Nuovo appuntamento con NBA Worldwide, la rubrica che torna ogni mese per far cambiare costantemente idea a Mark Cuban.
Dopo aver presentato una panoramica sul continente africano nel primo episodio, da Johannesburg, sede del Basketball Without Borders Africa 2018, spostiamo i riflettori appena oltre il confine statunitense per analizzare nel dettaglio l’interessante evoluzione della pallacanestro canadese. Proprio in Canada, nel 1946, si giocò la partita inaugurale della BAA, antenata dell’odierna NBA: protagonisti dell’incontro i sempiterni New York Knicks e i padroni di casa di Toronto. In quell’occasione debuttò, tra gli altri, l’italo-canadese Hank Biasatti, considerato a tutti gli effetti il primo giocatore internazionale della NBA.
Gli allora Huskies si sciolsero però all’alba della stagione seguente e per vedere non una ma ben due squadre dal bianco nord dovettero passare quasi cinquant’anni.
Il paese, più che mai coinvolto nelle logiche commerciali dell’Association, non solo e non tanto per la prossimità geografica, offre alla lega il bacino più ampio di giocatori ‘international’ e la tendenza sembra destinata a consolidarsi in futuro.
SULLA MAPPA
Dal 1983 a oggi, dati NBA alla mano, sono stati 27 i giocatori canadesi scelti al Draft. Il primo a fare il grande salto fu, nell’edizione citata, Leo Rautins (17ª chiamata assoluta dei Philadelphia 76ers). Se sapete destreggiarvi nel passato della pallacanestro nostrana, il suo nome dovrebbe suonare piuttosto familiare: era infatti a roster tra le fila della Banco di Roma Virtus che vinse la Coppa Korac nel 1985-86 nel derby tricolore contro Caserta.
L’attuale opinionista tv per The Sports Network, canale tematico leader di settore, ha seguito da vicino e con un ruolo preminente l’evoluzione dell’intero movimento cestistico canadese, avendo allenato la nazionale maggiore dal 2005 al 2011. Da giocatore esordì con la selezione a diciassette anni, un record di precocità che resistette fino al 2009 quando, passato al ruolo di guida tecnica dalla panchina, fece debuttare il promettente Kevin Pangos durante una serie di ‘amichevoli’ giocate in Italia.
In un passaggio della biografia del playmaker ora in forza al Barcellona, Rautins racconta nel dettaglio:
“Lo convocammo al camp per abituarlo ad allenamenti e competizione a livello pro. Si dimostrò pronto, senza mai tirarsi indietro […] Se non fosse stato per la lettera d’intenti e l’impegno preso con Gonzaga a partire dall’autunno, avrebbe fatto parte del gruppo.”
Steve Nash, da sempre modello di riferimento per Pangos e non solo per l’affinità di ruolo, la nazionale l’aveva lasciata qualche anno prima, a seguito della mancata qualificazione alle Olimpiadi di Atene 2004. Sul campo, con la maglia bianco-rossa sulla schiena, ha vissuto per sua stessa ammissione l’esperienza più bella della carriera.
Il testimone ora è passato di mano, come quella torcia che portò da fiero tedoforo nella staffetta alla cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici di Vancouver 2010, ma la fiamma è più viva che mai e la legacy del fresco Hall of Famer continua a ispirare le nuove generazioni.
Il contributo al progetto federale continua in altra veste. Quando nel 2012 il due volte MVP NBA venne nominato GM di Team Canada, l’allora presidente e CEO Wayne Parrish lo definì “uno dei momenti più importanti per la storia di questo sport nel paese dal giorno in in cui James Naismith inventò il gioco”.
Doveroso dunque, in chiusura, un tributo anche al ‘padre’ della pallacanestro. In patria, la sua storia – ripercorsa su queste pagine – ha ispirato omaggi trasversali: il caso più curioso riguarda tale Stephen Overbury, gestore di Otter Creek Animal Sanctuary, oasi animale situata in un piccolo comune dell’Ontario. Affascinato dal personaggio – di cui conserva alcuni memorabilia –, Overbury ha deciso di ribattezzare con lo stesso nome, James Naismith, una delle mucche della sua tenuta. L’animale necessita ora di cure speciali e il sacrificio dei cimeli appare tanto doloroso quanto inevitabile.
SKILLS CHALLENGE
Nel 2003, la federazione canadese presentò il piano di sviluppo “2020, a World Leader in Basketball”, mettendo sin da subito in chiaro la propria missione. La soglia temporale fissata si avvicina ed è tempo di tracciare un bilancio, proprio nell’anno in cui viene istituita la Canada Elite Basketball League (CEBL), prima lega professionistica di pallacanestro – riconosciuta dalla FIBA – nel paese. A partire da maggio saranno sei le squadre coinvolte, stagione regolare da venti partite e fase finale nel mese di agosto.
La crescita del movimento basket nel suo complesso è certificata dall’aumento in termini numerici dei giovani praticanti (da 3-17 anni) a un ritmo sempre più sostenuto, dato emerso da una ricerca condotta nel 2014 da Solutions Research Group.
A livello giovanile, la pallacanestro trova sempre nuova linfa nella Canadian Youth Basketball League, nella quale competono formazioni del programma Amateur Athletic Union (AAU). Una menzione particolare per CIA Bounce, realtà dell’area metropolitana di Toronto. L’annuale Exposure Camp è la rampa di lancio di futuri prospetti NBA (da Andrew Wiggins a Jamal Murray). Nato dalla fusione tra due club rivali – Christians in Action e Blue Devil Bounce – è a oggi una delle due rappresentative canadesi inserite nella Nike Élite Youth Basketball League, accanto a UPlay Canada. Di quest’ultimo progetto, nato nel 2007 e supportato ora proprio dal marchio dello Swoosh e da Tristan Thompson, ha fatto parte Shai Gilgeous Alexander. L’ex Kentucky si sta ritagliando un ruolo preciso nel roster dei Los Angeles Clippers rivoluzionato dalla recente Deadline.
