Sacramento, California, anno domini 2018.
Un talentuosissimo cecchino serbo di nome Bogdan Bogdanović sta vedendo lievitare le sue cifre e il suo status nella Lega più competitiva al mondo, esprimendo una pallacanestro degna della miglior scuola europea. Difficile, d’altronde, attendersi qualcosa di diverso da un giocatore cresciuto al fianco di Željko Obradović, guru di riferimento dell’Euroleague. Nei suoi primi due anni di permanenza presso il Fenerbahçe, ha mantenuto delle medie gravitanti attorno agli 11 punti di media, al 43% da due e al 36% da tre. L’anno della consacrazione a livello personale (14 punti di media, con il 56% da due e il 43% da tre) e di squadra è stato il suo terzo ed ultimo (2016/2017), coronato dalla vittoria nelle Final Four disputate presso la Sinan Erdem Dome di Istanbul. Il suo ruolo all’interno del super team guidato da Obradović era quello di indiscusso go to guy con licenza di uccidere nei momenti di maggior pathos. Rispettando le aspettative di coach, tifosi e compagni, nel match valido per il titolo il nativo di Belgrado ha elevato il proprio livello, chiudendo con 17 punti (top scorer del suo Fenerbahçe, assieme a Nikola Kalinic) ed una serie di giocate che più che a dei canestri assomigliavano a degli attacchi alla giugulare dei rivali (l’Olympiakos di Spanoulis).
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La chiamata al prossimo Draft NBA non poteva che venire di conseguenza. C’era solo da capire chi avrebbe avuto l’intelligenza e la lungimiranza di puntare su un giocatore con il suo bagaglio tecnico e la sua durezza mentale. Con uno scambio di scelte con Phoenix formalizzato durante lo svolgimento della cerimonia, i Sacramento Kings del connazionale Vlade Divac si sono aggiudicati i diritti sulle sue prestazioni, senza destare alcun clamore. Fa abbastanza specie leggere il nome dei Kings associato a due sostantivi come “intelligenza” e “lungimiranza”, eppure è esattamente ciò di cui si sta parlando in questa occasione. I dubbi degli addetti ai lavori erano, più che altro, dovuti alla scarsa esplosività ed alla mediocre velocità di base del nativo di Belgrado, due qualità a cui, di solito, si presta particolare attenzione nella fase pre-Draft. Divac, stranamente, è riuscito ad andare oltre questi pregiudizi fisici, credendo in una continuità di rendimento di Bogdan anche nella Lega degli unicorni. Piccolo OT: trattandosi pur sempre dei Kings, circa due anni dopo gli stessi rinunceranno a selezionare un ragazzino sloveno fresco di titolo di MVP della stagione regolare dell’Euroleague e delle Final Four, preferendogli la fisicità e lo status di Marvin Bagley III (che al momento però, va detto, è difficilmente giudicabile).
Il primo anno in Lega di Bogdan è stato sicuramente di buon livello, e gli ha permesso di affermarsi in qualità di equilibratore della franchigia californiana. La sua già considerevole esperienza a livello professionistico e la sua attitudine ad eseguire all’interno di un sistema strutturato gli sono sin da subito tornate utili nel contesto di una squadra giovane e “selvaggia”, come i Kings di coach Dave Joerger. A fronte di solide medie statistiche, in continuità con il suo rendimento europeo (11.8 punti con il 44% dal campo), ciò che più di tutto ha colpito gli operatori NBA è stata la sua capacità di gestire al meglio il ritmo offensivo della sua squadra e di fungere da playmaker secondario, al fianco dell’allora rookie De’Aaron Fox. La sua pur buona media assist (3.3 a partita, la seconda più alta in squadra dopo i 4.4 del suddetto Fox) non rende pieno merito alle sue doti da creatore di gioco occulto dei Kings.
In questa occasione, nonostante la presenza in campo di Fox, gli viene affidata la gestione del pick-and-roll. Risultato? Perfetta gestione di timing e spacing e due punti facili per Cauley-Stein
Diciamo che a Cauley-Stein sarebbero potuti capitare compagni di squadra peggiori
Coach Joerger, sin da subito innamoratosi di “Bogi”(come è affettuosamente chiamato dai suoi compagni), ha affermato di rivedere in lui quelle doti da vero uomo squadra che in precedenza aveva intravisto esclusivamente in Marc Gasol. Parallelamente a questo, sin dal suo primo anno, il nativo di Belgrado ha mostrato al mondo intero quello che è il pezzo pregiato del suo repertorio: un tiro mortifero, da qualsiasi posizione del campo ed in qualsiasi condizione, con la medesima efficacia sia in situazioni di spot-up che di creazione dal palleggio. Nella sua prima stagione, la sua percentuale da oltre l’arco si è attestata sul 39.2%, a fronte di 4.2 tentativi a partita e numerosi possessi complicati da dover gestire nel crunch time. Andando ad analizzarne anche la percentuale di True Shooting, ci si trova di fronte ad un più che dignitoso 55.6%, indice dell’accuratezza di ogni sua singola scelta offensiva.
