Primo Piano

Stiamo continuando a ignorare i Pacers

Il tuo giocatore franchigia, uno dei migliori giocatori della storia della franchigia, circa tre anni dopo essersi fratturato tibia e perone ed essere tornato praticamente al top, si stufa di giocare in una squadra non vincente. Ti dice che non firmerà l’estensione contrattuale l’anno dopo, e che non appena diventerà free agent firmerà con i Los Angeles Lakers.

Tu lo scambi con un anno di anticipo al miglior offerente per non perderlo a zero, e ricevi in cambio un giocatore dal grande potenziale ma con l’etichetta di eterna promessa, e un sophomore che non ha ancora capito cosa sappia fare meglio.

(Disclosure: sto parlando di Paul George, Victor Oladipo e Domantas Sabonis)

Lo scambio si rivela vincente, l’eterna promessa diventa il tuo nuovo giocatore franchigia e vince il premio di Most Improved Player of The Year, esci al primo turno dei playoff ma soltanto a gara 7, contro LeBron James.
Al secondo anno post-trade le cose continuano a migliorare, tutti i giocatori crescono, il sophomore ormai al terzo anno si rivela uno dei migliori sesti uomini della lega, la classifica sorride; poi, più o meno a metà regular season, il nuovo giocatore franchigia si rompe il legamento crociato del ginocchio, e dovrà stare fuori per poco meno di un anno. Risultato? Quarto posto nella Eastern Conference a a fine Marzo, 45 vittorie e 30 sconfitte, roster composto da candidati a 6th Man Of The Year, Most Improved Player e Difensore dell’Anno.

Questi sono gli ultimi 24 mesi degli Indiana Pacers.

(Credits to 1070 The Fan)

Come possono gli Indiana Pacers, dopo due anni come quelli appena descritti, essere in lotta per il fattore campo ai playoff nella Eastern Conference più competitiva degli ultimi anni?

A inizio stagione molti addetti ai lavori vedevano un potenziale calo per Indiana, una sorta di rinculo dopo la stagione 2017/18, in cui i risultati avevano superato le aspettative.
Non solo i Pacers si sono confermati, ma hanno compiuto un ulteriore salto in avanti durante la prima parte di stagione e si sono portati ai vertici della Conference, candidandosi a fare ben di più rispetto al primo turno dell’anno precedente. O almeno questi erano i piani fino al 24 Gennaio.

Com’è possibile quindi che due mesi dopo i Pacers siano ancora così in alto in classifica?

Tolto Oladipo, probabilmente, Myles Turner è il giocatore più importante del roster. In molti si chiedevano, fino allo scorso anno, se il suo sviluppo avesse subito una frenata che avrebbe compromesso il raggiungimento di un certo status all’interno della lega, ma il rendimento del prodotto di Texas nel 2018/19 ha confermato quanto di buono visto nei primi anni.

Turner è a oggi il favorito nella corsa al premio di Difensore dell’Anno, guida la NBA per stoppate a partita – 2.8 – e sopratutto è l’ancora a cui si aggrappa tutta la squadra nella metà campo difensiva.
Indiana ha il terzo miglior difensive rating della lega, dietro solo a Milwaukee Bucks e Utah Jazz, è quarta nei punti subiti per possesso e prima per percentuale di palle perse degli avversari, dati che testimoniano l’impatto che Turner sia riuscito ad avere nella propria metà campo.

Volete una prova del livello di protezione del ferro a cui è arrivato? Se avete 6 minuti da perdere potete farlo guardando il video qui sotto – che si riferisce solo alla stagione in corso, ed è solo la prima parte. Non gli piace far arrivare gli avversari al ferro.

A tutto questo vanno sommati 13.2 punti a partita con 7.1 rimbalzi e il 37.7% da 3 su 2.6 triple tentate, entrambi i dati più alti della carriera a testimoniare la volontà di Turner di allargare il più possibile quelle che sono le sue opzioni offensive.

Altro elemento chiave della stagione dei Pacers è il compagni di frontcourt di Turner, Thaddeus Young.

Il suo contratto va in scadenza quest’estate, durante la quale diventerà unrestricted free agent, e in molti si chiedono quanto Indiana sarà disposta a spendere per tenere a roster un giocatore che si sta affacciando sulla parte sbagliata dei 30 anni, all’undicesima stagione NBA.

Dopo anni passati in una sorta di limbo tra sviluppo offensivo e fondamentali difensivi, però, Young ha trovato la sua dimensione nella squadra diventando veterano, e fungendo da valvola di sfogo per i compagni su entrambe le metà campo nei momenti di affanno.

Young è diventato in grado di sfidare lunghi fisicamente più strutturati, e l’esperienza lo ha portato a padroneggiare di più fondamentali e pump-fakes con cui avere la meglio di difensori del calibro di Joel Embiid.