La presenza di una franchigia NBA in loco dà senza dubbio una grossa mano nella promozione di iniziative a trecentosessanta gradi. L’organizzazione Raptors è impegnata anche economicamente per lo sviluppo dello sport all’interno della comunità locale: il programma Welcome Toronto, in partnership con il rapper Drake, prevede donazioni per un totale di $3 milioni di dollari a sostegno sia della ricostruzione di playground sia della federazione stessa.
Citiamo infine il BioSteel All-Canadian Game e Signature All-Canadian Showcase, vetrine analoghe al McDonald’s All-American che mettono a confronto i migliori talenti della nazione. A due tra i partecipanti delle varie edizioni diamo spazio nella sezione conclusiva della nostra rubrica.
WHO’S NEXT
L’approdo di RJ Barrett a Duke è stato il coronamento di una delle campagne di recruiting più sorprendenti della storia recente del college basket. Per il terzo anno consecutivo il prospetto #1 in uscita dalla high-school si è accasato a Durham e non è un caso che il programma guidato da coach Mike Kryzewski abbia scelto nello specifico il Canada come meta del proprio tour di preparazione estivo oltre confine, una possibilità che la NCAA concede agli atenei una volta ogni quattro anni. Un lustro dopo Andrew Wiggins al Draft 2014, il paese potrebbe tornare ad avere la 1ª scelta assoluta.
RJ, figlio d’arte, ha come padrino proprio Steve Nash. L’ex Suns con Rowan Barrett Sr. ha condiviso l’esperienza olimpica in quel di Sidney, ultima partecipazione ai Giochi della nazionale maschile. Sin dall’infanzia, vissuta perlopiù in Francia a seguito del padre giocatore (visto anche a Cantù nel 2005-06), Barrett ha posto l’asticella dei traguardi personali molto in alto:
“Mi resi conto di voler prendere la pallacanestro sul serio a 11, 12 anni. Fu allora che cominciai ad annotare i miei sogni e obiettivi su una lavagna nella mia stanza.”
Il passaggio alla rinomata Montverde Academy nel 2015 dopo un solo anno a St. Marcellius HS ha dato una forte accelerata alla sua carriera. I sacrifici, non ultimo l’addio alla famiglia e al paese natale, lo hanno temprato e preparato al successo. Un viaggio che Barrett racconta in questi termini:
” È lo stesso percorso intrapreso da Andrew Wiggins e da altri prima di lui […] Volevo trovarmi al livello più alto possibile, ragion per cui è stata una scelta piuttosto semplice. Tutto sta andando per il meglio.”
La stagione chiusa a 27 punti di media gli è valsa il titolo di Naismith High School Player of the Year, riconoscimento subito impreziosito dal premio di MVP al Nike Hoop Summit per prospetti in uscita dalla high school nel mese di aprile. Dwyane Washington, che l’ha allenato nella EYBL per UPlay Canada, ha sottolineato a più riprese la consapevolezza del ragazzo:
“Non sarà il più veloce o il più rapido, ma è il più lucido. È scaltro e sa come usare il proprio talento.”
Il Canada, qualificatosi ai mondiali di Cina, vuole ben figurare e punta su Barrett & Co per replicare e massimizzare il potenziale mostrato nelle precedenti rassegne di categoria [oro U19 nel 2017 vs l’Italia, Barrett MVP ndr]. Roy Rana, tecnico di quella squadra, lo associa a James Harden:
“Sa far tutto, ha possibilità immense.”
L’esordio a Duke è stato dirompente e la corazzata Blue Devils spaventa la concorrenza. Sarà lui il primo invitato a salire sul palco del Barclays Center nel mese di giugno? Forse. Intanto però sappiamo che lei canterà l’inno canadese all’All Star Game di Charlotte, per ora basta così.
In parallelo sembra andare anche la carriera di Andrew Nembhard, prospetto che gli esperti collocano alla #26 nella TOP 100 ESPN per il 2019. Con Barrett, il playmaker dei Florida Gators ha diviso il campo ai tempi dell’high school, nella EYBL e anche in ambito internazionale. A onor del vero, la sua parabola sembrava sul punto di interrompersi bruscamente già nel marzo 2017. Al tempo, un raro problema intestinale diagnosticatogli e il conseguente choc settico avevano reso necessaria un’operazione d’urgenza mettendo a rischio la sua vita.
Dopo le tante partite fianco a fianco, i due sono stati avversari nella prima edizione della partita esibizione Signature All-Canadian Showcase del mese di aprile. Entrambi hanno colto l’opportunità per dare un saggio delle qualità migliori: Barrett, pur sconfitto – 138 a 135 il risultato finale–, ha chiuso da miglior marcatore di serata con 47 punti e Nembhard, dal canto suo, ha mandato a referto 11 assist.
Le loro strade si sono separate nel momento della scelta collegiale. “Non saremmo mai andati al college assieme, – ricorda Barrett – è bello vedere che sta cercando di mettersi in mostra. […] È tempo per entrambi di brillare altrove”.
Ritrovarsi, in fin dei conti, non sarà un problema. La nazionale, che sogna in grande, li attende a braccia aperte pronta a scrivere pagine di storia.