Primo Piano

Quindi, cosa è successo in questo mercato NBA?

Con oltre 20 trade completate, la NBA ha rimodellato la sua faccia nel corso di quest’ultima trade deadline, una delle più movimentate degli ultimi anni. Ore frenetiche, che hanno aperto ulteriori questioni in vista degli ultimi due mesi di regular season. Chi si è rinforzato, chi ha iniziato a pensare al futuro? Facciamo un po’ di chiarezza.

 

Partiamo da Davis

L’attenzione di tutta la lega era rivolta in Louisiana. Dopo aver comunicato la sua decisione di non firmare l’estensione la prossima estate e la volontà di essere ceduto, Anthony Davis ha dominato la discussione delle ultime due settimane di mercato. Parte? Resta? Riusciranno i Lakers a far valere la loro volontà? È finita in un nulla di fatto, almeno momentaneamente, con i Pelicans che hanno preferito rimandare la scomoda questione alla prossima estate, dove presumibilmente si scatenerà una vera e propria asta al rialzo, visto che potranno parteciparvi anche i Celtics (per i motivi che, dopo 14 giorni, vi siete sentiti ripetere allo sfinimento e non avete bisogno che ricordi nuovamente). È stata la decisione giusta? Difficile dirlo adesso, soprattutto senza le controprove necessarie. Dare per scontato che le offerte recapitate ai Pelicans dai Lakers fossero le migliori disponibili è un po’ ingenuo, senza sapere quelle delle altre acquirenti, così come è ingenuo pensare che quelle stesse offerte non saranno più sul piatto tra 4 mesi.

Nessuno dei “giovani Lakers” sembra indispensabile al progetto futuro di Magic e Pelinka (Maginka da qui in avanti), così come nessuno appare essere indispensabile per LeBron James, che grazie all’amico e agente Rich Paul (col quale condivide l’agenzia Klutch Sports, guarda caso la stessa che rappresenta Davis) ha tirato i fili da dietro le quinte per tutto il tempo. A differenza di come avevano gestito i casi Paul George e Kawhi Leonard, i Maginka avevano alzato nettamente il tiro dell’offerta, cercando di far capitolare New Orleans, ma non è comunque servito. Per tanto, sento il bisogno di spezzare una lancia a favore di Dell Demps. Il General Manager dei Pelicans è forse il reale motivo per cui la franchigia si trova in questa situazione, non essendo riuscito in sette anni a mettere attorno a Davis un contesto sufficiente per convivere l’All-Star a sposare il progetto a lungo termine. Ma in questi ultimi due mesi ha giocato bene le sue carte, prima non facendosi prendere dal panico sacrificando preziosi asset futuri nel tentativo di migliorare una squadra che non funzionava e poi non avendo affrettato una decisione che ha nettamente più senso prendere in estate. Certo, questo porta rischi e svantaggi. Come più volte ripetuto dallo stesso Davis, il suo piano è quello di scendere in campo da qui alla fine della stagione regolare, alzando il rischio di un infortunio che potrebbe comprometterne il valore tra pochi mesi; allo stesso tempo vivere così tanto tempo in una situazione così paradossale potrebbe non giovare alla salute di una franchigia già molto fragile di suo. Ma non c’erano strade in discesa: i Pelicans si ritrovano in una situazione potenzialmente devastante, costretti a separarsi dal loro franchise player all’apice della sua carriera, nonché (forse) l’unico motivo che li teneva ancorati ad una comunità che non li ha mai amati tanto quanto i beniamini del football (in Louisiana si tifa Saints!)

Credits to For The Win – USA Today

La prossima estate i Lakers dovranno vedersela con la concorrenza, con i Celtics che sembrano avere ad oggi le carte per poter ribaltare il banco. Boston è rimasta a guardare in questa sessione di mercato, mantenendo l’atteggiamento positivo e fiducioso di chi sa di appartenere a una della più storiche realtà dello sport americano. In verità qualche motivo di preoccupazione dovrebbero averla. Dopo aver giurato fedeltà lo scorso agosto, Kyrie Irving ha fatto un mezzo dietro-front, affermando di voler decidere del suo futuro la prossima estate (dove uscirà dal suo contratto, diventando free agent) senza dover rendere di conto a nessuno se non a se stesso. L’interesse dei Knicks è reale ― e dopo la trade che ha portato Porzingis a Dallas anche concreto, visto che New York avrà lo spazio per firmare due free agent al massimo salariale ― così come sono preoccupanti le voci del riavvicinamento con LeBron. Al tempo stesso la grande stagione dei Kings e quella deludente dei Grizzlies potrebbero ridurre drasticamente il potenziale del loro arsenale di scelte future, con anche i Clippers che sembrano intenzionati a complicare i piani dei bianco-verdi [[vedi sotto]].

