In occasione della presentazione all’NBA Store di New York di “The Wizenard Series”, una serie di cinque libri ideata da Kobe Bryant e scritti da Wesley King, l’ex stella dei Los Angeles Lakers è tornato a parlare di NBA e di alcuni degli argomenti più in voga del momento come i favoriti per il titolo 2019, la crescita esponenziale di Giannis Antetokounmpo e il momento dei gialloviola:
“Golden State mi sembra la squadra che gioca con più dedizione, con più senso, sanno come far male alle difese avversarie sfruttando i loro punti deboli. E poi hanno esperienza e un giocatore come Kevin Durant che può cambiarti ogni partita grazie alla combinazione di centimetri e abilità di segnare canestri quando il cronometro si avvicina allo zero. Anche Houston però sta migliorando, sia nella capacità di far male alle difese avversarie che nel controllare il ritmo di gioco. A Est invece se Boston mette in fila una striscia di vittorie allora diventa difficile fermarli e con la gara in equilibrio Kyrie Irving è sempre un problema per qualsiasi avversario”
Poi a chi gli chiede chi sia il giocatore NBA più forte di tutti i tempi, Kobe risponde quasi in modo disinteressato:
“La verità è che non importa chi sia il più forte individualmente. Importa solo chi vince. Per cui Bill Russell per me è il più grande di sempre”.
Un accenno anche sulle potenzialità di Giannis Antetokounmpo, il prototipo d’atleta che verosimilmente dominerà la Lega nei prossimi anni:
“Quando ci siamo allenati assieme si è presentato in palestra un’ora e mezza prima. Abbiamo iniziato parlando per una ventina di minuti e lui ha tirato fuori un taccuino e ha iniziato a prendere appunti. Sono rimasto senza parole: ma cosa sta facendo? Io dicevo una cosa, e lui scriveva. E poi mi faceva domande, sul lavoro di piedi, sulle coperture difensive, sul tipo di difesa che gli dava più fastidio. Lo stesso anche dopo l’allenamento, per un’altra ora. È un ragazzo che studia in continuazione come migliorare, per cui non sono sorpreso di quello che sta facendo. Ha la mentalità giusta, quella di voler migliorare in continuazione. Quello che stiamo vedendo è solo la punta dell’iceberg Antetokounmpo. Quello che distingueva dagli altri giocatori? La mia curiosità. Alcuni si limitano a giocare, bene o male – ma questo per me non è mai stato sufficiente. Quando vedevo giocare Michael Jordan, Magic Johnson, Hakeem Olajuwon volevo capire ogni loro movimento, volevo capire come poter fare per fermarli: la mia era una ricerca infinita della perfezione. Quando abbiamo perso in finale NBA nel 2008 contro i Celtics non mi bastava pensare: ‘OK, sono un’ottima squadra, sono stati meglio di noi’. No. Perché abbiamo perso? Cos’avrei potuto fare meglio? Questa curiosità costante è quello che mi differenziava dagli altri”
Come se non bastasse Kobe ha velatamente criticato i giocatori della NBA attuale, forse meno inclini alla sofferenza di come lo fosse lui:
“Se potevo camminare, potevo giocare. Questo è sempre stato il mio approccio, per due motivi: primo, la tua carriera di giocatore finisce in fretta e quindi ogni occasione di poter scendere in campo va colta; secondo, per rispetto verso chi viene a vedere la partita, spendendo i soldi risparmiati per mesi, magari per l’unica partita della loro annata”.
Se non ci fossero stati i Lakers, quale sarebbe stata l’altra squadra con cui avrebbe avuto il piacere di giocare? Eccola:
“Mi sarebbe piaciuto giocare a New York, è vero. Da tifoso le tre grandi arene storiche per me erano il Garden di New York, il Chicago Stadium e il Boston Garden. Le ultime due non ci sono più, il Garden resiste ancora: mi sarebbe piaciuto far parte della storia di una franchigia come i New York Knicks”
Poi la chiosa, giustamente, sui gialloviola e la loro prossima stagione:
“Sono davanti a un bivio, possono prendere due strade, entrambe valide. Il punto è relativo a cosa vorranno fare con il nucleo giovane di giocatori che hanno a roster: li vogliono scambiare per una superstar o li vogliono tenere e puntare sul loro sviluppo? Tutte e due le soluzioni alla fine daranno i loro frutti, ma la prima è più rapida della seconda, perché porti in squadra giocatori che possono subito dare una mano a LeBron”
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