Secondo episodio di MIP Check, nuova rubrica mensile che ogni 4 settimane vi racconta chi sono i giocatori che hanno fatto i passi in avanti più notevoli e sono in corsa per il premio più hipster della stagione, il Most Improved Player.
Nell’episodio di metà Novembre vi abbiamo parlato dei due favoriti di inizio stagione, Brandon Ingram e Jamal Murray, e delle due sorprese del primo mese di regular season, De’Aaron Fox e Zach LaVine. Proseguiamo con Dicembre.
Domantas Sabonis
Di Leonardo Flori
Quando nell’estate del 2017 gli Indiana Pacers si sono trovati obbligati a scambiare Paul George, che aveva dichiarato di non voler firmare un’estensione contrattuale 12 mesi dopo e lasciare The State Of Basketball per andare ai Lakers, il prezzo ricevuto in cambio dagli Oklahoma City Thunder aveva il potenziale per essere una steal tanto quanto un bust.
Il pezzo forte della trade era chiaramente Victor Oladipo, che ha poi dimostrato come Indiana si fosse trovata un All Star in mano senza averne la minima idea poche settimane prima. Nessuno, compreso il sottoscritto, aveva fatto particolare attenzione al secondo asset speso da Sam Presti per arrivare a George, quel Domantas Sabonis che, uscito da Gonzaga, durante il primo anno in NBA a OKC aveva dimostrato sprazzi di potenziale, con buone capacità da rimbalzista e un tiro da 3 acerbo ma con buone basi, senza però impressionare particolarmente una dirigenza in disperata ricerca di star da affiancare a Russell Westbrook, proveniente da quella regular season.
Durante il primo anno ai Pacers, Sabonis ha guardato il compagno di squadra/trade rivelare alla lega tutto il proprio potenziale nascosto, essere convocato all’All Star Game e guidare la squadra a una partita di distanza dall’eliminazione di LeBron James e i Cleveland Cavs al primo turno della postseason. In questa stagione le cose sono cambiate.
Sabonis ha deciso di rendere il proprio gioco offensivo il più efficiente possibile, eliminando ogni tipo di azione ridondante che potesse rallentare il suo contributo dalla panchina – non si è ancora parlato di un suo inserimento in quintetto, e visto il rendimento che sta avendo con second unit, probabilmente non se ne parlerà mai quest’anno.
Durante la stagione 2016-17, la prima in NBA con i Thunder, Sabonis tentava 2.0 triple a partita, andando a segno con il 32.1%; appena arrivato ai Pacers, coach McMillan ha deciso di lasciar perdere lo sviluppo del tiro dalla lunga distanza di Domantas e renderlo un giocatore che agisse prettamente al ferro.
Lo scorso anno le triple tentate sono state 0.5 a partita, realizzate con il 35%, quest’anno sono calate fino a 0.2 a partita mandate a bersaglio con uno stupefacente 83.3% (dato che lascia comunque il tempo che trova visto il ridotto numero di tentativi).
La trasformazione di Sabonis in totale dominatore dell’area è testimoniata dalla selezione di tiro del lituano, che sta prendendo il 97.8% delle sue conclusioni dentro l’area, e segna un clamoroso 69.7% dei suoi punti nel pitturato o nelle immediato vicinanze del ferro.
Avendo fatto dell’efficienza il suo mantra, e seguendo i dettami della NBA del 2018, anche i mid-range jumpers hanno subito un calo vertiginoso, e compongono solamente il 7.6% della produzione offensiva di Sabonis, che nel suo totale è prodotta dal 66.5% di true shooting percentage. [via NBA/Stats.com]
La prova più impressionante del nuovo Sabonis in questa stagione, senza un solo errore dal campo al Madison Square Garden.
