Primo Piano

NBA Playoff Preview: Golden State Warriors vs Houston Rockets

Ci risiamo.

Nessuno, da quando Kevin Durant ha deciso di aprire il Next Chapter della propria carriera, era riuscito a mettere in seria difficoltà i Golden State Warriors. Nessuno tranne gli Houston Rockets nelle Western Conference Finals dello scorso anno.

Le due squadre arrivano al rematch circa 12 mesi dopo in modo diverso rispetto allo scorso anno, sia a livello di cammino che di costruzione del roster.

Mentre Golden State ha vissuto una regular season simile alle ultime, con una velocità di crociera acquisita e sforzi non eccessivi per difendere il seed #1, Houston è stata sulle montagne russe, cominciando in modo disastroso per essere poi letteralmente trascinata da due mesi fuori da ogni logica di James Harden, mettendo poi a posto le cose nella seconda parte di stagione e tornando sui propri passi.

Anche il primo turno dei playoff è stato vissuto in maniera differente dalle due squadre.

Houston si è trovata per il secondo anno di fila a dover fronteggiare gli Utah Jazz (secondo turno nel 2017-18), e per il secondo anno di fila ha messo sotto la lente di ingrandimento tutte le cose che la squadra di Quin Snyder non riesce a fare contro Harden e compagni – impressionante la facilità con cui Harden stesso e il sistema di Houston siano riusciti a escludere letteralmente da alcune partite Rudy Gobert, difensore dell’anno in carica.
La serie si è conclusa 4-1, un gentleman sweep che ha visto Utah riuscire ad allungare la serie in Gara 4 davanti al proprio pubblico e mettere in discussione anche l’esito di Gara 5, dovendosi infine però arrendere a una squadra contro cui, per caratteristiche, possono poco.

Gli Warriors, dalla loro, avevano sulla carta la serie probabilmente più scontata degli interi playoff – insieme a Bucks vs Pistons – ma hanno incontrato enormi difficoltà nel raggiungimento del 4-2 che li ha visti avere la meglio dei Los Angeles Clippers.
La squadra di Steve Kerr ha perso due partite in casa in una serie di playoff per la prima volta dalle Finals del 2016 contro Cleveland, e per la prima volta in assoluto da quando Kevin Durant è arrivato nella Bay Area; in Gara 2 contro i Clippers, inoltre, Golden State ha subito la più larga rimonta della storia dei playoff NBA (+31 a 7 minuti dalla fine del terzo quarto), e ha poi perso anche Gara 5 dopo essere tornata alla Oracle Arena per guadagnarsi qualche giorno di riposo in più rispetto alle sole 48 ore che la vedranno poi scendere in campo questa sera.

Armati di un’organizzazione ben precisa, due rookie che continuano a stupire la lega e tre leader tecnici come Lou Williams, Danilo Gallinari e Montrezl Harrell – oltre a uno dei migliori allenatori in circolazione – i Clippers hanno usato un basket tra virgolette semplice per mettere in difficoltà i campioni NBA, cercando di soffocarli il più possibile dal punto di vista difensivo e approfittando di ogni calo di concentrazione di Curry e compagni.
Lo stesso Klay Thompson, dopo la sconfitta in gara 5, ha ammesso di non aver avuto la testa alla sfida coi Clippers in quel momento.

Ecco, se LA ha potuto approfittare di qualche distrazione dei Warriors al primo turno, Houston non avrà probabilmente la stessa occasione.

Precedenti stagionali

Pensando alle sfide di regular season tra Warriors e Rockets, il primo ricordo a venire in mente non può che essere questo:

La serie stagionale fra le due squadre si è conclusa con tre vittorie per i texani e una per i californiani, che hanno espugnato ben due volte la Oracle Arena. Due delle tre vittorie di Houston sono arrivate il 3 Gennaio e il 23 Febbraio, in pieno fenomeno-Harden, ossia un momento in cui i Rockets erano in grado di battere chiunque ma esclusivamente grazie alle eruzioni offensive della propria stella; i Rockets che arrivano a questo secondo turno sono altrettanto pericolosi, ma più che sul solo James Harden potranno fare affidamento su un andamento generale di squadra più equilibrato, che li vedrà in grado di rispolverare un gioco più inclusivo e fare affidamento sulla difesa schiacciasassi che è valsa come arma letale tanto nella scorsa stagione quanto nella seconda parte di quella in corso. Il marchio di fabbrica di questa squadra resta inevitabilmente l’attacco, ma pensare che il destino dei Rockets sia in mano semplicemente al rendimento offensivo della squadra può rivelarsi un errore potenzialmente decisivo.

I Golden State Warriors sono una squadra difficilmente valutabile in base al rendimento in regular season, specie se la valutazione viene fatta solo su singole partite in cui, forse più di ogni altra squadra, i ragazzi di Steve Kerr sono in grado di mostrare letteralmente due facce – basti pensare ad alcune sconfitte arrivate tra secondo e terzo terzo di stagione come quella casalinga dell’11 Marzo contro i Phoenix Suns.