 

Se però con il tempo il #21 è diventato un’arma fruibile anche in attacco e come bloccante/roller verso il ferro nelle situazioni di pick ‘n roll, la difesa e in particolare il ferro restano le zone del campo in cui fa sentire maggiormente la sua presenza.

La clip qua sotto è della partita tra Pacers e Jazz dello scorso 19 Novembre, ed evidenzia come Young sia sempre pronto a portarsi nella posizione ideale per limitare l’avversario diretto, ma allo stesso tempo di coprire la porzione di campo necessaria per arrivare sempre in aiuto. Sempre grazie al posizionamento, diventa un fattore anche a rimbalzo offensivo, permettendo alla squadra di avere un elevato numero di second-chance points.

87 secondi che forse spiegano meglio di ogni altra frase quali siano gli attributi che hanno reso Young fondamentale per Indiana:

La più grossa sorpresa della stagione dei Pacers, però , corrisponde probabilmente a quello che al tempo della trade di Paul George era il sophomore, Domantas Sabonis, che nella prima stagione in NBA con Oklahoma City, la 2016-17, non era riuscito a immedesimarsi al meglio nel ruolo di stretch 4, senza grandi capacità nell’allargare il campo.

Quello che hanno fatto coach McMillan e il suo staff, sui cui poi torneremo, è stato prendere l’idea che i Thunder si erano fatti di Sabonis, e ribaltarla completamente.

Durante la prima stagione nella lega Sabonis ha tentato 159 tiri da 3 punti in 81 partite, convertendoli con circa il 32%. Durante il 2017-18, McMillan ha fatto diventare le triple tentate 37 (in 74 partite). Nella stagione in corso, Sabonis ha tirato da 3 punti 15 volte in 68 partite.
In un momento in cui tutta la lega cerca di allargare il più possibile il campo, e i lunghi in grado di preoccupare le difese dall’arco sono tra i prodotti più richiesti, i Pacers hanno allontanato completamente Sabonis dall’arco, rendendolo un giocatore che agisce solo negli immediati pressi del ferro.
La trasformazione di Sabonis in totale dominatore dell’area è testimoniata dalla selezione di tiro del lituano, che sta prendendo il 97.8% delle sue conclusioni dentro l’area, e segna un clamoroso 69.7% dei suoi punti nel pitturato o nelle immediate vicinanze del ferro.
Avendo fatto dell’efficienza il suo mantra, anche i mid-range jumpers hanno subito un calo vertiginoso, e compongono solamente il 7.6% della produzione offensiva di Sabonis, che nel suo totale è definita dal 66.5% di true shooting percentage. [via NBA/Stats.com]

Il risultato? 14.9 punti a partita con 9.3 rimbalzi e 2.8 assist, tutti e 3 career-high. Il miglioramento risulta ancora più clamoroso se si considera che Sabonis non fa regolarmente parte del quintetto dei Pacers, cominciando in realtà la maggior parte delle partite dalla panchina, e che gioca meno di 25 minuti di media.

Indiana è andata controcorrente e ha vinto la scommessa, tirando fuori il massimo (o forse ancora no) anche dal secondo pezzo della trade con cui aveva detto addio a Paul George. Sabonis è candidato sia come Most Improved Player che come 6th Man of The Year, ed è legato ai Pacers anche per il prossimo anno, durante il quale sarà a libro paga per meno di 4 milioni di dollari. L’interrogativo riguarda l’estate 2020, quando con ogni probabilità non firmerà la qualifying offer da 4,8 milioni e diventerà restricted free agent; se anche il prossimo anno darà prova di essere un giocatore così importante ed efficiente nella metà campo offensiva, come tutti si augurano a Indiana, trattenerlo potrà costare molto.

Questa dello scorso 31 Ottobre è la sua miglior prova stagionale, al Madison Square Garden. Sì, 12/12 dal campo. 

L’ultimo giocatore in ordine di tempo per i Pacers a essersi reso protagonista di una vera e propria eruzione offensiva è Bojan Bogdanovic.

Il croato ex Fenerbache è alla quinta stagione in NBA quest’anno, e nelle precedenti esperienze, tra Brooklyn, Washington e lo scorso anno a Indiana, aveva dato prova di essere un più che utile role player, in grado di aprire il campo e mettere anche la palla a terra e attaccare in uno contro uno, anche se più raramente, quando necessario. Quello che è successo nelle ultime settimane, però, racconta un Bogdanovic che non avevamo mai visto.

