NBA Worldwide è la nuova rubrica mensile targata nbareligion.com. Ogni puntata metterà sotto la lente un’area geografica più o meno estesa (paese o continente), nel tentativo di misurare, al di là dei numeri, l’impatto dei giocatori ‘internazionali’ su una lega che fa del claim Global Game uno dei propri punti di forza. Cercheremo di offrire di volta in volta e per ogni zona una panoramica d’insieme. L’obiettivo è quello di scovare progetti di sviluppo frutto di un’attenta programmazione – dalla formazione tecnica al recruiting – che garantiscono ad alcune realtà talenti sempre nuovi. Tracceremo una linea di continuità tra chi c’è stato e ha aperto la strada e chi invece sgomita per farsi largo col desiderio di emergere nei prossimi anni.
In questo episodio introduttivo analizzeremo a fondo la situazione del continente africano, mercato cui la lega guarda con grande interesse.
SULLA MAPPA
Nell’enciclopedico The Book of Basketball, Bill Simmons, penna fra le più brillanti del panorama cestistico, presenta (H)akeem Olajuwon come miglior esempio di quella che il giornalista Michael Gladwell chiama Outliers Theory (letteralmente “teoria delle eccezioni”). La riassumiamo qui per sommi capi: il talento è funzionale al successo di un individuo e rappresenta una condizione necessaria ma risulta di per sé non sufficiente se non si accompagna ad allenamento, eredità culturale, ambiente di crescita e tempismo.
La definizione di cui sopra fotografa al meglio la parabola agonistica del nativo di Lagos Nigeria. Eccezionale lo è stato, sotto svariati punti di vista, a prescindere dal pur rilevante titolo bis in back-to- back (1994 e 1995) e dall’altrettanto notevole incetta di premi individuali. Nel 1984, in un Draft ricco di What If, retroscena e prime volte – già ripercorso su queste pagine –, Olajuwon fu il primo africano a entrare nella NBA — per giunta da 1ª scelta assoluta, non esattamente in punta di piedi. A suo modo, scrisse una pagina di storia, incarnando di lì in avanti l’ambizione di milioni di ragazzi africani che sul suo esempio hanno cercato di inseguire un sogno. A pensarci bene, forse il soprannome “The Dream” non è del tutto casuale.
Non va dimenticato poi Dikembe Mutombo, attualmente ambasciatore NBA in Africa nonché primo Hall Of Famer dal continente (class 2015). Mutombo, secondo per stoppate ogni epoca dietro proprio a Olajuwon, vinse per quattro DPOY in carriera, diventando uno dei volti più conosciuti della NBA. Per descrivere il suo personaggio un gesto vale più di mille parole.
Una menzione d’onore anche per lo scomparso Manute Bol, considerato il giocatore più alto ad aver mai giocato in NBA, nonché l’unico ad aver chiuso la carriera con più stoppate (2086) che punti (1599) a referto. Il primogenito Bol Bol, freshman a Oregon, promette davvero bene. La sua stagione è arrivata al termine anzitempo per un problema al piede sinistro, ma ciò non gli ha impedito di guadagnarsi un posto nella sezione finale di questa rubrica.
SKILLS CHALLENGE
Basketball Without Borders, attivo con cadenza annuale dal 2001, è il programma di sviluppo della pallacanestro a livello globale nato dalla collaborazione tra NBA e FIBA. Per il continente africano l’appuntamento si ripete senza sosta dal 2003. 78 tra ragazzi e ragazze provenienti da 31 paesi hanno partecipato alla tre giorni del mese di agosto tenutasi a Johannesburg e culminata con la partita esibizione NBA Africa Game fra Team Africa e Team World alla Sun Arena di Pretoria.
A oggi complessivamente nove giocatori tra le migliaia di partecipanti al BWB camp ( Joel Embiid e Pascal Siakam per citarne un paio) sono riusciti a entrare in NBA dalla porta principale nel corso degli anni.
Nel mese di novembre a Saly, in Senegal, ha aperto i battenti la prima NBA Academy in territorio africano, parte di un progetto di ampio respiro che, in un paio d’anni, dall’ottobre 2016, ha portato all’inaugurazione di strutture analoghe in Australia, Cina, India e Messico. Il complesso consta di due campi indoor, un centro polifunzionale, una sala pesi e svariate sale conferenze, dormitori e centri educativi. Un grande passo in avanti accolto con soddisfazione e orgoglio da Amadou Gallo Fall, rappresentante dell’intero movimento in qualità di Vice Presidente e responsabile esecutivo di NBA Africa:
“Questa facility offrirà agli aspiranti giocatori da tutto il continente campi ed equipaggiamento d’allenamento di primissimo livello sotto la supervisione dei nostri coach NBA e di uno staff accademico d’élite.”
A Mr. Fall si deve anche la nascita di SEED Project (Sports for Education and Economic Development), organizzazione no-profit operante dal 1998 in Senegal, Gambia e Stati Uniti. Nata da un idea dell’allora Director of Player Personnel dei Dallas Mavericks, è riconosciuta come prima accademia per studenti atleti in Africa. Fu SEED, ad esempio, a scovare il talento di Gorgui Dieng, passato per l’evento BWB di cui sopra nel 2009 e affermatosi poi al college con la maglia di Louisville, con cui vinse il titolo NCAA nel 2013. Il giocatore dei T’Wolves torna ogni anno in Senegal, a Kebemer, dove si tiene il suo camp estivo.