Danny Ainge potrà comunque costruire un’offerta significativa attorno a Brown, Rozier (seppur la sua restricted-free agency potrebbe complicare le cose), Horford e soprattutto Jayson Tatum, la vera blue chip che i Celtics potrebbe decidere di inserire per far saltare il banco. A 20 d’età, Tatum è uno dei prospetti più affascinanti della lega (e nettamente il miglior giocatore su cui ricostruire una franchigia, compresi anche quelli dei Lakers) e i Pelicans potrebbero aver aspettato anche e soprattutto per lui. Ma Boston avrà davvero voglia di separarsi da lui ― data soprattutto l’incertezza sul futuro di Davis, che sarà comunque libero di decidere del suo destino appena un anno più tardi, nell’estate del 2020? Difficile dirlo ora, anche se personalmente trovo improbabile che i Celtics decidano di cedere il loro asset più prezioso senza ampie garanzie.

Credits to NBAReligion

 

La forza dell’Est

Decisione rimandata all’estate, anche perché Boston adesso ha tutt’altro a cui pensare. Il futuro di Kyrie Irving potrebbe essere legato a quello delle fortune della squadra nei prossimi playoff. Arrivare nuovamente alle finali di conference, o anche meglio alle Finals, potrebbe convincere Irving a non tirare brutti scherzi e legarsi a lungo termine con i Celtics (creando un’assicurazione importante anche per convincere Davis a sposare il progetto di Ainge), ma la strada sembra essere tutt’altro che semplice. Nonostante la partenza di LeBron James verso Ovest, l’Est può vantare squadre eccezionali come Milwaukee, Toronto e Philadelphia, tutte molto attive negli ultimi giorni di mercato. I Sixers hanno gettato completamente via la maschera rivelando le loro reali intenzioni quando, nella mattinata di mercoledì, hanno portato a termine la trade che li ha visti portarsi a casa Tobias Harris (più Mike Scott e Boban Marjanovic) dai Clippers. Harris è alla sua migliore stagione in carriera, con il massimo di 20.9 punti e 7.9 rimbalzi tirando col 43% da tre punti. Le sue qualità offensive sono d’élite da oltre un anno e gli hanno quasi valso una chiamata per l’All-Star Game in una Western Conference stra-carica di talento.

Credits to For The Win – USA Today

Tra i giocatori ad aver giocato almeno 200 possessi offensivi, Harris è undicesimo per punti come ball handler del pick-and-roll, nono per punti da situazioni di spot-up, settimo per quelli in isolamento. Un’arma offensiva letale in grado di sposarsi perfettamente con Embiid, di alzare ulteriormente la fisicità di un quintetto già enorme e difensivamente dominante vista la presenza di Butler e Ben Simmons e in grado di migliorare le spaziature offensive. Sulla carta sembra il fit perfetto, anche se poi far funzionare quattro giocatori di quel calibro non sarà un compito facile (così come non sarà facile tenerli tutti la prossima estate, quando sia Butler che Harris chiameranno contratti sulla soglia del massimo salariale). La potenza di fuoco del quintetto di coach Brown rischia di diventare devastante, mentre le aggiunte di Ennis e Jonathon Simmons arricchiscono una rotazione finora troppo corta ― con il secondo che è arrivato da Orlando in cambio di Markelle Fultz, in quella che anche simbolicamente è la trade che sancisce definitivamente la fine del Process. I Sixers adesso devono “credere” nel presente.

(Anche per quanto riguarda i Clippers le intenzioni sono molto chiare e ne ho parlato ampiamente qui. Ok, continuiamo con l’Est)

Raptors e Bucks hanno risposto presente alla mossa di Philadelphia. Masaj Ujiri non ha saputo resistere ai saldi dei Grizzlies, mettendo le mani su Marc Gasol per la miseria di Valanciunas, Delon Wright, CJ Miles e una seconda scelta nel 2024. In realtà è un prezzo onesto: Gasol ha 34 anni e nel corso delle ultime due stagioni ha avuto momenti altalenanti, anche se non aiutato dal contesto di una Memphis davvero deludente. Il centro catalano però resta un giocatore di una classe e un’intelligenza unica, un upgrade terrificante di Valanciunas, in grado di difendere da maestro nel pitturato e in post basso. La sua capacità di passare il pallone dal gomito potrebbe aggiungere un’ulteriore freccia all’arco offensivo dei Raptors, così come la sua vasta gamma di movimenti spalle e fronte canestro. Coach Nurse avrà due mesi per trovare la giusta chimica (lui e Ibaka insieme in quintetto? Lui da centro e Ibaka dalla panchina?) ma i Raptors hanno migliorato ulteriormente il loro roster senza andare a intaccare i giovani in chiave futuro (Siakam, VanVleet e Anunoby).

