce male ai richiami dei veterani, che lo isolano. Gli unici a stargli vicino sono il leader della squadra, Wade, e la leggenda Alonzo Mourning. Beasley e l’altro rookie Mario Chalmers vengono multati diverse volte per violazione delle regole della franchigia, come viene reso noto dopo l’uscita degli Heat al primo turno della post season.
Roller coaster NBA
Nella prima estate da professionista decide di entrare in un centro per “risolvere problemi legati allo stress”, prima che la stagione cominci. In stagione regolare parte in quintetto e mostra accecanti flash di quello che sa fare, poi nei Playoff il rendimento cala vistosamente e gli Heat escono al secondo turno contro i Celtics. Nell’estate 2010, quella dell’arrivo del talento di LeBron a Miami, Beasley finisce nel freddo Minnesota. Si presenta al training camp in forma smagliante, fa notare di essere stato trattato male a Miami e le prime esibizioni in maglia Timberwolves sembrano dargli ragione. A novembre segna 42 punti contro Sacramento e un canestro da grande closer per vincere una partita contro i Clippers. Tiro dalla media allo scadere del tempo e tutti a casa.
Conclude la prima stagione a più di 19 punti di media, l’annata migliore dal punto di vista realizzativo. Nello spogliatoio si trova bene, Kevin Love lo prende simpaticamente in giro perché canta, scherza e non sta fermo un attimo, fa sempre sentire la sua energia ai compagni che sostengono che i suoi “superpoteri” derivino dalle caramelle zuccherate che ingurgita continuamente.
Durante la pausa estiva viene fermato per eccesso di velocità e nella sua macchina viene trovata una busta piena di marijuana. Altro errore. Nonostante questo sembra che sul parquet sia arrivato il momento del salto di qualità, invece arriva una stagione deludente complicata da un infortunio al piede, ed è di nuovo tempo di cambiare aria. Stavolta sono i Phoenix Suns a puntare su di lui, ma il sole dell’Arizona non lo scalda a sufficienza. Nel gennaio 2013 finisce sotto inchiesta per aggressione sessuale (accuse poi ritirate), ad agosto viene arrestato con il sospetto di possesso di marijuana. Un mese dopo i Suns si liberano di lui.
Beasley torna a Miami per l’ultimo anno di LeBron, assistendo dalla panchina alla sconfitta in Finale contro gli Spurs di Kawhi Leonard. Be Easy prova poi ad accordarsi con i Memphis Grizzlies, ma le cose non vanno come sperato. È tempo di Cina, tenta la fortuna con gli Shanghai Sharks. Trova tranquillità e conforto nell’isolamento. La maggior parte dei giocatori NBA che si ritrova in Cina si porta dietro una congerie di amici, che vogliono il loro appartamento personale e viaggiare con la squadra. Beasley è stato già sfruttato dalle amicizie sbagliate in passato, perfino da un suo agente, ed è stufo. Finalmente si separa da un gruppo di persone che gli stavano vicino solo per tornaconto.
“È ironico che io sia dovuto andare dall’altra parte del mondo per trovare me stesso. All’inizio a Miami mi ero portato dietro mezzo quartiere, mi sentivo in debito con loro per i motivi sbagliati e loro non mi hanno aiutato per niente, anche se pagavo io per qualsiasi cosa”.
Si trova bene, scopre il gusto di giocare insieme agli altri e non soltanto per segnare tanto, da solo. Comunque non si è mai dimenticato come si fa a fare canestro, nell’All Star Game cinese segna la bellezza di 59 punti. Dalla panchina.