Dopo essere stato nominato direttore di Basketball Without Borders Masai Ujiri fondò nel 2003 la più nota Giants of Africa. GOA è un’altra organizzazione senza scopo di lucro che si impegna a fondo nel recruiting di giovani promesse, a oggi già attivo in sei diversi paesi: Ghana, Nigeria, Kenya, Ruanda, Senegal e Botswana. Un film sul tema, curato dal regista Oscar nominee Hubert Davis, è stato presentato in occasione del Toronto International Film Festival del 2016
Il General Manager dei Toronto Raptors ha sempre rivendicato con fierezza le proprie origini e, ora che si trova in una posizione privilegiata, sente il dovere morale di restituire e insegnare qualcosa, non solo a parole, ma sopratutto con i fatti. L’edizione 2018 del camp si è svolta a Kigali in Ruanda, alla presenza di Sua Eccellenza Paul Kagame, dal 2000 a capo del Paese. Una figura di spessore, capace di lasciare il segno anche con poche, semplici dichiarazioni di commiato. Nei mesi scorsi i responsabili hanno inoltre lavorato per la messa a punto di “Ball Park”, una piattaforma di condivisione che possa mettere in contatto centinaia di ragazzi che hanno preso parte al camp nelle varie edizioni.
Chiudiamo la carrellata citando Dankind Academy, iniziativa umanitaria che interessa l’Africa orientale e nata precisamente nel Sud Sudan, realtà geopolitica tra le più tormentate dell’intero continente (che ha dato i natali al già citato Manute Bol e a Loul Deng). Anche in questo caso ai giovani viene garantito vitto e alloggio con la possibilità di affinare le doti cestistiche senza tralasciare, per questo, il versante educativo: i programmi formativi, non a caso, sono in linea con i criteri di ‘eleggibilà’ richiesti dalla NCAA e sono previsti corsi di perfezionamento in lingua inglese.
WHO’ S NEXT?
Selezionare i profili per la sezione conclusiva, a maggior ragione con uno campo d’analisi così vasto dal quale poter pescare a piene mani, non è affatto facile. Ne presentiamo di seguito due, più o meno noti, destinati prima o poi al grande salto.
In appena nove partite nella prima e verosimilmente unica stagione al college, Bol Bol ha messo in mostra tutto il proprio talento sui due lati del campo. Se non fosse per il solito plotone in uscita da Durham e per il recente problema al piede, da trattare con cautela visti i precedenti, staremmo probabilmente parlando della prima scelta assoluta al prossimo Draft NBA. Il figlio d’arte, MVP della Nike Élite Youth Basketball League nel 2017 (qui il testa a testa con Marvin Bagley), aveva fatto drizzare le antenne a diversi osservatori in uscita dalla High School. Prima che la sua preferenza ricadesse su Oregon, fu a lungo in cima alla lista di college dal grande blasone, Kentucky su tutti.
Ha scelto i Ducks per un motivo molto semplice:
“Coach Stubblefield, assistente a Oregon, ha avuto un approccio sincero con me. Non ha nascosto la difficoltà che un programma come il loro affronta nella corsa ai prospetti top se contrapposto alla concorrenza di Duke e, anzi, mi ha illustrato il piano di lavoro su di me.”
Ossessionato dalle calzature sportive, Bol Bol non poteva certo restare indifferente di fronte all’immensa dotazione della Phil Knight Room dell’ateneo.
Difficile trovare per lui un metro di paragone, anche tra gli addetti ai lavori, che spaziano dall’etichetta di “Durant dei poveri” a quella di “giovane Porzingis”. Dana Altman, coach dei Ducks, ha parlato di lui in questi termini:
”Intrigante. Molto dipende dal livello di aspettative nei suoi confronti. Per me è un ragazzo di 218 centimetri, con grande tocco, che può far male dal perimetro e sporcare tiri al ferro.”
Situazione di transizione: Bol Bol avanza a suo ritmo, la difesa se lo perde sul perimetro e viene punita.
Ragionando in ottica NBA, resta del lavoro da fare soprattutto sul piano fisico per aggiungere chili e massa muscolare che gli permettano di tener testa ai pari ruolo anche tra i pro.
Amar Sylla, classe 2001 da Dakar (Senegal), è il prospetto che chiude il cerchio di questo primo episodio. Membro di SEED Academy, ha partecipato al camp di Dieng prima di lasciare il paese natale e giungere in Spagna nel 2015, per giocare nella cantera del Real Madrid. Il 2018 è stato un anno importante su tutti i fronti. A giugno ha impressionato gli addetti ai lavori per la solidità mostrata in quel di Treviso in occasione Global Camp organizzato da Adidas e appena un paio di mesi più tardi ha preso parte al BWB Global di Los Angeles. Non sono mancate le opportunità per mettersi in mostra anche in campo internazionale in occasione di AfroBasket U18. Protagonista sin dal round di qualificazione al torneo, ha guidato la rappresentativa senegalese fino alla finale della manifestazione (persa contro il Mali) Sylla ha mandato in archivio la rassegna continentale di categoria con un crescendo di prestazioni e sfiorando la doppia doppia di media.
Esplosività da vendere e pulizia di gioco già notevole, attacco e difesa.