Fun Fact: per la prima volta da quando i Grizzlies sono arrivati a Memphis nel 2001 non ci sarà un Gasol a roster. (Credits to OregonLive.com)

Stesso discorso per i Bucks, che hanno portato a casa Nikola Mirotic in cambio di Jason Smith, Stanley Johnson e 4 seconde scelte (Denver 2019, Bucks 2020, Wizards 2020 e 2021). L’aggiunta di Mirotic, oltre ad allungare le rotazioni di coach Budenholzer, permette ai Bucks di aggiungere un’ulteriore arma perimetrale in grado di aprire l’area alle penetrazioni di Antetokounmpo. Oltre ad essere un difensore discreto, come dimostrato negli scorsi playoff con la maglia dei Pelicans, Mirotic è una Power Forward mobile, in grado di giocare sul perimetro e di sposarsi bene nei quintetti con Giannis da 5 nominale. Con Brook Lopez, Ilyasova e adesso l’ex Pelicans, Milwaukee ha a disposizione un reparto lunghi di tutto rispetto, con il General Manager Jon Horst che è stato formidabile nell’aumentare la profondità del roster senza intaccare troppo il patrimonio della franchigia. Nonostante le tante decisioni delicate da prendere nella prossima free agency (quattro quinti del quintetto titolare sono in scadenza), Milwaukee finora è stata una macchina da guerra, abbinando al quarto miglior attacco anche la miglior difesa della lega (+9.9 di Net Rating!) e marcia spedita verso quelli che saranno i playoff più esaltanti della sua storia recente.

 

L’immobilismo dell’Ovest

Le semifinali della Eastern Conference si preannunciano scintillanti e tutti hanno voluto fare il possibile per farsi trovare preparati. Discorso diverso invece ad Ovest, dove le aspettative sono state deluse da una mentalità molto più conservativa di quanto fosse lecito aspettarsi. Lo spauracchio dei Warriors forse è ancora troppo forte per dare alle franchigie la volontà di rischiare colpi pesanti, nonostante per la prima volta dopo anni la strada per le finali di conference sembra essere più aperta (a patto di non trovare Golden State nei primi due turni). Portland si è accontentata di Rodney Hood, Houston di Shumpert ― anche se ha operato per tornare sotto la soglia della luxury tax, aprendo contemporaneamente spazio per tentare i giocatori che opteranno per il buyout. Gli Spurs storicamente sono molto riluttanti a muoversi a stagione in corso ma avrebbe potuto usare il contratto di Pau Gasol per rinfoltire il reparto delle forward, mentre i Jazz sono rimasti immobili nonostante i tanti rumors riguardanti Mike Conley. I Grizzlies non hanno ricevuto offerte all’altezza (anche se la sua partenza sembra solo rimandata di quattro mesi), ma Utah avrebbe potuto fare qualcosa di più per migliore un roster già molto competitivo.

Harrison Barnes è stato ceduto mentre era in campo con i Mavericks, sapendolo solo sul finire del terzo quarto della partita contro Charlotte (Credits to BasketUniverso)

Chi ha deciso di muoversi invece è Sacramento, che in piena corsa per i playoff (chi l’avrebbe mai detto eh?) si sono portati a casa Burks da Cleveland e soprattutto Harrison Barnes dai Mavericks, in cambio di Zach Randolph e Justin Jackson. I piani di Dallas sono cambiati notevolmente dopo l’arrivo di Porzingis e Cuban ha preferito riguadagnare circa 30 milioni di spazio salariale in vista della prossima sessione di mercato invece di scommettere ancora sul Black Falcon. Sacramento ha messo le mani sull’esterno multidimensionale che mancava a questo roster, perfetto sia per sposarsi con Fox-Hield-Bogdanovic che per giocare con i lunghi (Cauley-Stein/Bagley/Giles). La sua player option da oltre 25 milioni potrebbe non essere esercitata nella prossima stagione, con il GM Vlade Divac che vorrebbe ristrutturare il suo contratto su base pluriennale. I costi saranno interessanti da tenere d’occhio, ma i Kings hanno spazio salariale e poche chance di arrivare ai free agent di prima fascia: tenersi Barnes per i prossimi tre o quattro anni non andrebbe comunque ad intaccare la linea temporale delle stelle Fox e Bagley, permettendo al tempo stesso di Joerger di avere una squadra ancora più competitiva. È difficile pensare che Sacramento riesca effettivamente a centrare i playoff, ma indipendentemente da tutto il lavoro di Divac si sta rivelando di buon livello e già questo basta per adesso (no, seriamente, chi l’avrebbe mai detto??)