Le statistiche sulla sua intera carriera NBA parlano di 13.2 punti, 3.4 rimbalzi e 1.4 assist a partita; in questa stagione, il tutto si trasforma in 18 punti, 4.1 rimbalzi e 1.9 assist con il 57.9% di effective field goal percentage e il 42.9% al tiro da 3. Se si prendono in considerazione solo le ultime 15 partite, durante le quali i Pacers avevano cominciato a dare i primi segni di cedimento e avevano maggiormente accusato l’assenza di Oladipo, il dato diventa ancora più impressionante: 22.7 punti a partita, che sull’intera stagione lo catapulterebbero nella top-20 dei migliori marcatori della lega.

Pochi giorni fa, il 24 Marzo, ha fatto questo ai Denver Nuggets. 

Quello di Bogdanovic, tra i vari giocatori dei Pacers, è probabilmente lo sviluppo meno sostenibile, figlio di una situazione in cui c’era il bisogno disperato di un giocatore che si facesse avanti per occupare il ruolo di principale minaccia offensiva per gli avversari.
Il punto resta però che Bogdanovic, sebbene dotato di un arsenale offensivo decisamente esteso, non ha mai dato prova di possedere le doti atletiche necessarie per contribuire su questo volume con continuità a livello NBA, e il fatto di non essere arrivato nella lega giovane, ed essere già alla soglia dei 30 anni, potrebbe rendere il tutto ancora più complicato.
Quel che è certo, è che se i Pacers alla fine batteranno i Celtics nella corsa al fattore campo, gran parte del merito sarà da attribuire proprio a lui.

L’uomo dietro a quella che a questo punto dovrebbe essere unanimemente definita come la più grande sorpresa degli ultimi due anni in NBA, anche più delle grandi stagioni disputate da Sacramento King e Los Angeles Clippers, è Nate McMillan.

Oltre che con il pesantissimo infortunio di Oladipo, McMillan in questa stagione ha dovuto far fronte a defezioni sparse dei vari Turner, Sabonis, Tyreke Evans e Doug McDermott, capaci elevare anche il livello della second unit della squadra insieme a Wesley Matthews, firmato poche settimane fa.
Il premio di Coach Of The Year dovrebbe essere un discorso a due fra Mike Budenholzer e Doc Rivers, con il coach dei Bucks netto favorito visti gli impressionanti livelli raggiunti dalla squadra in questa stagione.
Dato però il rendimento della squadra, McMillan avrà la possibilità di lottare per il terzo gradino del podio con Mike Malone, dopo essere stato escluso lo scorso anno in favore di Dwyane Casey (vincitore), Brad Stevens e Quin Snyder.

Sette giocatori dei Pacers diventeranno free agent a fine stagione, di cui 5 dei 7 giocatori con più minutaggio all’interno del roster, ma questo non ha impedito a McMillan di far rendere al massimo una squadra che ha perso il proprio miglior giocatore a metà stagione. Se un’impresa del genere, che tra l’altro potrebbe vedere Indiana superare le 48 vittorie collezionate lo scorso anno da qui a fine stagione, non è meritevole di riconoscimento, i parametri di giudizio per i premi di fine anno potrebbero dover essere sottoposti a revisione.
Il futuro della squadra è incerto, potrebbero esserci molte facce diverse ai blocchi di partenza della prossima stagione, e l’eventuale spazio salariale che si creerà non dovrebbe portare grandi nomi durante la free agency. Ma alla fine, probabilmente, anche il prossimo anno ci ritroveremo a parlare di come Indiana si ritrovi a fronteggiare quasi alla pari l’elite della Eastern Conference senza averne, apparentemente, i mezzi necessari.

Perché nessuno, all’interno della lega quanto all’esterno, può più permettersi di ignorare gli Indiana Pacers.

 

 

Guarda i commenti

  • Boston Celtics per primi, visto che al 99% saranno i loro avversari al primo turno dei playoff.
    Non credo però che i Celtics possano solo immaginare di non batterli in una serie playoff.
    Non sarà certo una passeggiata, però..
    I Pacers hanno proprio quello che manca ai Celtics; un Myles Turner in grado di guidare la difesa con una solida protezione del ferro e di portare molto lontano dal canestro un lungo in attacco, un Sabonis in grado di fare canestro nel pitturato e prendere i rimbalzi e un Bogdanovic in grado di segnare con altissime percentuali da tre punti.
    Non sarà facile per Horford e Baynes fronteggiare Turner e Sabonis, non sarà facile per Smart, Rozier e Brown recuperare sulla difesa di Irving e non lasciare Bogdanovic libero dall'arco a martellare di triple, ma nel complesso credo che tra le due squadre ci sia un gap di roster incolmabile in una serie al meglio delle 7.
    Vediamo nelle due sfide dirette di regular che le due squadre devono ancora affrontare.

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Pubblicato da
Leonardo Flori

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