Chiavi tattiche

Pensando a un rematch della Finale di Conference dello scorso anno, gli Warriors potevano senza dubbio contare sul vantaggio fornito dalla presenza di DeMarcus Cousins, giocatore capace di scombinare i piani difensivi di D’Antoni e fornire un’altra, ennesima variante all’arsenale offensivo in mano a Steve Kerr.

Cousins non sarà però della partita, visto il brutto infortunio al quadricipite sofferto nella serie con i Clippers che ha già messo la parola fine sulla sua prima partecipazione in carriera alla postseason.

La serie quindi sarà una semplice rivincita del 2017-18? Probabilmente no.

Il primo fattore da tenere in considerazione è la diversità del roster dei Rockets nel 2018-19; persi in estate due esterni lunghi e versatili come Luc MBah a Moute e sopratutto Trevor Ariza, l’ideazione della second unit di D’Antoni è stata profondamente ripensata. Se con due giocatori come quelli di cui sopra l’idea era chiaramente puntare sulla versatilità difensiva, il fatto che i due elementi forse più importanti della panchina siano a oggi Danuel House e Austin Rivers fa pensare a un cambiamento di rotta verso la versatilità offensiva.

Se Rivers è una guardia riscopertasi in grado di aggiungere pericolosità dall’arco, oltre che un ulteriore portare di palla da affiancare a Harden e Paul mentre uno dei due riposa, House può offrire un mix di tiro da fuori e gioco nel pitturato molto utile alla causa Rockets.

Detto questo, il vero turning point della serie rischia di essere comunque un altro.

Dopo la pausa per l’All Star Weekend i Rockets hanno vinto 20 partite su 25, e sono stati statisticamente la seconda miglior difesa di tutta la NBA (gli unici a far meglio per punti concessi su 100 possessi in quel periodo, ironia, sono stati gli Utah Jazz con 105.3).La difesa è stata la vera chiave di volta per la stagione di Houston, e se non dobbiamo certo stupirci di fronte all’affidabilità nella propria metà campo di giocatori come Chris Paul e PJ Tucker, è innegabile che un giocatore cresciuto tremendamente dal punto di vista difensivo sia proprio James Harden.

Dopo anni passati a essere deriso da tutta la lega per la poca applicazione mostrata nella propria metà campo, Harden ha gradualmente deciso di diventare il difensore che è sempre stato nelle sue corde, visti anche le notevoli e spesso sottovalutati doti fisiche che l’MVP in carica ha a disposizione.
Un’arma che spesso è stata usata contro Harden è stata quella di cercare di farlo cambiare difensivamente e farlo finire contro un proprio lungo, che potesse così sfruttare la superiorità fisica contro The Beard e ottenere canestri facili; il problema è che primo, i lunghi moderni possono spesso essere anche giocatori come Pascal Siakam, con arsenali offensivi semi-illimitati ma non tradizionalmente basati sull’attaccare in post, e secondo, per avere un vero vantaggio fisico su Harden bisogna essere di dimensioni veramente notevoli (Joel Embiid-esque, per capirci), perché non sono molte le guardie a poter contare su un tonnellaggio come quello della guardia ex OKC.

Harden inoltre ha mani velocissime tanto in attacco quanto in difesa, e non è un caso che abbia chiuso la stagione nelle primissime posizioni della lega sia per deflections che per palle rubate andando a formare con Chris Paul uno dei backcourt difensivi più complicati da affrontare in assoluto. Se Golden State dovesse attraversare, magari in situazioni di vantaggio, momenti di distrazione in attacco, la capacità di Harden e Paul di essere sempre attivi sulle palle vaganti e poter di conseguenza spingere in contropiede può diventare un’arma formidabile.

Più in generale, la difesa sarà un punto fondamentale nel tentativo di Houston di dirigere la serie in proprio favore, e a questo proposito D’Antoni potrà sicuramente attingere a quanto offerto da Doc Rivers e i Los Angeles Clippers nel primo turno .

Tutto questo non per dire che sarà esclusivamente la propria metà campo a decretare se i Rockets accederanno o meno alle Finali di Conference, è bene ricordarsi che lo scorso anno l’unica cosa a mettersi tra Harden e compagni e le NBA Finals è stata una striscia di 27 triple consecutive sbagliate in gara 7 proprio con Golden State; ma trovare un sistema per interrompere il flusso perfetto dell’attacco di Golden State, e magari provare a creare gli stessi problemi interni di cui gli Warriors più di chiunque altro hanno sofferto durante quest’annata, potrebbe essere il miglior sistema per Houston nel tentativo di vincere la serie.