 

Riorganizzare il futuro

Anche i Bulls vivono una situazione simile a quella dei Kings, finanziariamente. I tanti soldi a disposizione non serviranno ad attrarre le stelle, cosa che ha portato il front office di Chicago a prendersi Otto Porter. Arrivato in cambio di Jabari Parker e Bobby Portis (più una seconda scelta 2023) potrebbe rivelarsi davvero un’occasione, nonostante il suo contratto dica 27 milioni l’anno prossimo e 28.5, in player option, quello seguente. I Bulls non sembravano intenzionati a confermare Portis visto che negli ultimi due draft sono arrivati Lauri Markkanen e Wendell Carter Jr, mentre Jabari Parker viveva da separato in casa ormai da mesi e sarebbe stato molto probabilmente tagliato a fine stagione. Porter sta vivendo il peggior momento della sua carriera, ma le sue dimensioni fisiche e la sua multi-dimensionalità difensiva sono un bel fit da affiancare a Markkanen-Carter Jr, così come la sua dimensione perimetrale (37% quest’anno, dopo aver tirato con oltre il 43.5% nelle scorse due stagioni) potrebbe essere fondamentale per una squadra che vuole schierare contemporaneamente Kris Dunn e Zach LaVine.

Credits to Sporting News

Per quanto riguarda i Wizards si tratta dell’ennesimo mezzo disastro. L’infortunio di Wall, che rischia di saltare anche tutta la prossima stagione, ha obbligato la franchigia a rivedere i suoi (curiosi) piani. Dopo averlo considerato incedibile per mesi, Washington ha deciso di separarsi da quello che a tutti gli effetti era uno degli unici due asset rimasti per due contratti in scadenza, che o non verranno confermati o rischiano di costare soldi pericolosi. I Wizards hanno dovuto privarsi di tutte le loro seconde scelte fino al 2023 pur di scendere sotto la luxury tax, impossibile da affrontare per una squadra così mediocre, oltre a scaricare il contratto di Morris (a New Orleans) e a rinnegare in meno di un mese e mezzo la mossa “win now” di cedere Oubre, un giovane, per Ariza, un veterano in scadenza. Bradley Beal resta una gemma rara e nonostante tutto la bassa classifica della Eastern Conference è così soft da permettere anche qualche speranza di buon posizionamento. Ma sembra davvero un’impresa continuare a galleggiare in questo mare di mediocrità e se tra due anni Beal dovesse decidere di abbandonare la nave per porti più sicuri non occorrerà gridare allo scandalo.

Parlando della bassa griglia ad Est: Charlotte, Miami e Detroit restano tutte in corsa nonostante un mercato deludente. Gli Hornets non hanno trovato niente di interessante da affiancare a Kemba Walker, mentre Detroit ha ridotto ulteriormente una rotazione risicata cedendo Reggie Bullock e Johnson. Quantomeno gli Heat hanno trovato il modo di rientrare sotto la tassa di lusso, cedendo Tyler Johnson e Ellington a Phoenix in cambio di Ryan Anderson. W la mediocrità.

I Nets sono rimasti fermi confidando nel loro roster e nella loro crescita per provare il colpo grosso l’estate prossima, mentre è da lodare il lavoro di Kobe Altman, che nella stagione post-LeBron quantomeno sta rimpinguando il patrimonio di scelte future (ben 7 arrivate dai contratti in scadenza di Korver, Burks, Hood e Hill).

Per tutte le altre ci sarà ancora il mercato dei buyout, che potrebbe aggiungere l’ultimo tassello in vista della corsa finale, che da adesso entra definitivamente nel vivo dell’azione. Dopo settimane frenetiche, passate a scrollare twitter in cerca delle #WOJBOMB finalmente si torna a concentrarsi sul campo. Saranno mesi fondamentali per il futuro della NBA: tra playoff, draft (Zion!) e free agency stiamo andando in contro a uno dei periodi più importanti degli ultimi anni. Puntate le sveglie e guardate di non perdervelo!

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Pubblicato da
Niccolò Scarpelli

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