Durante la stagione a OKC i minuti in campo passati dal figlio di Arvydas erano 20.1, passati poi a 24.5 con l’arrivo in una squadra con meno star power come Indiana. Quello che impressione sul serio è il salto nella produzione di Sabonis tra lo scorso anno e il 2018-19, durante il quale i minuti sul parquet sono rimasti praticamente invariati (24.7 a partita).
Lo scorso anno i punti a partita erano 11.6 contro i 14.1 di questa stagione, i rimbalzi 7.7 contro 9.9, l’effective field goal percentage è passata dal 52% al 63% e sono aumentati anche i viaggi in lunetta, da 3.0 a 3.6. [via Basketball Reference].
Sabonis sta velocemente risalendo la graduatoria dei giocatori più migliorati in questo primo terzo di stagione, è andato 21 volte tra i 10 e i 19 punti, 2 volte tra i 20 e i 29 e una volta anche tra i 30 e 39 (career high da 30 punti il 31 Ottobre a New York, nel video sopra). Partendo dalla panchina, Sabonis non è andato in doppia cifra solo 6 volte, saltando solamente due partite sulle 32 giocate fino a questo momento dai Pacers.
Se continuasse con questo ritmo, non sarebbe totalmente out of this world pensare a una candidatura di Sabonis tanto per il MIP, anno scorso andato proprio al compagno di squadra/trade Victor Oladipo, quanto per il premio di Sixth Man of The Year.
Sabonis sta dominando ogni volta che scende in campo, è un mostro da fantabasket, ed è la più grande sorpresa di un’Indiana che nel momento in cui scrivo occupa il quarto posto della Eastern Conference con 20 vittorie e 12 sconfitte. Enough?
Nikola Vučević
di Jacopo Gramegna
All’inizio della stagione attualmente in corso erano almeno tre gli eventi che collocavano gli Orlando Magic sulla mappa delle franchigie interessanti: la firma di Aaron Gordon su un contratto quadriennale (a scendere) da 80 milioni di dollari, la riabilitazione fisica dello sfortunatissimo Jonathan Isaac e l’arrivo via Draft di Mo Bamba.
Se però i Magic siedono attualmente sull’ottavo scranno dell’Est e possono vantare una piuttosto credibile candidatura ai playoff -in una non irresistibile, va detto, Eastern Conference- non è per motivi direttamente riconducibili a nessuno dei tre avvenimenti appena menzionati: Aaron Gordon sta vivendo una stagione ondivaga, Jonathan Isaac ha mostrato delle notevoli difficoltà a trovare il proprio ruolo nella squadra anche complici alcuni ulteriori problemi fisici e Mo Bamba ha faticato enormemente a trovare con continuità il campo.
Se Bamba vede così poco il campo, però, non è solo a causa dei numerosi aspetti da limare nel suo gioco. Nel ruolo di centro titolare, infatti, Orlando schiera un Nikola Vučević entrato definitivamente nel suo prime che si candida prepotentemente al titolo di MIP di questa stagione. Non è un caso che la sua completa maturazione sia arrivata nell’annata che, secondo le aspettative degli addetti ai lavori, avrebbe dovuto inaugurare l’era dei così detti BIG Three.
Comunque è innegabile che siano piuttosto intriganti. (Credits to RealGM)
Il centro montenegrino ha, con ogni probabilità, riconosciuto la necessità di adattarsi per mantenere la propria centralità all’interno di una franchigia che sta pienamente abbracciando un’idea futurista della pallacanestro, incentrata sull’elettrizzante combinazione di wingspan e skillset come testimoniano le recenti scelte di Bamba e Isaac.
Già da anni assurto allo status di double-double machine, il centro montenegrino ha dovuto compiere un ulteriore step-up, portando la propria canestro al più alto livello di espressione in carriera per rivendicare la propria posizione nella lega: non tutto ciò deriva, chiaramente, dal più spassionato amore per il gioco ma strizza anche l’occhio alla prossima free-agency visto che il suo (ridicolo per i parametri attuali) contratto da 12.75 mln di dollari scadrà proprio nell’estate 2019.