A fine anno, a coronamento del suo lavoro, è arrivato l’annuncio del suo inserimento nel secondo quintetto dei migliori rookie della stagione, assieme a Lonzo Ball, Dennis Smith Jr, Josh Jackson e John Collins, con la netta sensazione che il percorso di crescita sarebbe proseguito senza indugi.
L’inizio di questa sua seconda stagione NBA non è stato dei più semplici, dovendo recuperare da una seconda operazione chirurgica al suo ginocchio sinistro (nell’arco di pochi mesi) e vedendosi costretto a saltare l’intera Preseason e ad assistere dalla panchina alle prime 10 partite di Regular Season dei suoi Kings. Dopo un paio di partite di ambientamento, necessarie per ritrovare la miglior condizione, Bogi ha iniziato a produrre una pallacanestro di altissimo livello, e non si è più fermato. Il suo esordio stagionale contro gli Spurs (22 punti con il 53% dal campo ed il 43% da tre, con vittoria dei Kings) è parso decisamente eloquente: il ragazzo di Belgrado è, ormai, un membro chiave di una squadra in lotta per gli ultimi posti Playoff nell’agguerrita Western Conference, e intende dimostrarlo notte dopo notte. Per quanto riguarda il suo “gene clutch”, quest’anno sembra aver ripreso da dove aveva lasciato (tra le altre, chiedere a Warriors e Grizzlies per conferma), avendo già collezionato il suo primo game winner stagionale in data 27 dicembre 2018 contro dei Lakers privi del loro Re (e forse per questa ragione ancor più agguerriti del solito).
Entrando nello specifico statistico, la crescita esponenziale dei suoi due compagni di backcourt De’Aaron Fox e Buddy Hield gli ha permesso di gestire qualche possesso in meno e colpire silenziosamente, permettendogli di elevare il proprio potenziale all’interno di un sistema più strutturato e con più talento complessivo rispetto allo scorso anno, dove gran parte del peso dell’attacco poggiava sulle spalle del veterano Zach Randolph.
Il suo Offensive Rating stagionale, al momento, è di 112.1, e, conseguentemente al fatto che sia più alto di quello dei suoi due compagni sopracitati, è sintomo della sua maggior efficienza se schierato al fianco di giocatori con una gestione media dei possessi maggiore della sua (come confermato dall’Usage Rate stagionale). Un notevole miglioramento si è sinora potuto osservare anche per quel che riguarda il suo Plus Minus medio, con un salto dal -4.6 del primo anno all’1.3 di queste sue prime partite stagionali; anche a livello di Net Rating si è registrata un’evoluzione positiva, essendo passati dal -8.4 della sua stagione da rookie all’attuale 2.4.
Ad impressionare particolarmente in questo suo inizio di stagione è la sua migliorata capacità di concludere nel pitturato avversario con entrambe le mani ed una cattiveria agonistica che lo scorso anno pareva appartenergli solo parzialmente. Quest’anno Bogi ha visto elevare la sua media di realizzazioni in area (da 3.3 a 5.4) e la sua percentuale media di conclusioni nella stessa zona di campo, passando dal 27.7% dello scorso anno al 35.1% di questa stagione.
Con il cronometro che viaggia pericolosamente verso lo zero, Bogi sfodera tutta la sua cattiveria agonistica attaccando con furbizia e decisione il pitturato, nonostante la presenza intimidatoria di Anthony Davis
La ciliegina sulla torta è il suo inaspettato miglioramento, a distanza di un anno, nella categoria statistica del Defensive Rating (da 110.6 a 107). Il merito va attribuito di sicuro alla crescita a livello di prestazioni e successi della sua squadra, ma anche alla sua maniacale cura di ogni aspetto del gioco (compreso quello difensivo). Perché è esattamente di questo che stiamo parlando: di un giocatore con un DNA vincente, capace di nascondersi nel sistema ed operare al suo interno senza creare alcun intoppo e capace, se necessario, di uscire dallo spartito ed improvvisare senza mai perdere in efficacia ed armoniosità.
In un universo NBA che, forse come mai prima d’ora, va riponendo la propria attenzione sul dualismo tra scuola collegiale americana e scuola europea, Bogdan Bogdanović si candida ad essere, nel presente e nel futuro, uno dei più fulgidi esempi in favore della superiorità della seconda.