Los Angeles, Agosto 2018
La città è in totale subbuglio mediatico per i Lakers, che dopo anni di purgatorio hanno messo le mani su LeBron James in free agency e sono tornati ad essere la squadra di punta della città.
I Clippers, dalla loro, hanno puntellato il roster competitivo della scorsa stagione ma sono in una fase di transizione, l’evento più importante dell’estate è stata la decisione di puntare su Shai-Gilgeous Alexander al draft, e gli obiettivi stagionali non sono del tutto chiari dopo il mancato tentativo di arrivare a Kawhi Leonard.
In questo subbuglio controllato, la dirigenza capeggiata da Jerry West aveva scelto un giocatore su cui puntare per il futuro e al quale legarsi, Tobias Harris, che tanto aveva impressionato durante la scorsa stagione dopo essere arrivato nello scambio che ha portato Blake Griffin a Detroit. Risultato? Offerta da 80 milioni in 4 anni gentilmente rifiutata da Harris, che sarà free agent a fine stagione e spera di ottenere un contratto più remunerativo – non per forza con una squadra diversa dai Clippers.
Clippers che dalla loro escono relativamente sconfitti, visto il mancato rinnovo di un giocatore fondamentale che avrebbe comunque permesso alla squadra di mantenere la flessibilità necessaria per giocare un ruolo importante durante la prossima, fondamentale estate.
Siamo a fine Novembre, sono passati poco più di 3 mesi, i Clippers hanno 13 vittorie e 6 sconfitte dopo le prime 6 settimane di regular season e sono in testa alla Western Conference in solitaria. IN TESTA. ALLA. WESTERN CONFERENCE. (Okay, l’avvio deragliante di Houston e la mini-crisi degli Warriors senza Curry e post-litigio tra Green e Durant hanno contribuito a una classifica anormale, but still).
Lo scorso anno LA aveva costruito la propria solidità su una difesa da primissime posizioni, che aveva permesso ai ragazzi di Doc Rivers di restare dentro a partite anche contro squadre sulla carta superiori e poi portarle a casa grazie alle ripetute eruzioni di Lou Williams.
In questa stagione, l’arma in più della squadra è l’attacco. Nel momento in cui scrivo, i Clippers sono il terzo attacco della lega con 117.6 punti a partita, e il leader tecnico è indiscutibilmente proprio Tobias Harris.
Durante i precedenti 7 anni di carriera distribuiti tra Milwaukee, Orlando e Detroit Harris si era costruito la nomea di solidissimo role player, in grado di abbinare a un fisico da power forward mobile e moderna (206 cm per 106 kg) pericolosità da dietro l’arco in grado di aprire il campo per i compagni (36% in carriera, sempre in crescendo).
In questa stagione Harris tira con il 43% da 3 punti, sta mettendo 21.5 punti a partita con 8.6 rimbalzi, 2.4 assist, il 52.5% dal campo e il 58% di effective field goal – tutti massimi in carriera (via Basketball Reference).
I Clippers cominciano i loro attacchi facendo gestire la palla quasi sempre a un portatore diverso vista la mancanza di un playmaker vero e proprio in squadra (Teodosic è sul piede di partenza), e oltre alle point guard di ruolo come SGA e Pat Beverley, a dividersi questo compito sono spesso Danilo Gallinari e proprio Harris.
Il motivo è piuttosto semplice: essendo le due ali le principali fonti di rimbalzi difensivi per la squadra (assieme a Montrezl Harell), la preferenza dettata da Rivers è quella di portare subito la palla nella metà campo avversaria per non far posizionare la difesa e poter attaccare l’area, quasi sempre liberata dalla presenza di tiratori sugli esterni.
La maggiore fiducia nel proprio jumper rende Harris una minaccia costante in grado di colpire anche dal palleggio, arma quasi del tutto nuova.
Forwards oltre i due metri in grado di condurre gli attacchi sono la nuova normalità in NBA, ma ciò non significa che il cambiamento nell’atteggiamento offensivo di Harris fosse una conseguenza quasi dovuta; essere in grado di minacciare la difesa è una chiave fondamentale per rendere più dinamico e polivalente l’attacco della squadra, e poterlo fare sfruttando i blocchi del miglior screen assister della lega – Marcin Gortat – porta il tutto a un livello superiore.