A prescindere da quelli che possono esser stati i motivi che hanno fatto scattare in lui la voglia di migliorare in numerosi aspetti del suo gioco, il risultato può comunque essere definito come straordinario: Vooc sta vivendo per distacco la miglior stagione della sua quasi decennale carriera NBA non solo a livello statistico, ma anche a livello di letture individuali in funzione del collettivo dei Magic.
Oltre a far registrare dei career-high in quasi tutte le voci statistiche, il montenegrino si è confermato nell’elite della lega per produzione in post basso tanto a livello di volume (settimo in NBA per post-up giocati con 7.7 a gara), quanto dal punto di vista realizzativo (4.1 punti a partita su 3.7 conclusioni) che a livello di costruzione per i compagni (genera 0.7 assist a gara su 2.2 passaggi di uscita dal post, nella top 10 di questa speciale classifica). Dunque solo meno di un quarto della sua produzione per i compagni (3.7 assist) arriva da situazioni di post up: il motivo è presto spiegato.
Vučević è migliorato soprattutto nelle letture all’interno di situazioni dinamiche, nella capacità di riaprire la palla dopo essere stato coinvolto in veste di bloccante. Si può ammirare questa dote sia quando fa collassare la difesa con un roll, sia quando scelga invece di fare “pop”, riaprendosi sul perimetro e costringendo la difesa a contestare la sua conclusione: in questo modo si aprono importanti spazi per i compagni che Vooc sa punire con costrutto.
Un fondamentale sempre più importante nella pallacanestro moderna.
Anche quando non viene coinvolto come bloccante, la sua sola presenza sul perimetro porta fuori posizione i lunghi avversari che devono lasciare sguarnita l’area.
La somma di tutti i miglioramenti nel suo passing game porta inevitabilmente al suo career-high anche nell’assist percentage: un ragguardevolissimo 22.2.% che lo catapulta nella stratosfera dei lunghi passatori di questa lega. Chiaramente tutto ciò non sarebbe possibile se il prodotto di USC, oltre che mantenere la sua solidità nel pitturato, non stesse anche tirando con il 40.4% dal perimetro su più di tre tentativi a gara, una situazione che costringe le divese a doversi adeguare di corsa ogni qualvolta Orlando scelga di cavalcare il suo numero 9.
Posizionando nel corretto ordine tutti i tasselli aggiunti da Vučević, il quadro che ne risulta è davvero sorprendente: un incredibile mix di intelligenza, completezza e solidità tecnica. Alla luce di questi miglioramenti, il suo valore contrattuale sembra essersi notevolmente impennato: anche se non è il lungo più atletico, dinamico e difensivamente dominante della lega in tanti saranno certamente disposti a pagare un centro di questa completezza che ha appena raggiunto il suo prime.
Il suo season high contro i Lakers mostra una completa consapevolezza del proprio repertorio.
La prossima domanda che urge porsi è dunque: quanto può valere un giocatore simile all’interno della NBA moderna? La risposta è tutto fuorchè scontata. In ogni caso, il suo prossimo contratto sarà sicuramente ben più ricco di quello che sta per scadere. Quella su di lui è la domanda più urgente che Orlando è costretta a porsi.
Jerami Grant
Di Leonardo Flori
Gli Oklahoma City Thunder stanno costruendo la prima, vera solida stagione dalla partenza di Kevin Durant. Nel momento in cui scrivo sono secondi nella Western Conference con 20 vittorie e 10 sconfitte, una sola partita dietro ai Denver Nuggets.
Le ragioni del miglioramento di OKC sono state analizzate da molti, ritrovando spiegazioni in una migliore e diminuita selezione dei tiri da parte di Russell Westbrook, il miglior basket della carriera di Paul George e in generale la miglior difesa della lega, che sta portando i Thunder a diventare una schiacciasassi anche con i problemi offensivi derivanti da cattive spaziatura che ancora permangono.
