Le squadre di pallacanestro collegiali hanno rappresentato fin dai tempi antichi l’enorme vivaio dalla quale la NBA pesca annualmente i migliori talenti, sperando che un giorno costoro possano diventare i protagonisti della Lega stessa.
Il college sembrerebbe essere dunque un passaggio obbligato fra il liceo ed i campionati professionistici, una sorta di punto di congiunzione, uno step intermedio che consente ai giovanissimi di sviluppare le loro innate capacità ed iniziare a prendere confidenza con la tediosa pressione dei campi da gioco.
Tutti i più grandi di sempre d’altra parte sono passati per il college prima di entrare nei professionisti… tutti o forse è meglio puntualizzare quasi tutti. Infatti nella storia della pallacanestro americana ci sono state delle eccezioni, enfant prodige i quali si sono resi eleggibili fra i grandi quando avevano appena finito il liceo.
Una scelta che non paga sempre ma che quando ha esito positivo nel 90% dei casi ci regala dei veri e propri campioni. La formula appena esposta, “prep to pro” in inglese, viene ufficialmente sconsigliata dalla NBA, la quale dovendo mantenere un’immagine limpida e integra, cerca di sostenere i propri futuri giocatori a frequentare gli atenei universitari, in modo tale da aumentare il proprio grado di istruzione e guadagnarsi una valida alternativa alla pallacanestro.
Queste prese di posizione sporadiche tuttavia non sono mai state un impedimento troppo ostico per l’immenso giro di interessi che si crea intorno ad un giovane talento dal potenziale illimitato: una spirale illusoria che pospone le reali necessità del giocatore per anteporre gli introiti che derivano dallo sfruttamento del ragazzo, il quale molte volte si fa suggestionare da false promesse o complimenti spogli di veridicità.
Dobbiamo dunque tenere bene a mente che per dieci che ce l’hanno fatta ce ne sono decine che si sono letteralmente bruciati e dei quali non ricordiamo neppure il nome.
Dopo aver detto questo passiamo alla nostra TopTen mostrando chi sono stati e sono i migliori giocatori selezionati al Draft direttamente dal liceo, ovvero coloro i quali non hanno frequentato alcun college durante la loro carriera cestistica.
10. Tyson Chandler
Il “gigante” di Hanford (California) fu la seconda scelta assoluta del draft NBA 2001, selezionato dai Los Angeles Clippers ed immediatamente spedito in quel di Chicago, per formare una giovanissima coppia di lunghi dalla belle speranze con Eddy Curry (altro fenomeno liceale).
Il nome del giovane centro al momento della sua chiamata non venne associato da David Stern a nessuna compagine universitaria, bensì al liceo che T.C. aveva frequentato, ovvero Dominguez High School situata a Compton (L.A.).
Facendo un grosso balzo all’indietro nella vita del giocatore, Tyson proveniva da una famiglia di contadini che possedeva una fattoria a sud di Freso, località dove era cresciuto in mezzo ai campi ed al bestiame insieme alla famiglia materna, il padre biologico infatti si era volatilizzato prima ancora che lui nascesse.
Raggiunti i 10 anni, insieme ala madre si trasferì a San Bernardino; già a quell’età poteva vantare una più che discreta fisicità donatagli dai 183 cm che poteva sfoggiare per le strade della città, peculiarità questa che era spesso motivo di imbarazzo per il giovane, il quale veniva frequentemente preso in giro dai suoi coetanei in funzione delle sue proporzioni giganteggianti e per il fatto che, utilizzando un eufemismo, non brillava quanto ad attitudine scolastica.
Passarono alcuni anni e T.C. fu costretto a rifare il fagotto, destinazione Los Angeles per l’esattezza Compton; in uno dei quartieri più malfamati e pericolosi degli interi Stati Uniti scoprì la pallacanestro quando si iscrisse alla Dominguez High School, la scuola stanziata nel suo “district”, ai tempi felicemente celebre per la sua decennale tradizione di ottimi atleti fra i propri studenti.
E’ fra le mura scolastiche che mise in mostra per la prima volta il suo talento nel pitturato e la sua temibile stazza fisica, egli formò un temibile duo di giovani prospetti con un certo Tayshaun Prince (campione con i Pistons) nel suo primo anno da freshman.
Da matricola collezionò 20 punti, 12 rimbalzi, 6 assist e 3 blocchi di media a partita, cifre che lo fecero diventare una vera e propria attrazione per i giovani del quartieri tra i quali molti futuri giocatori NBA, i quali vedevano in un acerbo e prestante Chandler un punto di riferimento al quale potersi ispirare.
DeRozan e Jennings erano presenze fisse quando Tyson giocava: il primo ha detto che ai tempi di Compton intravedeva in lui lo stesso strapotere fisico del giovane Shaquille Oneal, il secondo invece ha testimoniato come Chandler rappresentasse un modello:
“Tutti i ragazzini volevano essere come lui, sia per come giocava sul parquet sia per le attenzioni che riceveva dalle ragazze”.
Nel suo ultimo anno all’High School guidò la sua squadra al titolo statale, venendo eletto McDonald’s All-American dopo avere raggiunto medie scioccanti: 25 punti, 15 rimbalzi e 8 stoppate a partita, arrivando a toccare i 216 cm di altezza.
Come prevedibile gli scout di molte università iniziarono a tempestare casa Chandler di chiamate, ponendo una pesante pressione sulle spalle se pur già molto larghe del ragazzo.
Tutte le più grandi squadre della NCAA volevano avere sotto canestro il “guerriero di Compton”: U.C.L.A., Kentucky, Arizona e Michigan fecero tutte almeno un tentativo, ma ovviamente nessuna di esse poteva minimamente pareggiare un contratto NBA ed in particolare il guadagno economico che esso direttamente comportava.
Chandler iniziò a essere messo in prima pagina da molte riviste del settore e non ( USA today, Parade magazine), diventando il centro di attrazione per una imponente platea mediatica, tanto da essere invitato ad alcuni programmi televisivi.
Come tutti ben sappiamo Tyson il college lo avrebbe saltato a piè pari per entrare direttamente tra i professionisti con la classica formula del “prep to pro”, una scelta azzeccata verrebbe da dire con il senno di poi, visto il giocatore che è diventato: un’atleta dalla difesa arcigna e dalla fisicità disarmante, uno dei miglior “stopper” (tanto per usare un termine calcistico ormai desueto) degli ultimi vent’anni.