Se i Rockets avranno l’esempio di Los Angeles per provare a limitare Golden State, stessa cosa si può dire per questi ultimi grazie agli Utah Jazz. Ma non avevamo appena detto che i Jazz hanno potuto poco o niente al primo turno? Sì, ma procediamo con ordine.

Sebbene la serie reciti un netto 4-1, Utah ha comunque trovato alcune mosse interessanti per provare a rallentare James Harden, e queste mosse sono arrivate da uno studio attento…dei Milwaukee Bucks.

Durante le due sfide contro Houston in regular season, Budenholzer ha ideato un piano contro Harden con alla base il lavoro di Eric Bledsoe e Malcolm Brogdon, che hanno continuativamente mandato The Beard a destra, togliendogli la possibilità di usare la mano forte grazie a una pressione fisica costante non soltanto sulla mano sinistra, ma su tutto il lato sinistro del corpo di Harden, partendo dalla spalla e scendendo fino all’anca e alle gambe.
Il piano, parzialmente, ha funzionato: Harden si è visto privato delle proprie triple in step-back, sotto canestro aveva un copro gigantesco come quello di Brook Lopez ad aspettarlo e a metà strada la presenza di Giannis Antetokounmpo in grado di aiutare su qualsiasi situazione coprendo anche il proprio uomo ha complicato molto le cose.

La prima considerazione che viene in mente è per forza di cose “Sì, ok, ma di Antetokounmpo ce n’è uno, non puoi usare questa tattica se non ne hai uno anche tu”; la buona notizia per gli Warriors che a roster hanno quanto di più vicino c’è nella metà campo difensiva proprio al greco, ossia Kevin Durant.
Il #35 di Golden State ha dato sopratutto nella passata stagione prova di essere diventato un difensore di primissimo livello, e la combinazione di leve da lungo e rapidità da esterno rischiano di renderlo letale per Houston tanto nella metà campo offensiva quanto, se non di più, in quella difensiva, sopratutto se riuscirà, proprio come Antetokounmpo, a ‘coprire’ due avversari nello stesso momento.

Players to watch

Se molto per Houston passerà dalla difesa è ovvio pensare ai due principali baluardi della protezione dell’area, PJ Tucker e Clint Capela.
Nella serie dell’anno scorso i due membri del frontcourt di D’Antoni erano stati fondamentali nel limitare le opzioni offensive degli Warriors, e i loro rendimento non potrà minimamente calare nella serie che avrà inizio questa sera.
Altro elemento fondamentale per Houston è ovviamente Chris Paul, sul quale però, onestamente, i dubbi rimangono pochi; se anche in questa stagione il playmaker ex Clippers ha saltato molte partite, è anche vero che arriva alla parte decisiva della postseason nelle migliori condizioni fisiche degli ultimi mesi (come molti dei suoi compagni, d’altra parte). Messa a posto la parte riguardante la forma fisica, sono poche le cose che Paul, con l’esperienza accumulata negli anni, non è in gradi di fare su un campo da basket, a prescindere dall’avversario.

Se volete rinfrescarvi la memoria, guardate qua:

Le stesse attenzioni per forza di cose saranno da rivolgere a Harden, spesso calante ai playoff rispetto al super rendimento offerto in regular season. Il tipo di Harden che vedremo in questa serie, sia dal punto di vista mentale che da quello fisico, avrà un peso notevolissimo nell’indirizzarne l’andamento.

Per quanto riguarda Golden State, dopo l’infortunio di Cousins la questione si riduce ancor di più agli Hampton’s Five.

Il quintetto composto da Kevin Durant, Steph Curry, Klay Thompson, Draymond Green e Andre Iguodala resta ancora oggi la combinazione più devastante che la pallacanestro possa offrire a livello mondiale, ma mai come in questa stagione, dall’arrivo di Durant, la solidità della macchina da guerra di Oakland è sembrata vulnerabile. Tutti pensavamo che una volta arrivati ai playoff tutto si sarebbe stabilizzato, ma sono ‘bastati’ degli eroici Clippers per rubare addirittura due partite su un campo che in postseason, nelle prime due stagioni di Durant, aveva visto Golden State vincere 19 partite su 20.

La resa al massimo di tutte le proprie stelle continua anche quest’anno a essere l’ostacolo principale nella rincorsa al quarto anello in cinque anni (a questo proposito, Klay Thompson non è al massimo e potrebbe anche non prendere parte a Gara 1).

Pronostico

Fare un pronostico è complicato, quasi proibitivo. Troppe sono le varianti che rischiano di entrare in gioco in una serie fra due squadre così forti e che si conoscono così bene – basti pensare che l’anno scorso tutto è stato deciso, probabilmente, dall’infortunio di Chris Paul.

Mi asterrei, personalmente, dal formulare il punteggio con cui si concluderà questa serie.

Quindi, 4-3 per gli Houston Rockets.

 

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Pubblicato da
Leonardo Flori

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