OKC ha finalmente messo insieme il roster di uber-atleti in grado di ribaltare letteralmente gli avversari che Presti cercava di assemblare da anni, e il complemento perfetto del tutto lo aveva già in casa.
Jerami Grant sta vivendo la migliore stagione della carriera sotto tutte le voci statistiche principali – 30.4 minuti, 12.2 punti. 4.5 rimbalzi e 1.2 stoppate a partita – si è guadagnato un ormai inattaccabile posto in quintetto (che avrebbe meritato già dalla seconda metà della scorsa regular season, quano la squadra rendeva nettamente meglio con lui in campo al posto di Carmelo Anthony).
Grant fa da collante per tutta la difesa dei Thunder: Westbrook, quando ha voglia, prende le veci della point guard avversaria, George si occupa del miglior esterno avversario essendo nettamente il miglior difensore perimetrale della squadra, Adams si occupa della protezione del ferro e del pitturato, mentre Grant ha il compito di tappare tutti i buchi fra le varie zone della metà campo difensiva staccandosi, andando in aiuto e tornando in posizione in un amen grazie a un corpo e atletismo che vengono letteralmente da un altro pianeta, e rappresentano il tipo di versatilità che si sposa perfettamente con lo stile difensivo del basket moderno.
La porzione di spazio che Grant riesce a coprire è impressionante, copre allo stesso tempo il suo uomo e quello per cui sta andando in aiuto. Lo sfondamento preso contro Markkanen certifica anche un grande passo in avanti per quanto riguarda i fondamentali difensivi. (Via Jonathan Tjarks)
OKC ha il miglior difensive rating della lega con 101.7, dato portato dalla capacità della squadra di muoversi come un corpo solo nella propria metà campo e riuscire tutti a coprire le mancanze altrui – in questo senso, Grant rappresenta singolarmente quella che è l’impronta di tutto il gruppo, diventandone quasi il simbolo.
Oltre al grande contributo che sta portando alla squadra difensivamente, Grant sta offrendo a Donovan anche nuove opzioni per quello che riguarda l’altra metà campo.
Contro ogni previsione l’ex Philadelphia sta aiutando a spaziare il campo in un attacco che ha terribilmente bisogno di tiratori, e il 39% con cui stanno andando a segno le conclusioni da 3 punti su 3.1 tentativi a partita ne è una riprova più che netta. Se si estrapola il dato sulle conclusioni da 3 punti dall’angolo, le percentuali di Grant superano il 40%. Sfido chiunque a non ridere di fronte a una previsione del genere soltanto 3 mesi fa. Le cose in NBA cambiano a un ritmo dannatamente elevato.
Un’ulteriore utilizzo innovativo di Grant potrebbe arrivare in concomitanza con i playoff. Lo scorso anno i Thunder sono stati spazzati via dagli Utah Jazz sopratutto per l’incapacità di attaccare il ferro, vista la presenza di Rudy Gobert al centro dell’area a deviare ogni conclusione ravvicinata; con l’incapacità di George e Anthony di avere effetto sull’attacco, Westbrok e Adams non erano in grado di far allontanare il francese dal ferro e facevano esattamente il suo gioco, senza riuscire ad avere il minimo ritmo e scoprendosi alle folate di Donovan Mitchell.
Gran parte di questi problemi, per quanto faccia male al cuore a dirlo, vengono dalle limitazioni di Steven Adams nella metà campo offensiva. Per quanto importante sia nell’ecosistema Thunder, il centro neozelandese offre un range limitato di soluzioni a Donovan, non essendo in grado di andare a segno se non nelle immediate vicinanze del ferro.