Harris ha dato alla propria gestione offensiva un’impronta all around che fino a qualche mese fa sembrava non potergli appartenere, o essere comunque isolata a poche partite particolarmente ispirate.
Nella partita di due giorni fa a Portland è arrivato il season high di Harris, che aveva già riscritto il proprio record di punti stagionale pochi giorni fa a Washington mettendone 29. 7 doppie doppie stagionali e una sola partita, lo scorso sabato contro Memphis, con meno di 15 punti a referto.
La scelta precisa di Rivers di far portare palla agli esterni direttamente dal rimbalzo e andare subito ad attaccare è chiaramente mirata a seguire il trend della lega alzando il ritmo; i Clippers giocano ad un Pace di 102.73, l’ottavo più alto della lega, e hanno radicalmente cambiato identità rispetto alla squadra concentrata principalmente sulla difesa della scorsa stagione rendendo Harris il Deus Ex Machina dei propri attacchi in transizione e più in generale la chiave di volta offensiva.
La cosa più importante fatta dal prodotto di Tennessee è stata prendere la propria costanza e solidità e portarla a un livello superiore guidando una squadra da prime posizioni (anche se dopo un solo mese e mezzo), cosa mai fatta prima in carriera.
“La chiave di tutto è essere in grado di portare il tuo contributo ogni notte” – ha detto Harris all’Orange County Register qualche settimana fa. “Dagli allenamenti individuali a quelli con la squadra, la routine quotidiana, l’approccio alle partite, tutto questo deve arrivare al massimo livello ogni volta.”
“E’ sempre stata una questione di principio per quel che mi riguarda; non farsi mai buttare troppo giù quando le cose vanno male in campo, non esaltarsi troppo adesso che sto giocando, forse, il miglior basket della mia carriera. Bisogna cercare di migliorare ogni giorno, ogni singolo giorno.”
E Harris sta effettivamente giocando il miglior basket della carriera (così come altri Clippers come Gallinari, Harrell e Williams), un attestato che va oltre i numeri che sta mettendo insieme.
“Sta giocando in un modo incredibile, è diventato davvero uno scorer completo” – ha detto Doc Rivers. “Era il tipo di salto di cui avevamo bisogno da parte sua, il suo impatto è cresciuto anche nei rimbalzi e sta diventando un ottimo facilitatore. La cosa più importante però è che sta facendo tutto questo ogni notte, ogni volta che scendiamo in campo e abbiamo bisogno di lui.”
Harris non diventerà mai una star vera e propria, tantomeno una super star, e anche un eventuale cammino verso la convocazione all’All Star Game sembra complicato al momento, ma l’aver raggiunto lo status che tutta l’organizzazione Clippers gli sta riconoscendo è un qualcosa che in pochi si sarebbero aspettati. Essere una star, un giocatore franchigia, sta nell’essere il leader della propria squadra ogni volta che si scende in campo, essere in grado di “deliver”, che è forse la miglior parola da adottare in questo caso ed è inutile cercare una traduzione che esplifichi meglio il concetto.
A soli 26 anni però, e con un fisico praticamente perfetto per la direzione che la NBA ha definitivamente preso in questa stagione (vedere scoring boom), Harris potrebbe essere il perfetto secondo violino per una star che decida di portare i suoi talenti nella parte meno glamour della città degli angeli – che anche in questa stagione, di meno glamour rispetto ai cugini non ha niente.
Kawhi Leonard non ha mai nascosto il desiderio di tornare in California e di farlo proprio andando a Los Angeles, preferendo i Clippers ai Lakers per non vivere nell’ombra di LeBron.
Se la dirigenza si è vista respingere l’offerta di rinnovo da 80 milioni in 4 anni, però, è probabile che trattenere Harris possa venire a costare più di 20 milioni a stagione; a quel punto starà a Jerry West decidere se il numero #34 meriterà una fiducia tale o sarà invece lasciato libero di firmare altrove.
Quel che è certo è che le pretendenti non mancheranno, e anche se la prossima sarà in primis l’estate di Kevin Durant, Klay Thompson e Kyrie Irving, e a fare più o meno lo stesso rumore ci sono le free agency di Draymond Green e Anthony Davis in arrivo nel 2020, Harris si iscrive di diritto al club degli oggetti più ambiti dei prossimi mesi, sopratutto per squadre in the middle of the pack e in cerca del definitivo salto di qualità.