Grant potrebbe essere un eccelso centro di un quintetto small ball, rendendo più dinamico un attacco guidato da una guardia con problemi al tiro (un unicum nella NBA moderna); con Grant da 5, OKC potrebbe correre di più e avrebbe la possibilità di posizionare il numero #9 sulla linea da 3 punti e aprire ulteriormente il campo proprio per Westbrook, che ne gioverebbe tornando a una situazione simile a quella dei tempi di Durant, in cui KD e Ibaka preoccupavano le difese avversarie tanto quanto bastava per lasciare autostrade al prodotto di UCLA.
Grant sta vivendo un tipo di miglioramento diverso da quello degli altri candidati al premio, non ha spiccate capacità offensive e un ceiling probabilmente inferiore (difficile che diventi qualcosa più di un role player, anche se ha solo 24 anni). I suoi miglioramenti, però, sono quelli che forse rischiano di incidere di più sui destini di una contender come i Thunder durante la postseason.
John Collins
di Jacopo Gramegna
Nell’anno zero dell’era Lloyd Pierce agli Atlanta Hawks, l’imperativo è uno solo: spazio ai ragazzi all’interno del proprio rookie contract. Oltre che per el matricole Trae Young, Omari Spellman e Kevin Huerter, dunque, un minutaggio cospicuo era già stato messo in preventivo per Taurean Prince e John Collins con l’obiettivo di cominciare a trarre indicazioni su quello che potranno rappresentare per il futuro della franchigia.
La valutazioni sui prodotti di Baylor e Wake Forest, però, ha subito non poche interruzioni: se il primo è fermo da diverse settimane a causa di un infortunio alla caviglia sinistra, il secondo ha dovuto iniziare la stagione in ritardo a causa di un’infiammazione nella medesima zona. Se il percorso di questi Hawks non è iniziato, dunque, nel più semplice dei modi, la franchigia della Georgia può comunque consolarsi con quanto mostrato dal proprio numero 20 nelle quindici gare che hanno seguito il rientro in campo.
L’ultima prestazione di Collins, tanto per gradire.
Se già nel corso della propria stagione da rookie aveva stupito numerosi addetti ai lavori non mostrando grandi difficoltà di adattamento alla NBA, ciò che impressiona di questo primo scampolo della sua sophomore season è stata la sua immediata accettazione del suo più importante ruolo in squadra. Già la scorsa Summer League aveva fornito qualche succulento indizio riguardo la sua self-confidence, ma aspettarsi un Collins così efficiente e migliorato al suo secondo anno, dopo un lungo stop come quello che ne ha compromesso l’inizio di stagione era tutto fuorchè scontato.
Le raw stats al momento restituiscono un’immagine già piuttosto eloquente della sua crescita: sta viaggiando con ben 8.1 punti, 2.2 rimbalzi e 1.1 assist al di sopra delle cifre fatte registrare lo scorso anno ma il suo vero miglioramento sta, con ogni probabilità, nell’aver già enormemente migliorato la sua capacità di variare le velocità su cui può modulare il proprio gioco.
Al suo primo anno l’ex Demon Deacon si è fatto notare l’enorme tasso di attività abbinato a un’ottima intelligenza spaziale e alla chiara impressione che ampliasse il proprio bagaglio tecnico di gara in gara.
Collins 1.0
Collins non ha perso queste caratteristiche ma ne ha affinato l’efficacia: oltre a essere nella top 5 della lega per ricezioni nel pitturato (10.8 a gara) e punti generati da tali situazioni (11.1 con il 73.3% di conversione), è anche salito esponenzialmente nell’influenza sulla propria squadra, basti pensare che in media effettua circa 68 tocchi a gara, un numero che lo pone a ridosso di alcuni dei giocatori più influenti della lega.
Il nativo di Layton, Utah resta sempre, costantemente, in movimento ma è già piuttosto avanti nella gestione del proprio corpo anche in situazioni di stress e spesso si affida anche alla pura improvvisazione: non a caso coach Pierce ha candidamente affermato di non chiamare mai un gioco per lui ma che sembra che tutti gli aspetti del gioco vadano nella direzione di Collins. Il numero 20 degli Hawks, adesso, riesce a risultare notevole non solo nei pressi del ferro in situazioni dinamiche ma anche in momenti di costruzione del gioco a metà campo: viene spesso coinvolto sugli handoff da parte dei compagni che lo usano sia come sponda che come passatore dal post alto e, quando viene coinvolto in un pick-and-roll, riesce sempre più spesso a trovare gli spazi intermedi per generare il massimo vantaggio per sé o per i compagni.
È stato proprio il ventunenne degli Hawks ad ammettere il proprio cambiamento di propensione verso il gioco:
“Io so come si gioca a basket, conosco come il gioco si sviluppa. Però mi accadeva tutto troppo velocemente. Volevo provare a vedere se ero in grado di rallentare e se, dipendentemente dal mio lavoro su alcuni dettagli, il ritmo si sarebbe abbassato.”
Ciò che rende prezioso Collins per la squadra è proprio il suo genuino mix tra dinamismo, propensione all’improvvisazione e collocazione in un contesto offensivamente democratico. Questa commistione spesso lo porta a cambiare idea in corso d’opera pur risultando comunque molto efficiente.
Tutto il meglio del “nuovo” John Collins in una gif.
Il primo canestro della sua gara da 29 punti ai Nets: quante volte ha cambiato idea della stessa azione?
A rispecchiare la sua notevole crescita nella capacità di lettura e di reazione arrivano anche alcuni dati statistici piuttosto interessanti: secondo le statistiche di Basketball-Reference la sua assist percentage è salita dall’8.9% dello scorso anno al 14.9% di quest’anno, mentre la sua turnover percentage è rimasta pressoché invariata (da 14.3 a 14.9). Non male per la diciannovesima pick del Draft 2017, anche considerato quello che è stato il suo grande balzo nello Usage (da 17.9 a 24.7).
Ciò che, invece, sembra non riuscire ancora a spiccare il volo nel suo gioco sono le percentuali da tre punti e la capacità di risultare un fattore difensivo, soprattutto nella Rim Protection. Per quanto riguarda l’efficacia perimetrale va registrato a un aumento da 0.6 a 2.2 triple tentate a gara ha fatto da contraltare un calo di circa dieci punti percentuali nel tiro pesante (da 34% a 24%), che però sembra fisiologico nell’adattamento alla nuova quantità di tiri tentati da parte di un tiratore non naturale come l’ala degli Hawks.
Ben più preoccupante è, invece, quell l’1.8% di block percentage che lo rende uno stoppatore trascurabile e che costringe Pierce a non poterlo schierare come unico lungo all’interno dei propri quintetti, affiancandolo dunque a Dewayne Dedmon che, invece, eccelle proprio nella rim protection.
Se Len viene portato sul mismatch contro un esterno, tu hai il sacrosanto obbligo di proteggere il tuo ferro.
Complici anche le dimensioni “normali” (208 cm di altezza, 211 di wingspan) del suo corpo che non gli consentono di essere dominante come centro in NBA malgrado un ottimo atletismo, Collins dovrà imparare a comprendere al meglio gli angoli e i tempi con cui portare un aiuto per scoprirsi uno stoppatore rispettabile. Non è detto che queste difficoltà giunte in un momento simile della sua crescita siano un male, anzi.
Chiaramente, anche a causa del pessimo record della sua franchigia, Collins non vanta molte possibilità di mettere le mani sul premio ma questo non può far passare in secondo piano l’interessantissima serie di migliorie che il sophomore di Atlanta mette in campo ogni sera. Magari, chissà, questa stagione sarà il viatico per una ancor più veemente candidatura a questo riconoscimento nella prossima stagione e a un ruolo sempre più da protagonista in una franchigia che, proponendosi di emulare i Golden State Warriors, nei prossimi anni vuole scalare l’Est.
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Sabonis jr.non vale nemmeno 1/10 del padre basta paragoni impossibili.